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Bruce Dickinson: ai giovani artisti consiglia di avere fiducia in sé stessi

Di Valeria Usiello - 4 Maggio 2025 - 14:00
Bruce Dickinson: ai giovani artisti consiglia di avere fiducia in sé stessi

Intervistato dal canale YouTube del Musicians Institute prima della sua partecipazione alla ‘MI Conversation Series’ che si è tenuta alla fine di aprile ad Hollywood, il cantante degli Iron Maiden, Bruce Dickinson, ha parlato del suo capolavoro, The Mandrake Project, del tour mondiale in corso e della sua innovativa serie di fumetti realizzata per Z2 Comics.

Tra i tanti argomenti, Bruce ha anche rivolto dei preziosi consigli ai giovani  artisti.

Dickinson ha affermato:

“Una delle cose più importanti è la fiducia in se stessi. E’ una cosa che non si può insegnare. Quello è carattere. E la fiducia in se stessi è veramente importante. Ho suonato con persone che sono state musicisti straordinari ma erano destinati a suonare per sempre nella loro camera da letto perché non avevano fiducia in se stessi, perché non si sono messi in gioco e non si sono esibiti in modo che la gente li notasse. Voglio dire, è come se fossi il più grande chitarrista del mondo e seduto in una tenda nel bel mezzo del deserto del Sahara: non ce la farai mai. Mi dispiace. L’universo non è giusto, perché verrai buttato giù, ti butterai giù, e altri musicisti cercheranno di buttarti giù anche loro perché cercheranno tutti di calpestarti per fare X, Y, Z. E cerca anche di non cadere nella tana del Bianconiglio di un particolare tipo di musica, anche se ami quel particolare genere di musica”.

 

Bruce ha continuato così:

“E c’è anche un lato ironico. Sì, hai bisogno di fiducia in te stesso, ma se fai in modo che la performance sia tutta incentrata su te stesso, la gente se ne andrà, perché nessuno è così interessante. Quello che devi fare è avere fiducia in te stesso per usare qualsiasi talento tu abbia per raccontare una storia, per dire qualcosa, per avere un sentimento che vuoi esprimere, che sia reale e autentico, e la gente ti ascolterà perché si riconoscono in te. Quindi sì, hai bisogno di fiducia in te stesso, ma non abbiamo bisogno di sentire tutto su di te. È come una partita a tennis. Voglio dire, quando ti esibisci dal vivo, è come una partita a tennis emotiva, perché tu tiri fuori la palla e il pubblico te la tira indietro e tu dici: ‘Ehi, facciamola circolare’ – boom. E poi la butti fuori di nuovo e gradualmente riscaldi l’audience. Ecco perché i concerti sono sempre migliori verso la fine piuttosto che all’inizio.

Qualunque cosa io abbia fatto l’ultima volta, è quella che mi fa andare avanti, non quella che ho fatto 40 anni fa o qualcosa del genere. Oh, è fantastico, ma l’ho fatto 40 anni fa. Non ascolto molto di quello che ho fatto, e quando succede, spero di essere piacevolmente sorpreso, a volte resto leggermente sconvolto, quindi dico: ‘Oh mio Dio. Non posso credere di averlo fatto. Oh, wow. A cosa stavamo pensando?’ Oppure sento qualcosa di tecnico tipo: ‘Oh mio Dio. Quella nota è un po’ strana. Come abbiamo fatto a lasciarla andare?’. Cose del genere. Diventi ipercritico. E cerco di evitarlo, perché quello che vuoi è una reazione immediata alla musica, e se provi a smontarla distruggi il momento. Ci sono momenti di eccellenza tecnica che coincidono con l’impatto emotivo. E quando lo fai, pensi, tipo, ‘Ehi, oggi eravamo da 10’. Ma a volte non succede, a volte ottieni un 9 e mezzo emotivo e un 5 tecnico. Ma cosa è più importante? Per il pubblico, sostengo che sia sempre un 9 e mezzo emotivo, tranne, ovviamente, per i nerd su YouTube che dicono: ‘Non mi piace perché non sa cantare un Re acuto sopra il Do…’ ‘Vaffanculo’. Capisci cosa intendo?”.

Bruce ha anche accennato a come la distribuzione musicale sia cambiata nel corso degli anni e a cosa significhi davvero per il sostentamento degli artisti. Ha detto:

“Ovviamente, quando è iniziata tutta la questione del file-sharing, agli albori, le major non capivano cosa le avrebbe colpite, quindi sono fallite tutte. Le persone che amavano ascoltare musica hanno detto ‘Ehi, fantastico. Tutta la nostra musica preferita è improvvisamente gratis’, il che è stato molto bello per loro. Non è stato un grande disastro per le band affermate con un seguito dal vivo, perché riuscivano ancora a vendere abbastanza prodotto, prodotto fisico, da giustificare la pubblicazione di un disco, ma potevano comunque andare in tour, fare soldi, guadagnarsi da vivere e fare merchandising, e così via. Quindi sì, fantastico. Ma per tutti gli altri sul pianeta che stavano emergendo, che faticavano a funzionare, Spotify è stata una catastrofe… Quindi devi usare la tua immaginazione creativa per cercare di presentare ciò che stai facendo in un modo che la gente ne sia entusiasta. È sempre stato così, ma è solo che il mezzo in cui devi farlo ora è diverso. Ora è online, è Instagram. E so che ci sono persone che se ne stanno nella loro tana con il microfono del podcast acceso e fanno praticamente una trasmissione in diretta ogni settimana con gli iscritti. Ed è così che fanno musica. Ma non è la stessa cosa che andare là fuori e fare un concerto dal vivo e costruire una comunità fisica in un unico posto. Potrebbe essere un modo per alleviare alcuni dei problemi associati alla distribuzione digitale. La cosa positiva è che le etichette discografiche, tutte quelle che si sono evolute dalle ceneri del vecchio sistema, sono diventate tutte molto esperte di tecnologia e si rendono conto che si può impedire alla gente di regalare la propria musica, che si possono ancora vendere dischi, che ci sono altre strade. C’è un infinito desiderio di consumare di musica, quindi qualcuno da qualche parte deve pur guadagnarci qualcosa”.