Recensione: Back to the ‘80s

Una corsia dritta, facile e veloce da percorrere, ma che porta verso un futuro apocalittico, neanche troppo lontano e neanche così distopico visto il momento, sulla quale s’innesta una curva decisa, che torna indietro riportando verso i gloriosi anni ’80, periodo sicuramente con dei difetti ma pieno di luci e di vita. In mezzo alla strada c’è una macchina sportiva, la cui antenna acchiappa-fulmini porta alla mente la mitica DeLorean di ‘Ritorno al futuro’ (film, guarda caso, del 1985), con un braccio che esce dal finestrino per indicare la svolta. Questa è la copertina dell’album. Il titolo e la band che lo suona tolgono ogni “ragionevole dubbio”: ‘Back to the ‘80s’, ultimo Full-Length dei Sardi Megahera, disponibile dal 22 agosto 2025 tramite Witches Brew, è completamente concentrato su quella che è per loro (e non solo loro) la “Grande Era” del Rock e del Metal, con la chiara intenzione di farla risplendere.
Intenzione che è la base concettuale della band sassarese, già espressa nei lavori precedenti: ‘Metal Maniac Attack’ del 2011 e ‘Condemned To Insanity’ del 2013, poi registrato nuovamente nel 2021 ed ora ulteriormente marchiata a fuoco.
Se i Megahera, con questo nuovo album, volevano provocare una riflessione ci sono riusciti. Dalla fine degli anni ’80 sono passati 35 anni … cosa aveva in più questa decade rispetto ad oggi per essere ancora un riferimento? Aveva in più che aveva meno, che era tutto più difficile, pensate solo al Ku… quadro che i musicisti dovevano farsi per far circolare nel mondo una demo, od ai costi per produrla, comunque di pochi pezzi e di dubbia qualità, o lo sbattimento per incidere in posti lontani da casa o per suonare nei peggiori bar di Caracas … un disastro. Ma era anche il mondo che, se avevi fame, sapevi sopportare e se eri uno capace, ti faceva emergere senza bisogno di passare da un Talent, come Alex Skolnick, che è entrato nei Legacy (poi Testament) a 15 anni grazie al suo eccezionale talento o Andy Galeon, che ha iniziato a suonare la batteria nei Death Angel addirittura a soli 10 anni (un caso limite … vabbè).
Soprattutto, negli anni ’80 essere “metallari” era uno stile di vita, un’attitudine, con chiodo e sopra chiodo pieno di toppe e scritte che erano una seconda pelle (anche ad agosto, a volte). Era l’andare contro corrente, l’essere sovversivi, il fare parte di una contro cultura manifestando idee e pensieri scomodi che turbinavano come tornadi.
Oggi non è più così, per qualche motivo, come l’implemento della tecnologia che ha reso tutto più semplice ma che ci ha fatto anche un po’ sedere, c’è stato un generale appiattimento ed il chiodo è diventato più una divisa da concerti che non il marchio di un movimento.
Non andiamo oltre, ci sarebbe da scriverne un libro ma questa non è la sede. Torniamo, dunque, a parlare di ‘Back to the ‘80s’.
L’album è composto da 8 canzoni che richiamano, appunto, agli anni ’80, in particolare quei primi anni quando la scena statunitense ha preso la NWOBHM e l’ha fatta propria suddividendosi poi nell’US Power e nel Thrash. I riferimenti sono tanti, anche fuori dal Metal: Twisted Sister, Metallica, Dokken, Malice, Quiet Riot ma anche Blue Öyster Cult, Ramones, pure Police ed anche quella band di cui riconosci benissimo lo stile ma non ti viene mai in mente quando serve.
I Megahera prendono il tutto, lo assemblano, lo fanno loro e lo sparano fuori con potenza ed energia. Il risultato è elevato, con una scaletta trascinante e coinvolgente, con un sacco di chorus orecchiabili di pronta memorizzazione, un lavoro cordofono mostruoso ed una batteria esplosiva.
La produzione crea un’atmosfera cupa, in sintonia con la copertina (e con il sound dell’epoca richiamata) ma rende distinguibile tutto il lavoro fatto dai singoli musicisti in modo piuttosto certosino e gradevole.
Il songwriting, per forza di cose, non dice nulla di nuovo ma è vario e dinamico. La distorsione è massiccia, soprattutto quella del basso, che rende tutto solidamente disturbante e massacrante.
‘Back to the ‘80s’ è un disco ruvido ma melodico, granitico ma fluido, composto da brani di rapida assimilazione pur se di scrittura complessa, con un sacco di cambi di scena imprevedibili ma non scollati. C’è tanto punk rock sovversivo ed esaltante (l’energica ‘TommyKnockers’, che si rifà ad ‘I colori del buio’ di Stephen King, romanzo, guarda caso, del 1987, ‘I’m Not Your Puppet’), c’è lo Speed grezzo affiancato a bridge melodici e cori “settantiani” (‘Berserker’s Arise’), c’è il Trash tecnico, che però confluisce inaspettatamente dentro un atmosfera orchestrale lisergica che ricorda i The Beatles (‘Demiurge Hunting’), ci sono i ritmi marziali d’assalto carichi di epicità (l’inno ‘Rock Heroes’) e ci sono pure le atmosfere allucinogene che ti fanno passare da un mondo scuro ad un altro (‘Awakening’).
Insomma, c’è un sacco di roba, scoppiettante e dirompente … pericolosa per la cervicale di chi magari qualche annetto ce l’ha e la “Grande Era” l’ha vissuta, ritrovandosi ancora una volta dentro di essa per una quarantina di minuti circa. Un gran bel lavoro, concludendo, massiccio ed aggressivo, anche una punta nostalgico, ma ci sta. Sicuramente un gran bel passo in avanti (o, dovremo dire, indietro) per i Megahera. Aspettiamo le prossime novità con la curiosità di vederli dal vivo.