Hard Rock

Intervista I 100 migliori dischi Hard Rock, 1968 – 1979, l’epoca d’oro (Gianni Della Cioppa)

Di Stefano Ricetti - 13 Agosto 2016 - 12:30
Intervista I 100 migliori dischi Hard Rock, 1968 – 1979, l’epoca d’oro (Gianni Della Cioppa)

Intervista a Gianni Della Cioppa, veterano della carta stampata hard’n’heavy tricolore, realizzata in occasione dell’uscita dell’ultima sua creatura letteraria, “I 100 migliori dischi Hard Rock, 1968 – 1979, l’epoca d’oro”, da poco disponibile sotto l’egida della Tsunami Edizioni.

Buona lettura,

Steven Rich

 

I 100 dischi HR

 

 

Quale è stato lo spunto che ti ha indotto a pensare di scrivere un libro che – tutto sommato – contiene (anche) delle macro informazioni che oggi come oggi sono reperibili facilmente su altre fonti?

L’idea è semplice e sfruttata: una selezione di dischi in un certo ambito, che può essere genere, periodo o ruolo (cantanti, batteristi etc.), applicabile ad ogni forma di creatività: cinema, letteratura, fumetti, pittura etc. Ma credo che assemblare queste informazioni in un volume compatto e facilmente consultabile faccia la differenza. Oggi è vero, come dici tu, che si può trovare tutto su internet, ma credo che la forza di un libro di questo tipo sia l’agilità di lettura e l’approccio critico di un orecchio esperto e credo di poterlo dire, competente. Internet è una grande fonte di informazioni, ma rischia di alimentare la superficialità, tutti credono che wikipedia & C. siano sufficienti, ma non è così. Credo che ci sia ancora bisogno di una guida chiara e di fiducia.

Com’è nata la collaborazione con Tsunami Edizioni?

Devo dire che è stato un corteggiamento reciproco. Mi chiedevano di scrivere qualcosa per loro ed io volevo entrare nella famiglia Tsunami. Ed ora eccoci qui.

Cos’è, per te, l’hard rock? Come lo definiresti?

È quel suono che nasce dal blues e lo amplifica con distorsione e volume alti e soprattutto agli inizi, quindi fine anni ‘60 primi ‘70, in concerto lascia spazio all’improvvisazione. I puristi dell’hard rock non vorrebbero le tastiere, e diciamo che teoricamente potrei essere d’accordo, ma a ben vedere sono proprio e tastiere, soprattutto l’organo Hammond, che ha reso possibile numerose varianti e la crescita del suono.

Ti va di argomentare esaustivamente il perché di alcune esclusioni eccellenti dal tuo libro? Mi riferisco a Black Widow, Blackfoot, Magnum, Dictators e Stooges, per esempio.

Ci provo, ben sapendo che tutti avremmo fatto la nostra personale lista di 100 dischi. Nell’introduzione spiego molto bene alcune esclusioni diciamo eccellenti, che poi a ben vedere tali non sono. Ti faccio un esempio: escludere Magnum e Blackfoot è inevitabile, i loro dischi migliori sono, a detta di tutti, degli anni ’80 ed il libro analizza le radici dell’hard rock e quindi si ferma al 1979. I Dictators e gli Stooges hanno un’attitudine punk e gli ho preferito i New York Dolls, che pur se stilisticamente quasi punk, portano in dote il glam, che tanto ha fatto per la musica hard rock. I Black Widow li ho riascoltati almeno dieci volte prima di decidere se metterli e vi sfido a trovare un solo riff di chitarra. È un disco epocale, straordinario, ma non ha nulla a che fare con il rock duro: è psichedelico, è misterioso, è progressivo, ma non certo rock. Qualcuno mi ha chiesto dei Judas Priest, e sono d’accordo, alcuni loro dischi degli anni ’70, sono fondamentali, ma loro vengono considerati i dei del metal, con una produzione anni ’80 che ha influenzato tutto l’heavy metal che verrà. E quindi ho preferito dare spazio ad un nome meno noto, ma fondamentale, e potrei dirti Bloodrock, Fuzz Duck e Neon Rose, per esempio. Ti cito invece un disco che avrei messo volentieri, l’unico testimonianza omonima del 1975 degli Armageddon di Keith Relf, cantante degli Yardbirds e dei Renaissance, accompagnato da una band clamorosa. 

 

DELLA CIOPPA 33

Gianni Della Cioppa, accanto alla copertina di uno dei suoi ultimi libri: 33 Racconti Rock

 

Quanto tempo ci hai messo a scrivere il libro? Quali le fonti principali di approvvigionamento informazioni?

Dalla prima all’ultima scheda sono passati circa dieci mesi. Ovviamente in questo tempo ho fatto anche altre cose giornalistiche per le riviste per cui collaboro: Classix!, Classix metal e Classic Rock, oltre che seguire la mia label Andromeda Relix. Senza dimenticare lavoro e famiglia! Le fonti: poco internet e tanti libri ed enciclopedie che fanno parte della mia biblioteca. Debbo dire che la soddisfazione più grande è stata riprendere in mano i vinili, riascoltarli sullo stereo e leggere attentamente le note delle copertine. Sono momenti da brividi.

In che misura ritieni che i contenuti “Made in Della Cioppa” abbiano o possano fare la differenza rispetto a uscite simili o più o meno sovrapponibili del passato?

Non lo so, ma mi auguro abbastanza. Guarda, senza passare per il classico parruccone nostalgico, ma io credo ancora nell’esperienza, nell’abilità di chi le cose, i fatti li ha vissuti o scoperti prima di altri. E da questo punto di vista credo di essere una garanzia, visto che ascolto rock da oltre quattro decenni e ne scrivo da quasi tre. Inoltre l’abilità di scrittura è fondamentale. Su internet (ma anche sui libri), mi capita di leggere sintassi impresentabili, senza filtro, cose che sono scritte di getto, buona la prima. Non può funzionare così. Quindi, per risponderti, chi mi conosce sa che può fidarsi di me. Ma la speranza è di raccogliere anche nuovi lettori. Di fatto questo libro è diretto anche ai più giovani, che vogliono un manuale snello, scritto con passione ed esperienza, sul meglio della produzione dell’hard rock anni ‘70.

Pensi che esista ancora un pubblico numericamente consistente interessato a un libro come questo? Se si, secondo te fino a quando durerà, proiettato nel tempo, questo interesse?

Credo che oggi si venda poco di tutto; dischi, libri e tutto ciò che riguarda l’arte, quindi spero di soddisfare almeno le attese della Tsunami. Ma credo che la forza di questo libro, visto che analizza un’epoca passata e quindi difficilmente aggiornabile (dubito che salti fuori un altro capolavoro hard rock nascosto), sia di poter essere letto sempre e quindi venderà qualche copia sempre, anche negli anni venire.

Rimanendo in tema, come ti prefiguri la situazione hard’n’heavy fra dieci anni? Intendo a tutti i livelli, ossia concerti, band esistenti, vendite, seguito di fan, locali dove suonare, etc etc

Non finirà mai niente, ma ci sarà solo un modo diverso di vivere la musica. E questa è una cosa che sta già succedendo, proprio adesso. Dobbiamo infatti entrare nell’ordine delle idee che, finito il viaggio dei giganti del rock e del metal, non ci sarà nessuno in grado di prenderne l’eredità (nel pop ci saranno grandi fiammate di popolarità, con pedine intercambiabili nel giro di un paio di anni, come già succede). Ma questo perché il mercato si è frazionato in milioni di parti, ci saranno tantissimi rappresentati: quindi tanti dischi, tanti concerti, tanti festival, ma nessuno, o quasi nessuno, leggendario. Questo non vuol dire che è la fine del metal, ma solo che verrà ascoltato e vissuto in modo diverso. Ci sarà più spazio per tutti, anche se pochi faranno grandi numeri. Tutto in linea con la società di oggi: rapida e consumistica. Non è giusto o sbagliato, è solo diverso e a dirla tutta non è detto che sia un male. Per me non cambierà nulla, sarà sempre un gusto ascoltare, l’importante è che sia buona musica, sincera. L’unica cosa che non sopporto è l’opportunismo, chi fa le cose per moda.

A oggi, in Italia, sono rimaste due sole riviste definibili heavy metal disponibili presso le edicole. Secondo te sino a quando ce la faranno a resistere e ad uscire regolarmente visto l’andazzo?       

Intanto lasciamo esprimere tutto il dispiacere di non vedere più in edicola Metal Hammer e Metal Maniac, nonostante io scriva per la “concorrenza”, non le ho mai viste come rivali, ma come elementi della stessa passione, anche perché scritte da tanti amici, esattamente come Rock hard, che per fortuna regge. Sono dell’idea che più si parla di una cosa e più ha pubblico vasto, e quindi ha forza. La chiusura delle riviste sopra citate, è la dimostrazione che il fenomeno sta lentamente scemando.  Temo, come ti dicevo prima, anche se spero che sia in tempi lunghi, che la carta stampata metal è destinata a trovare sempre meno lettori, fondamentalmente perché non vedo un ricambio generazionale di lettori.

 

spitfire

La copertina di Time and Eternity, l’ultimo disco degli Spitfire di Verona (2010) 

 

Hai in cantiere altre uscite a livello di libri musicali?

Con l’amico e giornalista Francesco Bommartini, stiamo chiudendo “VERONA ROCK”, un libro che cerca di mappare la scena rock della mia città, dagli anni ’80 ad oggi. Verona è nota per la lirica, il beat ed il blues, ma ha un grande fermento rock e metal, in alcuni casi anche un certo successo, pensa agli Spitfire, ma se n’è parlato sempre poco. Ecco, noi vogliamo colmare questa lacuna. È una pubblicazione che si muoverà sul territorio locale, ma che sento l’esigenza di fare, perché ci sono pochi documenti ed il rischio è che molti nomi vengano dimenticati. Per fortuna Francesco ha voluto dividere con me questo viaggio, documentando gli anni più recenti. Ovviamente questo è solo un primo volume, quindi troviamo solo una parte della scena, ma l’intento è quello di un progetto più ampio, con vari libri negli anni a venire, un sito, concerti, festival. Vediamo se verrà capito o scatenerà solo la parte bruta del pubblico, ovvero invidie e gelosie. Ma io ho fiducia.

 

ITALIAN METAL LEGION

 

“Italian Metal Legion”, pur essendo un lavoro monumentale, contiene molti refusi e imprecisioni. Hai intenzione di pubblicare un’edizione riveduta e corretta in futuro?

Io credo che il libro abbia meno refusi di quelli che dici, soprattutto l’ultimissima versione del luglio 2011. Ma questo non ha importanza. Per risponderti, non penso che farò nuove edizioni, mi prendo tutto il merito di aver avviato, nel 2005, con la primissima versione del libro auto prodotta, la rinascita del metal italiano storico, che da quel momento in poi è tornato a fiorire con reunion, ristampe ed un ritorno di notorietà enorme anche all’estero. Le band dovrebbero darmi una percentuale su tutti i dischi venduti ed i concerti suonati, visto che senza “Italian Metal Legion” nulla sarebbe successo… 😉  Penso che alla materia abbia dato abbastanza, adesso mi dedicherò ad altro. Continuerò a difendere il metal italiano, ma in altri modi, magari con libri. Vedremo.

Restando in tema heavy rock italiano, sono a chiederti la tua “italian hard’n’heavy top ten list” di tutti i tempi.

Non posso davvero risponderti, rischio di perdermi per strada qualcuno. È chiaro che ci sono almeno 10/15 nomi imprescindibili, anche solo per offrire una mappatura dei più noti, ma è una domanda che merita la giusta attenzione. Posso però promettere che, in uno spazio adeguato tornerò sull’argomento.

Fino a quando continuerà a scrivere di Metallo Gianni Della Cioppa?

Smetterò quando mi accorgerò che lo sto facendo per mestiere e non con passione. E per ora questo non accade. Anzi ogni volta che leggo un nome che non conosco, la prima sensazione è quella di volerlo ascoltare immediatamente.

 

BIFF E LEMMY

Biff Byford (Saxon) insieme con Lemmy Kilmister (Motorhead)

 

Tuoi pensieri e parole – ma anche aneddoti, se ne hai – riguardo (uno a uno)

High Tide: coraggiosi ed incoscienti. Troppo fuori dagli schemi per essere compresi al tempo.

Sabaton: il true metal degli anni duemila.

Ghost: rock e mistero, il connubio perfetto. Forse sopravvalutati, almeno per me, ma certamente affascinanti.

Running Wild: la tenacia del metal anni ‘80.

Virgin Steele: per almeno dieci anni sono stati la massima espressione dell’epic metal.

Saxon: la purezza dell’heavy metal storico. Forse la band più sottovalutata della storia del metal. E questo nonostante un buon successo.

Foghat: il boogie rock alla massima potenza.

Rhapsody of Fire: grandeur italiano. Ma ovviamente a molti fan italiani questa cosa non piace, meglio incensare degli sfigati stranieri, che una grande band italiana.

Da ascoltatore e fruitore di musica, qual è stata, in ordine di tempo, l’ultima band che ti ha “stregato”?

In ambito generale sicuramente i giapponesi Mono, che fanno post rock strumentale e li trovo geniali. Se parliamo di prog certamente Steven Wilson, per il metal e dintorni, l’ultimo genio che mi ha sconvolto è Devin Townsend. Ma i nuovi percorsi di Anathema, Tiamat e di gente nata nel marasma black metal, come gli Ulver, sono davvero molto interessanti.

Secondo te in ambito hard rock e heavy metal è già stato detto e scritto tutto oppure esistono ancora margini di evoluzione?

Credo che l’unica evoluzione possibile sia la contaminazione con la tradizione sonora della propria terra, quindi medio oriente, Africa, India, Giappone e per l’occidente andare a pescare le tradizioni delle proprie regioni, come fa, non sempre bene bisogna dirlo, il folk metal. In ogni caso è sola la contaminazione tra generi che può dare energia e creatività. Altrimenti si naviga solo nel già detto e fatto.

Fra le cosiddette “new sensation” quali sono le band che più ti hanno intrigato negli ultimi cinque anni?

Attingendo da generi diversi del metal direi: Inglorious, Arcana 13, Haken, Myrath, Orphaned Land, Witchwood, Methodica, Zaneta, Messa, Gli Ingranaggi della Valle, The Dear Hunter, Røsenkreϋtz e, come puoi immaginare, chissà quanti altri che ora non ricordo.

Spazio a disposizione per chiudere come meglio ritieni l’intervista, grazie!   😉

Voglio ringraziarti Steven per questa opportunità e per tutto quello che fate con true metal: per difendere e diffondere l’heavy metal. Siamo tutti parte di una grande famiglia, abbiamo la fortuna di aver incrociato la grandezza del’hard rock e dell’heavy metal, il nostro compito: di chi scrive, di chi legge, di chi suona, di chi ascolta è solo quello di non arrenderci mai. Siamo dei privilegiati, non dimentichiamolo mai. Non tutti capiscono la magnificenza di questa musica. Up the horns!!

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti