Power

Intervista Blind Guardian (Hansi Kürsch)

Di Davide Sciaky - 5 Dicembre 2022 - 9:59
Intervista Blind Guardian (Hansi Kürsch)

Intervista a cura di Davide Sciaky 

Ciao Davide, come stai?

Tutto bene, tu?

Bene, grazie.

Stai facendo molte interviste?

Sì, molte, ma mi pare che oggi sia l’ultimo giorno, poi rimane un podcast da registrare la settimana prossima e poi dovrei aver finito con la promozione di “The God Machine”.

Finalmente, dopo due mesi dall’uscita del disco immagino tu ne abbia fatte un sacco.

Ne ho fatte molte, ma è per un buon motivo quindi non mi posso lamentare.
Sono sorpreso che ci sia tutto questo interesse e che ci siano così tante riviste, online e cartacee, che tengono accesa questa passione.

Sì, c’è stato un interesse incredibile. Ci hanno offerto di fare quest’intervista diverse volte e ogni volta rispondevo dopo magari 10 minuti ed era già troppo tardi, tutti quanti volevano intervistarvi.

Non mi posso lamentare, è una cosa positiva, e la cosa notevole è che non abbiano neanche fatto molto negli Stati Uniti. Abbiamo fatto forse una decina di interviste negli Stati Uniti, che per quel paese è un numero piccolissimo, quindi se volessimo potremmo continuare con la promozione per un bel po’.

 

Parliamo del nuovo disco, “The God Machine” che ormai è uscito da più di due mesi. Non avete ancora cominciato il tour in supporto del disco ma sicuramente avrete sentito tante opinioni di giornalisti, amici e magari anche fan. Sei soddisfatto di come è stato accolto questo album?

Sì, penso che, come succede sempre per gli album dei Blind Guardian, la gente lo apprezzerà di più con il progredire degli ascolti.
È stato accolto molto positivamente, direi anche meglio di tutti gli ultimi album. Per ritrovare un album accolto così bene fin da subito dovremmo tornare veramente indietro di tanti anni, forse “Imaginations [from the Other Side”] è stato accolto così. Da allora ogni album ha avuto chi lo apprezza da subito, chi ha bisogno di più ascolti, e qualcuno a cui non piace del tutto.
È stato sempre così fin da “Nightfall in Middle-Earth”.
Questo album ha avuto un’accoglienza comparabile a quella di Imaginations o “Somewhere Far Beyond”, e questo è stato davvero positivo.
Posso dire che un po’ ce l’aspettavamo perché le persone che hanno potuto ascoltare il disco durante la produzione, o immediatamente dopo, ci hanno tutte detto che era un disco per i fan, per così dire. Un disco come “Legacy of the Dark Lands” ovviamente è un disco rivolto ad un pubblico limitato e a chi apprezza la musica orchestrata. “The God Machine” è un po’ come i Beatles, ha il potenziale di piacere ad un pubblico molto più vasto.

 

Ad uno sguardo superficiale uno potrebbe dire che i 7 anni passati da “Beyond the Red Mirror” sono tanti, ma nel mezzo siete stati in tour per due anni, avete pubblicato un live, siete andati in tour con i Demons & Wizards – tour che ha coinvolto tre membri dei Blind Guardian -, poi avete pubblicato il disco orchestrale, poi quello dei Demons & Wizards e ora finalmente il nuovo disco “regolare” dei Blind Guardian. Un calendario pienissimo ma, mi chiedo, in mezzo a tutti questi impegni vi siete mai detti, “Okay, ormai è passato un bel po’ dall’ultimo disco, forse è il momento di pensare a quello”?

Tutto questo ritardo è stato inaspettato, devo dire.
Siamo stati in tour per due anni, tutto andava come previsto, abbiamo finito il tour e abbiamo iniziato a lavorare alla scrittura della nuova musica; nel frattempo avevamo considerato l’impegno dei Demons & Wizards, quindi fino a quel punto tutto andava secondo i piani.
Poi abbiamo iniziato a focalizzarci completamente sulla scrittura della musica, abbiamo iniziato la pre-produzione e in quel momento pensavo che quantomeno saremmo riusciti a mantenere una distanza di 5 anni come era successo tra i due album precedenti.
Poi è arrivata la pandemia e quello ci ha rallentati di più di un anno. Da un certo punto di vista ci ha dato più tempo per dedicarci alla produzione, e questo può anche essere stato positivo, ma alla fine abbiamo perso più di anno perché c’erano problemi a livello di manifattura, mancavano proprio i materiali per stampare i dischi a causa della pandemia.
Alla fine per questi 7 anni di intervallo non puoi davvero darci la colpa [ride] siamo colpevoli forse di un anno di ritardo, ma penso davvero che più di un anno di ritardo sia imputabile a motivi fuori dal nostro controllo.
Il disco era completamente registrato a febbraio 2021, ci sono voluti sei mesi per mix e mastering e per agosto del 2021 l’album era pronto. Normalmente a quel punto entro cinque mesi il disco sarebbe dovuto uscire, ma a causa di questi problemi abbiamo dovuto aspettare molto di più.

 

Cosa significa il titolo dell’album, “The God Machine”?

Da un lato è l’atto della creazione, è un riferimento al nostro ruolo nel processo di creazione della musica: siamo noi stessi i creatori, gli dei, o siamo la “God Machine” (la macchina di Dio”)?
Questa è una delle idee dietro al titolo.
L’altra è legata al semplice fatto che anche qualcosa che ci sembra potente ha sempre un un elemento alle sue spalle che lo guida, questa è un’idea che troviamo già in “Battalions of Fear”, quindi è un po’ una chiusura di un cerchio.
Se guardi i testi delle canzoni parlano tutte di divinità, di interventi divini nel senso di interventi di questo tipo di forze esterne, una cosa che fa parte della vita.

 

In generale l’album è molto veloce e pesante, penso in particolare ad “Architects of Doom” che inizia in maniera davvero molto aggressiva. Ho letto che in un’altra intervista hai menzionato il Death Metal; c’era qualche band in particolare che ascoltavi durante la composizione di questo disco, o parlavi più che altro del feeling che volevi ottenere con queste canzoni?

Si parla più che altro del feeling che cercavo.
“Architects of Doom” è stata una delle prime canzoni che abbiamo scritto, era la fine del 2017 o inizio del 2018. La mia voce si doveva ancora riprendere dopo tutta l’attività dal vivo degli anni precedenti, quindi era ancora affaticata e quando mi sono trovato davanti gli elementi dell’inizio di questa canzone ho pensato di cantare in uno stile che potremmo definire Death Metal.
C’erano già le melodia che senti ora, quindi non era nulla di radicalmente diverso, ma c’erano alcune cose un po’ diverse. Queste però erano troppo eccessive per i gusti di André e quindi ho cambiato approccio.
Non posso dire che sia stata una grande perdita: sarebbe stato interessante provare un approccio diverso ma, sai, è stato solo un esperimento.

 

Parlando di testi, in queste canzoni hai affrontato tanti temi, tanti libri come Le Cronache dell’Assassino del Re, Le Cronache della Folgoluce e via dicendo, diversi libri di cui abbiamo già parlato in passato e che entrambi apprezziamo molto. Ci sono altri temi che avresti voluto trattare in queste canzoni ma per cui non hai trovato spazio?

Dovrei pensarci, è passato così tanto tempo.
[Sorride] Non è una domanda semplice perché è già passato molto tempo da quando abbiamo scritto queste canzoni e siamo già orientati verso il prossimo disco, per noi questo album è quasi vecchio. Quasi due anni fa ascoltavo le canzoni già quasi finite.
Ci penserò e ti manderò un’email se mi dovesse venire qualcosa in mente. Posso dirti che mi sentivo molto a mio agio una volta scelti questi argomenti, e mi ricordo che con altri album del passato è capitato di valutare temi diversi per delle canzoni, ma qui direi che è stato un processo piuttosto lineare.

Una canzone va in una direzione diversa, “Let It Be No More”, una canzone che parla (anche) della perdita di tua madre. È difficile affrontare un tema così personale in una canzone che verrà ascoltata da sconosciuti in tutto il mondo? O è il modo in cui affronti il lutto?

Ha aiutato ad affrontare quel momento. Ho scritto la canzone mentre mia madre affrontava la chemioterapia e in quel periodo c’era molto dolore.
La sua morte è connessa alla canzone e alla nascita di quelle melodie.
È una coincidenza che in quel periodo stessimo lavorando ad una canzone così melodica e delicata, poi ovviamente io mi sono lasciato trasportare quando ho lavorato alle melodie.
Quando sono arrivato a scrivere il testo però erano già passati 18 mesi dalla sua morte, e in quel momento sicuramente ero a più a mio agio ad affrontare i miei sentimenti, questo senza dubbio, e ho potuto trasporre quei sentimenti nel testo anche mascherandoli perché si tratta sempre di una narrazione. Ci sono anche molte ispirazioni provenienti da “The Leftovers”, il film e la serie. È una storia meravigliosa, parla di perdita e di cosa significa essere rimasti indietro e si pone proprio questa domanda: chi è che viene lasciato indietro? Siamo noi o i nostri cari che non ci sono più?
L’ho trovato un aspetto interessante e, ovviamente, ha risvegliato il mio lutto e ho trovato una connessione forte in questa canzone.
Ma non è neanche la prima volta che lo faccio, “Ashes to Ashes” è praticamente la stessa cosa, ho preso la morte di mio padre e l’ho inserita nel concept dei bardi di “Somewhere Far Beyond” parlando del bardo che accompagnava mio padre [dopo la morte].

 

Parlando di argomenti più tecnici, sono circa vent’anni che lavorate con Charlie Bauerfeind che ha prodotto e mixato tutti gli album da “A Night at the Opera”. Questa volta Charlie ha ancora prodotto il disco, ma per il mixing vi siete affidati a Joost van den Broek. Come mai? È stata solo una questione di disponibilità di Charlie o volevate provare un nuovo approccio?

No, volevamo provare una cosa diversa.
L’idea in realtà è stata suggerita da Charlie stesso, abbiamo fatto come una competizione coinvolgendo diversi ingegneri del suono e Joost era uno di loro: abbiamo ascoltato i mix al buio, senza sapere chi li avesse fatti, e tutta la band era concorde su Joost, quindi è stata una scelta facile.
Sentivamo che “The God Machine” fosse un nuovo inizio per la band, dopo “Legacy of the Dark Lands”, e quindi abbiamo valutato tutte le nostre opzioni. Abbiamo sentito la necessità di provare qualcosa di nuovo.

 

Ecco, e parlando di provare cose nuove, pensi che col prossimo album potreste valutare anche un nuovo produttore, o a questo punto il legame con Charlie è così stretto e funziona così bene che non ne sentite la necessità?

La questione è sicuramente aperta.
Non dico che sia impossibile, non è qualcosa a cui al momento abbiamo pensato, ma con i Blind Guardian l’obiettivo è sempre un’evoluzione, e dipende anche da cosa vogliamo ottenere e da cosa potrebbe portare una persona nuova.
Non siamo sposati con nessuno, c’è la band e ci sono i nostri partner che scegliamo saggiamente, credo, per accompagnarci. Quando vediamo qual è la nostra prossima sfida decidiamo chi ci può aiutare a gestirla.
Al momento l’idea è di fare con il prossimo disco come abbiamo fatto con “The God Machine”.

 

L’artwork, te l’ho già detto altre volte, a me piace molto ma ovviamente online si legge ogni parere possibile e posso capire chi magari non lo trova molto Blind Guardian. Mi puoi dare la tua interpretazione, dov’è il collegamento della copertina con la band, per te?

Io vedo una connessione con il titolo, “The God Machine”, questo angelo combattente è un guardiano dall’aspetto delicato ma forte. Quando lo guardi non sai se è un’entità fisica o eterea, e questo mi piace, anche se forse tra i due è più etereo.
Potrebbe essere il guardiano di una cosa come la macchina di Dio, o potrebbe anche essere la macchina stessa, questa è una cosa che mi piace.
La band, tutti quanti nella band, e questo è una cosa che non succede così spesso, si sono davvero innamorati di questo disegno e non ci è mai passato per la testa che potesse mancare un collegamento con la band. Forse c’è anche una connessione con i videogiochi a cui André, Marcus e Frederik giocano, e al modo in cui l’arte è usata in quei giochi.
È stata una decisione molto semplice e non abbiamo mai pensato che potesse essere una copertina non adatta alla band. La trovo un’evoluzione naturale del modo in cui il fantasy può venire trasposto nel 21esimo secolo: c’è una differenza tra il lavoro di Andreas Marschall, Leo Hao e Felipe Machado.
C’è sempre stato uno spostamento verso una direzione più moderna e al passo coi tempi, e in questo senso per me questa copertina è stata il passo successivo più ovvio che potessimo fare.
Peter [Mohrbacher] lavora in un modo molto maturo con la tecnologia, ma il suo lavoro mantiene un aspetto fiabesco e narrativo, e con questo soddisfa tutti i criteri che una nostra copertina necessita, secondo me.

 

E ora possiamo confermare una volta per tutte che tu non avevi nessuna idea del legame della copertina con Neon Genesis Evangelion.

[Ride] Ancora non lo conosco e non vedo una connessione così stretta come dice certa gente, va bene, sarà la lancia [di Longinus N.D.R.], ma per quanto riguarda il personaggio non vedo questa similitudine.
Sarebbe come dire che facciamo la stessa musica degli Iron Maiden, certo, in un certo senso è così, ma è anche qualcosa di completamente diverso.

 

La vostra immagine in questo disco, tra video e foto promozionali, ha seguito uno stile a tratti quasi steampunk, ma anche che ricorda il video di Another Stranger Me, ad esempio, con il vostro uso di completi. Da dove è venuta questa idea?

È stata una decisione che è venuta da più direzioni.
L’idea di indossare dei completi è stata mia, e questo è connesso all’idea di rappresentare i potenti alieni di cui parlo nel testo di “Life Beyond the Spheres”, ma anche come tributo ai Kraftwerk. Volevamo qualcosa di raffinato, artistico.
Per “Architects of Doom” c’è stato un approccio ispirato da un videogioco, non so come si chiami, ed è stata un’idea di André.
Nel complesso siamo andati semplicemente ad intuito seguendo quello che ci sembrava funzionasse, e quello che ci piaceva.
Non stavamo pensando al video di “Another Stranger Me”, ma sapevamo che i completi sarebbero state una buona idea. In realtà li avevamo anche già usati in passato all’epoca di “Nightfall in Middle-Earth”, e io avevo usato un completo pure con i Demons & Wizards, quindi è un elemento che ho già usato altre volte.
Mi è sembrata una cosa che potesse funzionare bene in “Life Beyond the Spheres” affrontando il tema delle specie aliene di cui parla la canzone.

 

Recentemente avete aperto il vostro Patreon, una cosa che nel Metal non è ancora particolarmente diffusa. Chi ha avuto l’idea e come vi state trovando finora? Avete visto un buon riscontro dal pubblico?

Le persone che si sono iscritte finora stanno apprezzandolo, questa è la cosa importante, e in generale mi sembra di aver visto una risposta positiva.
Personalmente lo vedo come un approccio moderno al fan club, è un modo di connettere i fan alla band. Ovviamente questa connessione ha dei costi che vanno coperti, ma penso anche che con questo mezzo possiamo offrire tante cose che interesseranno ai nostri fan.
L’idea ci è stata suggerita da qualcuno che ha creato qualcosa di simile a Patreon e questo ci ha incuriositi; questa persona ha sviluppato un’idea ma non l’ha mai portata a termine, ma poi qualcuno ci ha fatto notare che esisteva già una piattaforma, Patreon.
Ho delle alte aspettative da questo progetto perché c’è molto che possiamo offrire ai nostri fan, e abbiamo appena iniziato. Sarà un modo di interagire più stretto rispetto ai social media.

 

Hai ragione, una volta avevate già un fan club, ma con la tecnologia di oggi è molto più semplice offrire di più ai fan, ad esempio è più semplice condividere filmati di concerti e simili.

Ci sono molti filmati del passato che abbiamo in archivio, ma oltre a questo abbiamo intenzione di mantenere un contatto più stretto con i fan tramite chat e simili. Abbiamo tante idee, alcune non ancora completamente definite, ma sicuramente abbiamo intenzione di sfruttare appieno questa possibilità.
Voglio dire, la gente è libera di scegliere se iscriversi o meno e chi non lo fa non si perde la nostra musica o i nostri concerti. A chi piace l’idea di un fan club questa è l’unica opzione che offriamo oggi, e penso che col tempo questo diventerà molto simile a quello che dovrebbe essere un fan club.

 

Hai ragione, non ci avevo mai pensato in questi termini ma è assolutamente affine ad un fan club: paghi un’iscrizione, hai l’accesso a contenuti particolari, hai la possibilità di interagire con la band. Funziona esattamente come un fan club.

Esatto, e poi, guarda, è un esperimento: se funziona e la gente è contenta anche noi siamo contenti. Se la gente non è contenta anche noi non lo siamo e la cosa non andrà avanti per sempre.
Si tratta di fare tentativi, finché non provi non puoi sapere come andrà e se non ti butti in nuove esperienze vuol dire rimanere in una condizione di immobilismo che a noi non piace.

Questa era la mia ultima domanda, grazie Hansi.

Un piacere come sempre, Davide, ci sentiamo presto.