Report: Haggard (Milano 07/02/2007)

Nelle menti dei poeti e degli artisti, esiste un luogo mitico, chimerico, un luogo che, data la sua irraggiungibilità e perfettibilità, induce a fare della propria vita un incessante peregrinare alla sua ricerca. Gli Haggard hanno trovato questo luogo nella musica, affinando il gusto disco dopo disco fino a raggiungere un passaggio che li ha condotti in una dimensione da sogno, scovando un sentiero illuminato dal nostro Galileo Galilei.
Un gruppo che ha percorso le antiche vie di And Thou Shalt Trust The Seer sentendo il richiamo della pietra, un gruppo che ci ha dato la possibilità di entrare, per mezzo di Awaking the Centuries, nei villaggi medievali e percepire la presenza di coloro che ci vissero tanto tempo fa. Questi sono gli Haggard, il sapore arcano delle nostre radici, giunti finalmente tra noi e solo per noi la sera dell’ultimo sette febbraio.
Allo scoccare delle ventuno raggiungo l’imboscato (almeno per me che arrivo da fuori Milano) locale meneghino, l’Alcatraz, decisamente adatto alla manifestazione corrente.
Uno sguardo di qua e di la per capire che in molti attendevano gli Haggard alla prova del nove, dopo la buona prestazione dell’Evolution Fest 2006 penalizzata da una posizione in scaletta non proprio consona al genere proposto: suonare il pomeriggio sotto un sole cocente non è una dimensione appropriata.
Un quarto d’ora dopo le ventuno Asis Nasseri fa l’ingresso sul palco, richiamato a gran voce da un pubblico che si aggira intorno alle 300/400 unità, sicuramente superiore alle attese. La formazione tedesca è disossata; presente con un/terzo degli eroi di Eppur Si Muove, dieci elementi che riescono nell’intento di ricreare un’atmosfera d’altri tempi e a sopperire alla mancanza dei compagni d’avventura.
L’inizio è il massimo che il medioevo metallico possa offrire di questi tempi, l’introduzione strumentale di Pestilencia è sostituita dalla meravigliosa All’inizio è La Morte, brano che apre il sempre attuale Eppur Si Muove e che accompagna i presenti all’interno dell’epoca ricostruita.
Il viaggio è appena cominciato, Prophecy Fulfilled/And the Dark Night Entered detta i ritmi di un concerto inaugurato nel migliore dei modi e il primo regalo per gli appassionati italiani è nell’aria: si intitola Her Mannelig, pezzo cantato nella nostra lingua dall’effervescente soprano Susanne.
Violone, violini, viola e tamburi accarezzano delicatamente il viso nelle lunghe parti strumentali di Per Aspera ad Astra; le chitarre e la batteria ruggiscono su The Day As Heaven Wept affresco tratto dal debutto And Thou Shalt Trust The Seer.
La band tedesca offre momenti di distensione con Claudio, che parla un ottimo italiano “consolidato” da inconfondibile accento calabrese (Vi state divertendo si? :D) e con Asis, quando fa finta di non capire le parole di un fan e improvvisa Raining Blood degli Slayer prima e una canzone dei Red Hot Chili Pepper’s (era un pezzo loro, vero? :D) per poi affermare con orgoglio: “Gli Haggard non fanno distinzioni di colore”. Ben detto Asis.
The Observer e De La Morte Noir le splendide decorazioni a supporto della title track di Eppur Si Muove che, parafrasando un motto piuttosto comune, ha simboleggiato il “momento di vero godimento” della serata.
Abbondanti le fasi per così dire, ancestrali, non mancano però quelle più aggressive di Heavenly Damnation e di In A Pale Moon’s Shadow, “contrasto musicale” che agli Haggard riesce benissimo, in fondo, si tratta di adeguarsi alla mano e all’espressività di musicisti con doti straordinarie e non affatto comuni.
Siamo al termine, mancano i canonici bis: l’apprezzata In A Fullmoon Procession, la “cantatissima” The Final Victory e il lungo ed epico epilogo di Awaking The Centuries.
Tutto perfetto. Pubblico, organizzazione, suoni, scaletta e, soprattutto, Haggard. Una serata che, come preannunciato dalla stessa band, sarà presto replicata.
Basterà attendere il tour europeo di supporto al prossimo disco, Tales of Ithiria, in uscita a giugno duemilasette; quando non saremo noi a ritornare nel medioevo ma, come da copione, sarà il medioevo a ritornare da noi.
Gaetano Loffredo