Recensione: Oscurità

Il quarto album de L’Impero Delle Ombre vede ancora la luce, si fa per dire, visto il titolo dello stesso lavoro, per la Black Widow Records, a testimoniare un’unità di intenti sempre più rara e un senso di appartenenza inscalfibile nei confronti dell’etichetta di Genova, che non a caso si protrae sin dal primo disco, l’omonimo del 2004. Il gruppo facente capo ai fratelli Cardellino, Giovanni alla voce e Andrea alla chitarra, varca quindi la soglia dei due decenni di vita già da un paio di anni, considerando il 2003 come quello nel quale venne fondata la band.
Poche le loro testimonianze ufficiali, così come le possibilità di vederli dal vivo: una sintomatologia figlia dell’applicazione ossessiva, della ricerca della qualità e dell’abiuro della fretta.
Oscurità, l’oggetto della recensione – redatta a quattro mani e due teste, non sempre in sintonia (eufemismo), ossia quella del sottoscritto e quella di Ulisse “UC” Carminati – si compone di otto pezzi per poco meno di un’ora di ascolto. Ad accompagnare la versione in Cd digipak – l’uscita esiste anche in vinile e sempre in vinile in edizione limitata – vi è un libretto di ben 24 pagine curato graficamente da Pino Pintabona con tutti i testi, delle foto della band, delle immagini suggestive a corollario dei vari brani fra le quali spicca quella di Giovanni Cardellino, in compagnia di altre persone, all’interno della Taverna del Diavolo, tristemente nota per le vicende del Mostro di Firenze, nel 1981, in riferimento al delitto di Mosciano, una località di Scandicci.
La copertina del disco, raffigurante “Coloro che ci osservano dal nulla”, olio su legno, è opera di Danilo Capua.
Steven Rich
Nel lontano 2004 con l’omonimo debutto il gruppo dei Cardellino Brothers infuse nuova linfa vitale, leggi sangue fresco, all’asfittico universo del dark sound made in Italy, grazie a possenti iniezioni di heavy doom. Con i seguenti I Compagni di Baal del 2011 e Racconti Macabri III del 2020, palesarono geniali digressioni nel progressive noir degli anni ’70 e ’80, resuscitando i fantasmi di mastermind quali Black Widow, Zior , High Tide, Jacula, Rovescio della Medaglia, nonché e non poteva essere altrimenti, di Paul Chain e i “suoi” Death SS dei quali furono eletti degni eredi dai cultori del “lato oscuro della forza” quale lo scrivente.
Tutto questo portò alla creazione di un sound assolutamente unico e inimitabile, nel quale confluiscono in maniera mirabile malinconico progressive, sulfuree digressioni dark e deflagranti esplosioni di heavy doom, il tutto permeato da un lugubre e angosciante “senso di ancestrale terrore comunque venato da straziante dolore e profondo Mal de Vivre”.
Come se non bastasse tutto questo, al malsano clima da “tregenda greca” contribuisce pure l’interpretazione teatrale, salmodiante e veramente sopra le righe di Giovanni come ben testimonia l’iniziale “Il mio Ultimo Viaggio”dal rifferama assolutamente doomy sul quale si deposita un solo guitar da pelle d’oca dell’altro mastermind del gruppo, Andrea Cardellino che, nella seguente “Zulphus et Mercurius”, introdotta da stranianti note di clavicembalo e flauto, appesantisce ulteriormente il tutto, con digressioni heavy dark veramente degne dei sacri maestri di Sabbath Bloody Sabbath, vieppiù impreziosita ancora da magistrali solos .
“Lacrime nella Pioggia” è stupenda nel suo rievocare grazie al sax i fantasmi dei Black Widow, sodomizzandoli però con letali bordate di heavy dark a là Paul Chain. Sono letteralmente uscito di zucca ascoltando cotanto capolavoro più e più volte e solo l’intervento della sconvolta consorte mi ha costretto a proseguire l’ascolto con l’altrettanto potentissima “Macara”, i suoi ferali stop and go e relative violentissime accelerazioni. A destabilizzare ancor di più il già fin troppo sconvolto scrivente ci pensa poi un assatanato “Gatto Nero” altro capolavoro assoluto di heavy dark all’ennesima potenza, con la debordante sezione ritmica del duo Ceriotti/Ercolano sugli scudi e l’ossessionante ritmica del comunque sempre presente Rob Ursino.
A ristabilire almeno una parvenza di stabilità mentale contribuisce per mia fortuna l’intervento del guerriero “Dagon”, mirabile esempio di heavy prog, grazie alle magiche tastiere di Cristofoli, che contiene comunque a fatica le perverse incursioni heavy dark della coppia d’asce, drums and bass ancora impazziti, un riffing guitars roboante e assai epico, nonché il salmodiare inconsulto di Giovanni.
Alla mia età solo la fuga attraverso nubi di pioggia, gatti impazziti e streghe fuori controllo mi può salvare, trovando il giusto riposo nell’accogliente “La Taverna del Diavolo” sorta di lugubre marcia funebre che pone in evidenza il substrato culturale del gruppo con riferimenti alle opere horror di Edgar Allan Poe, peraltro già chiamato in causa con “il Gatto Nero” e HP. Lovercraft che sublima una musica dal retrogusto antico ma nel contempo modernissima grazie al comunque possente afflato sonoro epic/Dark che trova la sua definitiva catarsi nella conclusiva “Circolo Spiritico 2000”.
All’incipit dolcissimo di acoustic guitars e salmodianti vocals, quest’ultimo brano contrappone digressioni violentissime di heavy dark con tanto di accelerazione finale per un altro geniale affresco epic/doom and dark and prog che chiude degnamente un lavoro veramente superiore a quanto prodotto negli ultimi anni in campo internazionale.
Sfido chiunque a contestarmi e concludo con la dolorosa consapevolezza, derivante dall’ossessivo ascolto di quanto emerge fra le righe delle liriche che, uscito prepotentemente dall’oscurità degli inferi oltre 20 anni orsono, L’Impero delle Ombre abbia voluto tornarci non prima però di aver consegnato alla storia un lavoro davvero degno di essere depositato sul nero trono di Paul Chain e Black Sabbath.
Non abbandonateci ragazzi!!!
Ulisse “UC” Carminati