Recensione: Sovereign
Il nuovo album del singer e compositore Rob Moratti è sicuramente un buon modo per chiudere l’anno, all’insegna di un notevole carico di classe e melodia.
Moratti si conferma, infatti, padrone di un AOR di alto livello, baciato da un songwriting al solito levigato, brillante e carico di eleganza. Il nuovo album “Sovereign”, sulla scia del precedente e molto buono “Epical”, prosegue il percorso del singer nordamericano, tracciando una linea di continuità tra la sua carriera solista ed il passato con i Final Frontier. Un filo diretto che si ancora con successo alla facilità d’ascolto condivisa tra up-tempo AOR, mid tempo ariosi e ballad d’atmosfera.
Per il suo sesto album solista, non cambia la formula di un AOR con produzione curata nei dettagli e suoni profondi, arricchito da qualche sfumatura pomp e prog.
Notevole la crew di musicisti assemblata attorno al cantate. L’iperattivo Joel Hoekstra offre stile ed inventiva alle sei corde, mettendo il proprio eccellente talento al servizio di composizioni che ne traggono evidente beneficio.
Mai un assolo fine a se stesso. Piuttosto, una esecuzione organica e funzionale alla buona riuscita dei brani. Tony Franklin, bassista arcinoto e di lunghissimo corso è una ulteriore pietra angolare nel sound di “Sovereign“.
Il trio nordeuropeo Felix Borg alla batteria, con Fredrik Bergh e Pete Alpenborg a occuparsi di tastiere e chitarre ritmiche garantisce quel tocco “scandinavo” ad un cd che proprio nel gioco tra scandi rock e AOR d’oltreoceano scopre la propria chiave vincente e definitiva.
Un parterre che garantisce sia eleganza che solidità, con chitarre mai ridondanti, una sezione ritmica precisa e tastiere usate più per colorare che per sovraccaricare i brani.
In effetti, il nuovo album di mr. Moratti potrebbe essere tranquillamente descritto come un ideale incontro tra Journey, Boston e RTZ con riferimenti a Bad Habit e Street Talk. Un buon ponte tra i due versanti del rock melodico di cui, il sound “Morattiano” è da sempre stato una sorta di sintesi.
Tra i pezzi migliori si segnalano essenzialmente l’opener “Don’t Give Up On Love”, brano che svolge bene il ruolo di biglietto da visita, giocando su un crescendo melodico immediato che valorizza le armonie vocali tipiche di Moratti.
“Can’t Let You Go” rappresenta l’anima più AOR ortodossa del disco, richiamando per clima e costruzione pezzi alla Journey o The Storm, con un uso misurato ma efficace delle tastiere e un assolo di chitarra di grande gusto. Vanno poi citate ballad intense come “Every Word”, dove il piano e i tappeti di tastiere lasciano spazio a una performance vocale molto emotiva, e “I’ll Never Break Your Heart”, sostenuta da una ritmica più incalzante ma sempre al servizio del pathos melodico.
La produzione, come si diceva, è molto moderna e compressa, con un mix che mette al centro la voce e i ritornelli, sacrificando un po’ di dinamica a favore di un impatto levigato. Ne risulta un suono cristallino, perfetto per l’ascolto in cuffia o in streaming, che però a tratti rischia di uniformare le differenze di atmosfera tra le canzoni.
In termini di qualità, “Sovereign” è insomma un prodotto AOR di fascia assolutamente alta. Praticamente irrinunciabile per i fan del genere.
Forse il continuo lavoro di cesello su suoni e melodie, così come la ricerca spasmodica della perfezione formale contribuisce in parte alla perdita di spontaneità. Pur tuttavia non ci sono cadute evidenti e la prestazione vocale di Moratti resta il vero valore aggiunto, con un’estensione notevole e un timbro che continua a evocare i grandi nomi del settore senza cadere nella mera imitazione. Allo stesso tempo, l’album gioca in un perimetro molto sicuro, parlando direttamente al pubblico AOR già conquistato dall’artista canadese, più che cercare di sorprendere o spostare in avanti i confini del genere.
Per cura dei dettagli, eleganza e perfezione formale, uno dei vertici nella discografia solista di Rob Moratti. Al netto di una evidente impostazione eccessivamente “impeccabile” ed elitaria che può incorrere nel rischio di farlo apparire poco schietto e forse un po’ prevedibile.

