Live Report: Metalcamp 2009 a Tolmino (Slo) [Parte I]
Introduzione
(a cura di Riccardo Angelini)
Sabato: giornata votata all’estremo, sia pur con un occhio di riguardo per i classici. Gli inossidabili Sodom, i controversi Satyricon e i redivivi Testament sono sempre garanzie dal vivo, mentre ai Blind Guardian spetta il compito di tenere alto il vessillo di una tradizione più incline alla melodia.
Ma a Tolmino la musica non è l’unica protagonista: il Metalcamp è anche se non soprattutto una vacanza all’insegna di birra, natura e pura e semplice aggregazione sociale. Purtroppo Zeus tonante ha tuonato più di una volta durante la settimana di concerti, e non sempre l’organizzazione si è fatta trovare preparata. Gli acquazzoni del sabato non hanno compromesso lo svolgimento dei concerti (gli unici a subire una dilazione nel running order sono stati i Satyricon, ma non per fattori metereologici), tuttavia hanno rapidamente trasformato il campeggio e la zona attigua al palco in una grande pozza densa e fangosa, preparando (letteralmente) il terreno per i numerosi disagi dei giorni successivi.
La giornata è stata comunque piacevole e intensa, anche grazie alla bella accoglienza di una cittadina ormai avvezza alla pacifica invasione dei metalhead di mezza Europa e pronta a riceverla con sorprendente cordialità, oltre che con birra e vino in abbondanza. Chissà quando sarà così anche in Italia.
Sabato 4 luglio 2009
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Attica Rage
Hollenthon
Suidakra
Sodom
Testament
Blind Guardian
Belphegor
Satyricon
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Attica Rage
(report a cura di Riccardo Angelini)
(foto a cura di Daniele Peluso)
L’apertura del sabato tocca ai thrasher Attica Rage. La band ha origini scozzesi e le nuvole di Tolmino pensano bene di farla sentire subito a casa, accogliendola con un pioggerella fitta se pur leggera. I primi curiosi che nonostante il meteo avverso si avvicinano al palco assistono a uno show ortodosso e prevedibile come un gancio sinistro, a base di un heavy/thrash tanto volonteroso quanto limitato, non solo nei mezzi tecnici.
Ciò che più conta in questi casi, la determinazione, non manca – non è un caso del resto se dopo un ventennio di fatica e sudore nell’underground il debutto è finalmente andato in stampa lo scorso anno.
Gli Attica Rage si guadagnano quindi la pagnotta con una prestazione muscolare, consapevolmente debitrice di una tradizione affermata e affidabile. Il loro compito era scaldare il palco e attirare il pubblico in zona concerti – questo hanno fatto, nulla più e nulla meno.
Hollenthon
(report a cura di Riccardo Angelini)
(foto a cura di Daniele Peluso)
Ero piuttosto curioso di assistere alla prova degli Hollenthon: la band si mise in luce a cavallo del nuovo millennio con due album a diro poco contaminati, poi un lungo silenzio fino al ritorno nel 2008, con un death metal dagli spiccati accenti sinfonici.
Non era facile mantenere equilibrio nell’amalgama di orchestrazioni e metal estremo apprezzato su disco, e infatti gli austriaci risentono visibilmente della classica sindrome da campionamento. L’assenza di un tastierista di ruolo induce i volumi a premiare la componente death/thrash (a volte persino più thrash che death) rispetto a quella orchestrale, intensificando lo stacco fra le due.
L’impressione è di trovarsi di fronte a musicisti competenti ma legati a forme compositive ancora convenzionali, la cui personalità fa leva sugli abbellimenti melodici più che sul riffing o sulle idee ritmiche. Va comunque riconosciuto agli Hollenthon un duplice merito: quello di attirare l’attenzione di un crescente numero di spettatori e di indurre un gruppo forse non numerosissimo ma visibilmente divertito di questi a lanciarsi nel primo pogo della giornata. Siamo ancora agli inizi e va benissimo così.
Suidakra
(report a cura di Pier Tomasinsig)
(foto a cura di Daniele Peluso)
Terminata l’esibizione degli Hollenton, è tempo per i Suidakra di salire sul palco del metalcamp. Lo storico combo tedesco, attivo ormai da oltre dieci anni ed autore di un nutrito numero di full-length, si presenta on stage con discreta determinazione, deciso a valorizzare al meglio i quaranta minuti a propria disposizione. Il pubblico, che durante le precedenti esibizioni era stato ancora abbastanza scarso, inizia a raccogliersi in zona concerto, dimostrandosi piuttosto interessato alla particolare miscela di death melodico, thrash ed elementi folk-medievaleggianti proposta dai nostri.
La prestazione dei Suidakra appare sin dal principio convincente: i quattro di Düsseldorf tengono il palco con esperienza, l’esecuzione è sufficientemente precisa e di notevole impatto, supportata da volumi alti quanto basta e suoni nel complesso adeguati, pur se non pulitissimi e forse un po’ distorti, soprattutto sugli alti.
Buono il lavoro della sezione ritmica, guidata dal drumming potente ed efficace di Lars Wehner, pur se frequentemente si avverte un che di scolastico nel riffing, fortemente influenzato dai canoni tipici dello swedish-style. Non molto originali insomma, ma il riuscito connubio tra ritmiche incalzanti, atmosfere medievali e melodie catchy quantomeno non ha annoiato il pubblico presente.
Soziedad Alkoholika
(report a cura di Nicola Furlan)
Inizialmente attesi sul second stage, i Soziedad Alkoholika si ritrovamo magicamente proiettati sul main a causa della temporanea defezione dei Satyricon, spostati a fine runnig order per problemi inerenti i ritardi che hanno caratterizzato il loro trasporto aereo. Della serie non tutto il male viene per nuocere! Sia gli spagnoli, sia la compagine di Satyr, hanno infatti portato a termine degli show di ottimo livello. Tanti i brani estratti dall’ultima fatica discografica “Mala Sangre”, tante le pallottole thrash-core sparate in faccia agli affezionati portatisi nel mosh-pit.
Tra scivoloni nel fango, guerra a suon di lercio fieno (portato per assorbire quel fango che tra uno scroscio e l’altro aumenta sempre di più!) e un azzardato ‘wall of death’, i presenti si sono divertiti onorando il concerto dei cinque baschi del chitarrista e mastermind Jabi. Venti minuti intensi, davvero goduti.
Sodom
(report a cura di Nicola Furlan)
(foto a cura di Daniele Peluso)
Napalm In The Morning, The Sin of Sodom, Eat Me!, Axis Of Evil, The Saw Is The Law, Blasphemer, Agent Orange, City of God, Remember The Fallen , Sodomy & Lust: pezzi da novanta già più che sufficienti a soddisfare la sete di thrash teutonico degli affezionati. Ma queste ed altre canzoni hanno donato ancora di più, perchè hanno saputo far dimenticare gli inconvenienti intercorsi durante l’esibizione di Tom Angelripper e compagni, per più volte alle prese con i problemi della trasmittente chitarra di Bernd Kost.
Intramezzi silenziosi gestiti alla perfezione dall’esperienza di Zio Tom, pronto ad infuocare gli animi con cori e movimentate braccia al cielo. Difficoltà a parte, la band non ha nemmeno goduto di un grande lavoro fonico. I volumi davvero molto alti hanno pregiudicato l’impatto delle sezioni ritmiche in particolare mettendo in costante sordina l’uso della doppia cassa.
Poco male: come nelle belle favole che non hanno fine, il trio di Gelsenkirchen, alla stregua di una giovane band piena d’entusiasmo, ha portato avanti il proprio concerto con umiltà e con tanta voglia di far bene. I complimenti sono davvero un obbligo morale dopo ventisette anni di onoratissima carriera. Della serie: facciamo di ogni problema una virtù e prendiamo le cose col sorriso. Se questo non è puro thrash style!
Testament
(report a cura di Nicola Furlan)
(foto a cura di Daniele Peluso)
110 e lode a Paul Bostaph! Del concerto dei Testament quello che più ha colpito è stata la prestazione dei singoli, batterista in primis. Non che Billy e compagni abbiano sfigurato, anzi. Sopratutto il gigante Chuck ha ruggito come poche volte mi è capitato di sentire dal vivo. Esibizione eccellente dunque per la thrash metal band di Oakland che caccia dal cilindro una setlist di ben sedici canzoni, una suonata meglio dell’altra.
In particolare colpisce il lotto d’apertura; di seguito vengono proposte The Preacher, The New Order, Over the Wall, Practice What You Preach, Electric Crown e More Than Meets the Eye che, dopo i coinvolgenti cori che ne caratterizzano il ritornello, concede un attimo di pausa sulle battute di Billy, grande intrattenitore della numerosa schiera di fan presenti.
Tempo di riprender fiato e in men che non si dica ci si ritrova nei padiglioni auricolari il muro sonoro di The Persecuted Won’t Forget, anch’essa estratta dall’ultimo disco del 2008 “The Formation of Damnation”. Tra i pezzi proposti ancora qualche classico quale The Legacy, Into the Pit e Souls of Black e un encore finale inatteso, ma davvero convincente perchè incentrato su D.N.R. (Do Not Resuscitate) e 3 Days in Darkness, brani contenuti in uno dei più grandi dischi thrash dell’era moderna, quel “The Gathering” di cui tutti conserveremo memoria nel corso degli anni e che tanto amiamo veder riproposto dal vivo.
Volumi e suoni hanno fatto in modo che si potesse godere contemporaneamente di potenza e pulizia, apprezzando quindi sia l’aspetto tecnico dei singoli, sia la qualità complessiva dell’esibizione, una delle migliori dell’intera giornata.
Blind Guardian
(report a cura di Pier Tomasinsig e Riccardo Angelini)
(foto a cura di Daniele Peluso)
Sono circa le undici di sera quando ha inizio il concerto dei Blind Guardian, anche in un festival tradizionalmente orientato verso i generi estremi come il Metalcamp probabilmente l’esibizione più attesa della giornata. Il che vale a maggior ragione per coloro che, come il sottoscritto, avevano avuto modo di vederli pochi giorni prima al nostrano Gods Of Metal, dove i tedeschi si erano resi autori di uno show nel complesso piuttosto deludente. Due erano stati, in quell’occasione, gli elementi che avevano pregiudicato l’esibizione dei bardi di Krefeld: suoni assolutamente non all’altezza e un Hansi Kürsch in stato di forma a dir poco preoccupante. L’esigenza di una prestazione che spazzasse via i dubbi sorti con la recente prova allo stadio di Monza era perciò impellente.
Sono sufficienti pochi minuti per comprendere quelle che saranno le coordinate dell’esibizione di questa sera. Si parte, come al Gods of Metal, sulle note di Time Stands Still (At The Iron Hill) e, se da un lato si constata con piacere che la resa sonora è assolutamente adeguata, con suoni puliti, corposi e ben bilanciati, dall’altro la prestazione di Hansi si rivela fin dall’inizio, ancora una volta, deficitaria. Il simpatico frontman, che sfoggia per l’occasione il suo nuovo taglio di capelli, sembra non farcela più a cantare: la voce risulta sovente stentata, incerta e sforzata; i cori sono totalmente lasciati alla buona volontà del pubblico, che è numerosissimo e comunque entusiasta. La situazione non migliora di molto con le successive Born In A Mourning Hall e Nightfall, nonostante Olbrich e Siepen, peraltro autori di un’ottima prova alle rispettive chitarre, tentino di colmare le palesi mancanze di Hansi sui cori.
Una veloce incursione sull’ultimo album “A Twist In The Myth” con Fly e si torna al capolavoro “Imaginations From The Other Side” con il cavallo di battaglia The Scrypt For My Requiem, peraltro finalmente cantata in modo soddisfacente. Forse Hansi Kürsch aveva bisogno di un (lungo) riscaldamento? Sta di fatto che i pezzi successivi in scaletta, Turn The Page e Welcome To Dying, risultano convincenti. Niente da dire sull’esecuzione complessiva: i Blind Guardian sono una formazione esperta ed affiatata in tutti i reparti e da questo punto di vista certamente non deludono. Si prosegue con la tocante Blood Tears, Valhalla, come sempre uno dei momenti di massima partecipazione del pubblico, la trascurabile (almeno per chi scrive) Sacred e This Will Never End.
Il concerto sembra comunque aver preso una buona piega, almeno fino alla suite And Then There Was Silence, che ha purtroppo rappresentato uno “scivolone” notevole: un pezzo così complesso, che su disco presenta una quantità pressochè infinita di sovraincisioni e linee vocali che si affiancano e si rincorrono -e che richiede peraltro una notevole modulazione vocale-, non avrebbe dovuto essere eseguito dal vivo con Hansi in queste condizioni; inevitabile dunque che il brano in questione sia risultato in molte parti poco convincente e a tratti persino sgradevole.
Poco male però, perché col trittico finale Imaginations From The Other Side, Bard Song -attesissima e come sempre cantata a squarciagola da tutti i presenti- e l’immancabile Mirror Mirror si va a chiudere in bellezza un concerto che, se pure ha mostrato un vistoso punto debole nella prestazione del frontman, certamente non ha mancato di regalare emozioni e di raccogliere l’incondizionato affetto del pubblico, anche grazie a una scaletta -a parte un paio di eccezioni- davvero azzeccata.
(Pier Tomasinsig)
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In uno scenario quasi palustre scocca l’ora dei bardi, attesi headliner di una giornata fin qui poco incline alla melodia. Si accendono le luci e la magia di Time Stands Still apre le danze. Sarà il primo di quattro assi estratti da “Nightfall In Middle-Earth”, che scandiranno i tempi di una tracklist eccellente, ricca non solo di classici ma anche di sorprese. Unica nota stonata: Hansi è sul palco ma sembra aver dimenticato la voce nel backstage. Arranca sulle strofe e demanda tutti i cori al pubblico, che dal canto suo comprende l’impasse e offre con entusiasmo il proprio contributo nell’attesa che l’ugola tedesca si liberi della ruggine.
L’attesa non è breve e a tratti è assai dolorosa. Born In A Mourning Hall e soprattutto Nightfall si immolano mentre Mr. Kursh si danna per recuperare intonazione e volume. Le cose cominciano lentamente a migliorare da Fly in poi e finalmente decollano in tempo per un trittico delle meraviglie che pure non sempre trova spazio nelle setlist dei nostri: Welcome To Dying, Blood Tears (da brividoni) e Valhalla sono indubbiamente fra i momenti più alti del concerto. Ora la band gira al massimo: quando non deve arrampicarsi verso note troppo alte, l’ugola di Hansi gratta a dovere, e stavolta guida con successo i cori, levati al cielo da un pubblico a dir poco entusiasta.
Accanto alle gemme dal passato trovano spazio anche pezzi nuovi (oltre a Fly anche Turn The Page e This Will Never End) e nuovissimi (Sacred). Difficile non ammettere che per la maggior parte dei presente i memorabilia sono tutti legati ai brani della nostalgia, ma bisogna anche riconoscere che le canzoni più recenti hanno il duplice merito di donare varietà e freschezza alla tracklist, oltre a mettere in luce il talento del drummer Fredrik Ehmke, eclettico e potente ma decisamente più votato al groove che alla velocità.
Per non scontentare nessuno, comunque la chiusura sarà affidata a un altro trittico, stavolta di Classici: Imaginations From The Other Side, The Bard Song: In The Forest e Mirror Mirror salutano la folla e la riportano alla realtà. I bardi escono di scena, la canzone resta.
(Riccardo Angelini)
Belphegor
(report a cura di Pier Tomasinsig)
(foto a cura di Daniele Peluso)
Quello dei Belphegor avrebbe dovuto essere l’ultimo concerto del main stage, tra la una e le due di notte, non fosse che lo show dei Satyricon, che avevano smarrito la stumentazione in giro per l’Europa, è stato posticipato a chiusura della giornata. Non è ben chiaro dunque se il pubblico ancora presente durante le ore piccole fosse lì per gli austriaci o fosse piuttosto in stoica attesa dei Satyricon: sta di fatto che i nostri si sono esibiti davanti a un pubblico tanto numeroso quanto inizialmente piuttosto freddo.
E dire che la performance offertaci dal combo di Salisburgo è stata notevole. I Belphegor danno vita ad uno show molto convincente, aggressivo e violento, dimostrando buona presenza scenica e capacità esecutive di tutto rispetto, anche se forse certe linee melodiche ben evidenti su disco, secondo la lezione mutuata dal death/black di scuola svedese (Dissection su tutti), risultano un po’ coperte dal lavoro devastante e talora anche un po’ invadente della sezione ritmica. Volumi alti e suoni pieni e potenti, non pulitissimi ma assolutamente idonei ad evidenziare la notevole brutalità riversata incessantemente sul pubblico, che dopo una prima fase di incertezza inizia giustamente a scaldarsi.
Molto carismatico a modo suo l’imponente e inquietante frontman Helmuth, che affronta il palco con piglio truce e determinato, non disdegnando di concedersi al dialogo con il pubblico di quando in quando e sfoggiando, in quelle occasioni, un vocione se possibile altrettanto brutale del suo growl, peraltro ancor più profondo dal vivo che su disco. Tra sangue finto ed accessori in stile sadomaso, come il pittoresco cappuccio in cuoio chiodato che il cantante indossa verso la fine del concerto, lo spettacolo non manca, anche se l’atteggiamento dimostrato questa sera dai Belphegor è per la verità molto concreto e non troppo incline ai fronzoli.
Gli austricaci sfruttano al meglio l’ora scarsa a loro disposizione proponendo una scaletta molto valida, quasi totalmente incentrata sugli ultimi album; tra le altre, vengono eseguite Bleeding Salvation, Seyn Todt In Schwartz e Belphegor – Hell’s Ambassador, passando per la classica Lucifer Incestus e mostrando un ovvio occhio di riguardo per l’ultimo full-length, dal quale vengono tratte Stigma Diabolicum, Justine: Soaked In Blood e, a degna chiusura del concerto, la riuscitissima e trascinante title-track Bondage Goat Zombie. Piaccia o meno la loro attitudine pacchiana e ostentatamente provocatoria, bisogna riconoscere ai Belphegor di aver dato vita ad un concerto di tutto rispetto.
Satyricon
(report a cura di Pier Tomasinsig)
(foto a cura di Daniele Peluso)
C’è da dire che questa sera i Satyricon si sono davvero fatti attendere… il loro concerto, originariamente programmato per le ore 19.45, subito prima dell’esibizione dei Testament, pareva essere saltato, a quanto pare a causa della perdita dell’intera strumentazione nel viaggio. Fortunatamente per i numerosissimi fan intervenuti l’esibizione dei norvegesi si è comunque tenuta, iniziando però alle 2.35 del mattino. C’è da dire però che la lunga attesa è stata ripagata da uno show di ottimo livello.
Si parte, subito dopo una breve intro atmosferica, tra fumogeni e luci algide, con Fuel For Hatred e The Wolfpack, ed è subito evidente l’ottimo stato di forma della band norvegese. L’esecuzione è potente e precisa e trasuda quel tipico groove ripetitivo e incalzante di cui gli ultimi lavori dei Satyricon han fatto un marchio di fabbrica. I norvegesi si dimostrano da subito molto dinamici sul palco, con headbanging costante e piglio aggressivo.
Satyr dal canto suo tiene il palco con sapienza e dialoga molto col pubblico, non mancando di ringraziare gli astanti per la pazienza indubbiamente dimostrata, e va dato atto che, per quanto ormai il suo look appaia più consono ad una rockstar piuttosto che a qualcuno che ha scritto pagine importanti del black metal, il laccato frontman sfodera una buona prestazione dietro al microfono.
I suoni sono tra i migliori che una band abbia potuto vantare in questa edizione del Metalcamp, puliti, potenti, corposi, ottimamente bilanciati e nitidi anche ad una certa distanza dal palco. Il riffing è compatto, martellante e di indubbio impatto, la prestazione dietro le pelli di Frost è impeccabile, per quanto, verrebbe da dire, i pezzi recenti (su cui il concerto è quasi completamente imperniato) difficilmente potebbero mettere in difficoltà un batterista del suo calibro. In effetti, se si esclude una veloce capatina su “Rebel Extravaganza” con la claustrofobica Filthgrinder, quasi tutti i brani proposti sono tratti dagli ultimi due album.
Alla prova dei fatti la scelta appare corretta: queste canzoni ben rappresentano quello che i Satyricon sono oggi, ed è questo che il pubblico, almeno a giudicare dalle reazioni entusiastiche della maggior parte degli intervenuti, evidentemente vuole. In tal senso ha dato di che riflettere la reazione a dir poco tiepida che ha ricevuto Den Siste, cupa, opprimente e oscura, forse l’unico momento di vera atmosfera che un concerto prevalentemente incentrato su pezzi diretti e di facile presa abbia regalato; eppure sono stati proprio i pezzi più immediati e catchy, come Now, Diabolical o Black Crow On a Tombstone, quelli che il pubblico ha dimostrato di gradire di più.
Il sipario si chiude, dopo circa un’ora, sulle gelide note di Mother North, e c’è da dire che, sebbene faccia sempre piacere assistere all’esecuzione dal vivo di uno degli inni più importanti e rappresentativi del black metal norvegese, la sensazione è che questo pezzo sia fortemente fuori contesto rispetto al resto della scaletta, niente più di un doveroso contentino alla storia. Preso atto che i Satyricon di oggi sono un’entità musicalmente del tutto distinta da quelli del passato, resta il fatto che stasera i suddetti, a dispetto dell’orario e dei vari disagi, hanno fornito un’ottima prova sul palco del Metalcamp.
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A domani il seguito, con i concerti di domenica 5 luglio…