
DARK TRANQUILLITY



KREATOR



[post_title] => Fotoreport: Kreator + Dark Tranquillity 09/02 a Milano
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Buddha cafè, Orzinuovi - 22/02/2005
Mi trovo in questo Buddha cafè di Orzinuovi per assistere alla performance degli Asia in un'atmosfera piuttosto discutibile.
Dopo aver fatto conoscenza con Stefano Luciano della International Rock Agency (al quale vanno i miei ringraziamenti per la disponibilità dimostrata) ci dirigiamo entrambi da Ace, tour manager degli Asia per ottenere il permesso di scattare foto in mancanza dell'apposito pass.
L'apertura dello show è affidata a "wildest Dream", un ottimo flashback nei mitici '80 penalizzato da un centinaio di presenze che di sicuro non rendono onore alla storica band; tuttavia è quasi possibile parlare col proprio vicino senza dover alzare la voce.
Niente da aggiungere nemmeno sulle successive canzoni e soprattutto sul medley acustico dove si susseguono rapidamente (in ordine sparso) "Voice Of America", "Who Will Stop The Rain", "Open Your Eyes" tra le tante, piuttosto che l'allegro assolo del immenso Geoff Downes, il quale coglie l'attimo per ricordare una delle sue prime composizioni con i Buggles “Video Kill The radio Star”.
Troviamo anche posto per l'ospite d'eccezione Carl Palmer che esegue con grande tecnica e classe i due brani "Heat Of The Moment" e "Only Time Will Tell".
Tutto termina con il bis che consiste in "Go" (dall'album Astra).
Naturalmente i miei lettori si stanno chiedendo per quale motivo il report è così breve e striminzito.
Alla base c'è una sola motivazione. Cosa è mancato a questo concerto a parte le canzoni? Naturalmente rispondo io: il pubblico!
Com'è possibile che una band con carriera venticinquennale sia ridotta a suonare in un club dove a malapena ci sono quattro anime messe in croce? Tutto questo non fa onore ad una band che nel corso della sua carriera ha prodotto ottimi lavori dai quali le canzoni più blasonate hanno trovato addirittura spazio nelle compilation di one shot '80 ("Heat of the moment" per intenderci).
Per quale motivo nel nostro Paese le date di alcuni tour mondiali vengono organizzate in modo pressoché approssimativo in luoghi dimenticati da Dio? E' una cosa talmente difficile ospitare gli Asia a Milano almeno per le date del nord Italia? Di sicuro nel capoluogo Lombardo in un locale adeguato (anche martedì) ci sarebbe stato un quasi sold out e di questo ne sono più che certo, se si considera che Milano è dieci volte servita a livello di mezzi di trasporto e collegamenti stradali rispetto ad Orzinuovi.
A parte l'impeccabile performance della band e soprattutto la cordialità e gentilezza nel concedersi a quei pochi affezionati fan muniti di pennarelli e cover cd, assistere a questo evento è stata una grande delusione.
Stazione Birra, Roma - 27/02/2005
E' stata una piacevole scoperta quella di "Stazione Birra", locale dell'Hinterland romano a me sconosciuto fino a ieri, prima cioè che una delle band più importanti dell'Art prog facesse tappa da queste parti. Ci tengo a rimarcare la bellissima struttura, molto american pub, dalle rifiniture curate, la buona (e non costosissima) birra, ma, ciò che più importa, un bel palco attrezzato e un'acustica invidiabile.
L'evento attira anche per la presenza, come gruppo spalla, dei Metamorfosi, band di progressive rock italiano, di cui il sottoscritto ha recensito l'ultima fatica, "Paradiso". Ed è proprio il Paradiso nella sua interezza che i nostri ripropongono, con il suo frontman Jimmy Spitaleri a cui è affidato l'arduo compito di scaldare gli animi. La sua voce evocativa incide più di quanto il pubblico sottolinei con sporadici applausi, nonostante la forma non sia strepitosa (gli acuti stridono pericolosamente) e, stando alle sue dichiarazioni post-esibizione, il tecnico di palco non ha reso le cose facili alla band che soprattutto dal punto di vista strumentale incappa in qualche errore di troppo. Fortunatamente la resa dalla parte del pubblico è, come anticipavo, decisamente apprezzabile, molto più di quanto io abbia constatato negli altri locali capitolini.
Cambio palco abbastanza svelto, e gli Asia, nella formazione che ha suonato sull'ultimo album, "Silent Nation", fanno la sua comparsa di fronte ai convenuti, il cui numero fa un buon colpo d'occhio. Certo, l'età media non è quella di un concerto dei Rhapsdoy (e non me ne vorrà la band di Turilli & co.), tutt'altro, e questo si nota dalla compostezza con cui gode della performance, non per questo evitando di partecipare ai momenti corali. E' un peccato che l'audience giovane non abbia colto l'occasione di vedere delle vere e proprie leggende viventi, ma d'altro canto, non assistere ai soliti teatrini buzzurri messi in piedi da certi figuri dello zoccolo duro della scena metal underground romana ha sottolineato ancora di più la qualità della proposta nonché la classe della band.
Geoff Downes, founder degli Asia e unico membro a essere stato sempre in formazione, circondato da tre pareti di synth ammicca e lancia la classica opener, "Wildest Dream", tratta dal primo e indiscusso omonimo debut, da cui la setlist pescherà senza economizzare, tant'è che il brano viene seguito immediatamente da un'altra hit dello stesso album, "Here Comes The feeling".
Una breve pausa concede a John Payne, (che sostituì un certo John Wetton a partire dalla reunion del 1990) di fare i dovuti saluti e presentare l'ultima studio release con il brano "Ghost In The Mirror", per poi tornare subito ai classici di "Asia", con "Time Again". Dopo quattro brani pungenti e vivaci è il momento di passare ad un pezzo più intimo, e la title-track del nuovo album cade a puntino. Il pubblico approva, e questo significa che "Silent Nation" ha ottenuto un buon successo di critica ma soprattutto un buon livello di vendite, grazie anche alla nuova etichetta (Inside Out). Ma è ovvio che chi vede gli Asia dal vivo per la prima volta, brama di sentire le canzoni del 1982, e così ecco "Cutting It Fine", seguita dal solo di Downes, ormai un classico: "Video Killed the Radio Star" (The Buggles, 1979).
Si prosegue col singolo di "Silent Nation", la bellissima "Long Way From Home", preceduta da una breve spiegazione di Payne, che rivela di essere stato ispirato dai viaggi lontano da casa per le liriche dell'intero album, e la storia "seria" viene infarcita di battute e scambi di risate tra i membri della band, su tutte l'immancabile battuta sul titolo del nuovo CD, che stranamente non ha seguito la tradizionale parola di quattro lettere che iniziasse e terminasse per "A": "L'unica parola che ci veniva in mente era Asma, ma non ci è sembrato il caso"... E giù risate...
Segue un intermezzo acustico, con Payne che molla il basso e abbraccia un'acustica, accompagnando allo stesso strumento Guthrie Govan, nuovo giovane chitarrista che con tranquillità si diverte a non pensare al fardello che ha sulle spalle, ovvero l'eredità di Steve Howe... Così vengono eseguiti quattro brani dagli album meno fortunati, vale a dire "Open Your Eyes" da Alpha, "Voice Of America" da Astra, "Don't Call Me" da Aqua, e "The Longest Night" da Aura.
Gradualmente si arriva al clue, i brani si fanno più elettrici, dapprima con "Who Will Stop The Rain", tratto da Aqua, quindi "What About Love", da Silent Nation, aprono la strada alla mitica "Sole Survivor", in cui Chris Slade alla batteria (ex Ac/Dc e Uriah Heep) sfoggia una prestazione energica su un brano acclamatissimo.
L'atmosfera è cotta al punto giusto, ecco che Payne introduce "uno dei più grandi batteristi viventi", e in tenuta quasi ciclistica fa il suo ingresso sua maestà Carl Palmer, già annunciato special guest della serata. Carl, membro fondatore del supergruppo nel 1982, suona due brani, ovviamente dal debut, vale a dire "Only Time Will Tell" e la stratosferica hit "Heat Of The Moment", acme dell'esibizione, prima di salutare tutti ed uscire di scena.
La toccata e fuga lascia non poche perplessità, ma le richieste di bis vengono esaudite a metà, visto che gli Asia tornano sì sul palco (per eseguire "Go", tratto da Astra), ma senza Palmer...
Poco male, visto che subito dopo il concerto la band (Palmer compreso) si ferma a firmare autografi e fare foto con i fan, che sembrano apprezzare davvero l'iniziativa...
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Report e Foto di Mario Munaretto
Cliccate sulle foto per ingrandirle
Il viaggio di andata verso il Thunder Road di Codevilla, ridente località sita nell'Oltrepo Pavese, è foriero dell'apocalittico viaggio di ritorno verso casa, che mi avrebbe visto qualche ora più tardi, solo, perso e spaesato nel piatto deserto bianco della tundra padana. Nel bel mezzo quindi di una virulenta nevicata, che andava di minuto in minuto aumentando copiosamente d'intensità, raggiungo il locale nel tardo pomeriggio, grazie soprattutto all'aiuto e al supporto telefonico del collega Engash-Krul, oscuro e misterioso indigeno di queste inospitali lande, con lo scopo di mettermi subito al lavoro intervistando gli Enthroned, con i quali mi ero precedentemente accordato, e chiacchierare con un paio di persone di mia conoscenza. Dopo il sound check di rito e l'essere stato arruolato da Sabathan per un turno di piantonamento al banchetto dei belgi, il concerto ha inizio mentre la gente comincia ad arrivare alla spicciolata. C'è da dire però che a causa dell'abbondante nevicata e dello stato quasi impraticabile di strade e autostrade, le persone presenti si potranno poi contare intorno al centinaio scarso, un vero peccato per un appuntamento così ghiotto e ben organizzato.



Il concerto viene aperto dai milanesi Stormcrow, che avuto già modo di ascoltare nel recensire il loro ottimo demo Wounded Skies, sulle note dell'intro Keeping the Serpent's Path. Particolare la presenza del singer e drummer Goraath, che tra un blast beat e una rullata, urla come un forsennato i suoi scream, mentre i due chitarristi, Loki e Narchost, imbastiscono i loro muri di suono con il supporto di Zedar e del suo basso. Dalla loro violenta performance live, ho avuto la conferma di quanto ascoltato su dischetto ottico ( potete leggere la recensione a questo indirizzo ), e senza dubbio la band ha delle buone potenzialità.
Dopo una breve pausa è l'ora dei genovesi Sacradis. Ho avuto modo di leggere e sentire degli ottimi pareri su questo gruppo da parte degli addetti ai lavori, e nel tragitto da casa a Codevilla, ho potuto ascoltare superficialmente il loro recente debut Darkness of Our Souls, che avrò modo di recensire nei prossimi giorni. Sul palco sono una vera sorpresa e i cinque fanno sul serio coinvolgendo alla grande il pubblico, grazie al carisma dell'indiavolato cantante Kadath e al bassista Winternius, che sembra posseduto. I cinque indemoniati sciorinano con grande intesità il loro raw black metal, tiratissimo e monolitico, pescando a piene mani dal loro ultimo lavoro, che riproposto dal vivo sprigiona veramente un'energia primitiva, non immediatamente percepibile su cd. Niente da dire dunque, la prova del combo ligure è davvero convincente.

Terzo act della serata sono i siciliani Inchiuvatu, guidati dall'indiscusso leader Agghiastru e fautori di un concerto molto particolare e ricercato, con un impatto visivo minimale ma di sicuro effetto e una prova musicale che da una parte ha esaltato uno zoccolo duro di astanti, presente per tutto il tempo sotto il palco e pronto a cantare a memoria tutte le canzoni proposte da Astru e soci, mentre una parte del pubblico si è fatta coinvolgere meno, accogliendo più freddamente il set della band.


Chiudono la serata gli headliner Enthroned, in quella che per ora è l'unica data effettuata sul suolo italico, dopo l'uscita lo scorso autunno dell'ottimo Xes Haeriticum. Ed è proprio sull'ultima fatica discografica che la band belga imposta gran parte dello show, occasione anche per presentare la rinnovata line-up del gruppo, che al fianco dei veterani Lord Sabathan e Nornagest, vede il chitarrista Nguaroth e il drummer Glaurung. Gli Enthroned attaccano subito con un uno-due micidiale portato da Radiance of Mordacity e The Antichrist Summons The Black Flame, tratte rispettivamente dal precedente Carnage in Worlds Beyond e Towards the Skullthrone of Satan. Dopo aver deliziato i presenti con una violentissima Scared by Darkwings, dal leggendario Prophecies of Pagan Fire, i belgi inanellano una devastante sequenza di pezzi presi dall'ultimo album: Dance of Thousand Knives, Last Will, Blacker Than Black, Vortex of Confusion e Hellgium Messiah. Qui e là vengono dispensate perle pregiate come The Ultimate Horde Fights, Rites of the Northern Fullmoon e Evil Church, che mostrano il gruppo in serata, nonostante qualche piccolo inconveniente tecnico. C'è anche tempo per un bis, durante il quale gli Enthroned massacrano selvaggiamente i loro strumenti per una cover di Under the Guillottine dei Kreator, che chiude in bellezza la serata e il concerto, che se non fosse stato per il tempo oltremodo malevolo, sono certo che avrebbe riscontrato un maggiore afflusso di interessati.
[post_title] => Report: Enthroned - 20 febbraio - Codevilla (PV)
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Report di Alberto "Hellbound" Fittarelli e Matteo Lavazza
Foto di Alberto "Hellbound" Fittarelli
Cliccate sulle foto per ingrandirle
Si prospettava come un vero evento il concerto che vedeva, nella parte alta
del cartellone, i nomi di Kreator e Dark Tranquillity a tenere banco: e infatti
al Rolling Stone di Milano è accorsa mezza Italia, letteralmente, con un locale
presto riempitosi e grande attenzione del pubblico sin dalle prime battute del
concerto. Un locale perfetto, quello milanese, per questo tipo di eventi:
l'ampia sala si presta infatti bene, sia per acustica che per spaziosità, a
spettacoli che richiamino un certo quantitativo di persone, come accaduto in
questa serata; e permette anche a chi vuole prendersi un attimo di riposo di non
morire pressato nella calca. Detto che la puntualità non è mai una costante di
queste date, bisogna dare atto all'organizzazione che non si sono registrati
grossi ritardi, anzi: il tutto è terminato entro le 23, senza mai presentare
problemi di alcun tipo.
Iniziamo il report della serata parlando dei danesi Hatesphere, che
hanno aperto lo show con il loro solito set tritaossa, movimentato e
caratterizzato dalla grande interazione col pubblico: i pezzi scelti sono i
migliori mai usciti dalla loro penna, e Jacob sa come far partecipare le persone
già assiepatesi sotto al palco per rendere al meglio il concerto. Su tutte le
canzoni eseguite, per una mezzora scarsa, spiccano sicuramente Release the
Pain e Deathtrip, cavalli di battaglia proposti in fila all'inizio
della setlist che vengono accolti in modo clamoroso, specie considerando che si
tratta della band di apertura per un bill di 4 gruppi: e notoriamente il primo
gruppo è quello che in media si guarda con meno attenzione... assolutamente
coinvolgenti, quindi, e precisi: speriamo che non si inflazionino troppo (la
loro proposta musicale non è così varia, e il fatt che tornino tra un mese di
spalla ai Morbid Angel potrebbe quasi essere uno svantaggio, per certi versi...)
e che continuino a sfornare musica di qualità.
Continuo invece a chiedermi come una band come gli ungheresi Ektomorf
possa godere di tanta e tale promozione: è vero che il sound è abbastanza in
voga attualmente, ma questi cloni degli ultimi Sepultura non mi hanno convinto
nemmeno dal vivo. La band è stata infatti abbastanza statica, seppur supportata
da un'ottima scenografia di impronta orientaleggiante... ma anche se le ritmiche
incitavano al movimento, il pubblico non è sembrato in sostanza reagire con un
grande coinvolgimento. Pezzi come I know them dovrebbero avere la loro miglior
dimensione dal vivo, ma qui sembravano semplicemente una riproduzione della
traccia registrata, con scarsissima energia da parte anche dello stesso frontman.
Assolutamente superflui nella serata, e soprattutto non meritavano il terzo
posto nel bill.
Che cosa dire invece dei Dark Tranquillity? La cornice è stata
assolutamente azzeccata: una semplice ma intrigante scenografia, delle luci ben
regolate e che hanno saputo creare un'atmosfera adatta, e la solita scarica di
adrenalina data dagli svedesi grazie ai loro pezzi. Giganteggia come sempre Mikael
Stanne, un uomo nato per fare il frontman, che senza atteggiarsi in nessun
modo precostruito riesce a instaurare subiti un grande feeling coi fans e ad
interpretare al meglio ogni singolo pezzo. La scaletta prevede soprattutto brani
degli ultimi dischi, con un occhio di riguardo ovviamente al nuovo Character,
da cui vengono scelte le belle The New Build, Lost to apathy e Through smudged lenses;
viene decurtato completamente (a sorpresa) Projector, di cui non
è eseguita nemmeno la celebre ThereIn, a favore però di un brano
rispolverato dal debut: Of chaos and eternal night, che stupisce i
presenti, dato che non veniva rispolverato ormai da anni. Una Punish my
heaven finalmente eseguita alla giusta velocità corona un concerto
assolutamente riuscito, ma penalizzato dalla brevità: il tour infatti doveva
vedere i Dark Tranquillity come co-headliners, ma per questioni varie si è
lasciato questo ruolo ai soli Kreator, che suoneranno infatti addirittura per
due ore contro ai miseri 40 minuti degli scandinavi.
Tutti i membri della band svedese sono comunque da encomiare per la riuscita
dell ospettacolo: Jivarp è come sempre un orologio dietro alle pelli,
mentre la coppia di chitarre Sundin/Henriksson sembra addirittura più
affiatata che in passato, vista la velocità dei passaggi eseguiti sui 2 brani
più vecchi. Niente di nuovo nel bene come nel male, insomma, ma una
graditissima conferma per una delle band più importanti per la scena metal
estrema mondiale.
A.F.

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Le note iniziali della title track dell'ultimo disco, “Enemy of God”, aprono il concerto dei
Kreator, e da subito il gruppo mette in mostra una carica ed un aggressività davvero impressionanti, così come degli ottimi giochi di luce, mentre la scenografia è totalmente affidata ad un enorme telone che riproduce una versione ampliata della copertina del nuovo disco, davvero molto bello.
Con “Impossible Brutality” se è possibile la band riesce a crescere ulteriormente in quanto ad aggressività, ma la vera scossa allo show lo da la mitica
“Pleasure to Kill”, introdotta in maniera verbalmente davvero violenta da
Mille Petrozza, che da il vero via al pogo più duro nel pit.
La carica musicale della band è indiscutibile, quando si ha la possibilità di scaricare sul pubblico bordate del calibro di
“People of the Lie”, “Terrorzone”, “World Anarchy”,
“Extreme Aggression”, accolta con un vero boato, “Betrayer” o
“Violent Revolution” si parte sicuramente da una posizione di vantaggio, ed infatti il coinvolgimento dell'audience mi è parso decisamente alto, peccato però che il gruppo, con l'esclusione del leader storico Mille, non mi sia parsa altrettanto coinvolta, infatti se il bassista ogni tanto perlomeno si lanciava in un moderato headbanging, il biondo chitarrista sembrava avere i piedi inchiodati al palco, credo che a fine concerto non fosse nemmeno sudato, e questo a mio, parere toglie molto all'atmosfera del concerto.
Il gruppo non nega nemmeno un salto nel suo passato più lontano, con canzoni come
“Riot of Violence”, in cui il batterista Ventor rispolvera le sue doti canore, espresse sui primi dischi del gruppo, e l'accoppiata
“Flag of Hate/Tormentor” che chiude in maniera più che degna uno show davvero molto piacevole.
Il carisma del buon Mille Petrozza è davvero enorme, ed anche se forse non tutti capiscono i suoi discorsi in inglese tra una canzone e l'altra qualsiasi affermazione del leader viene accolta da urla della folla, soprattutto quando, in uno stentato italiano, il chitarrista/cantante dichiara il suo orgoglio per le proprie radici italiane, peccato però che, soprattutto nelle prime canzoni, la sua voce non sia parsa al meglio, a volte sembrava davvero in difficoltà mentre cantava.
La vera sorpresa del concerto è rappresentata da “Ripping Corpse”, non certo uno dei classici del gruppo, che infatti inizialmente è stata accolta in maniera piuttosto fredda, probabilmente non molti tra i presenti se la ricordava, ma quando il brano ha scaricato la sua potenza il pubblico non ha potuto far altro che farsi trascinare.
Le uniche due canzoni che non mi hanno pienamente coinvolto sono state “Phobia” e
“Voices from the Dead”, che pure su disco mi piace tantissimo, entrambe le song mi sono sembrate davvero poco in linea col resto dei pezzi proposti dal gruppo, e soprattutto davvero poco coinvolgenti in versione live.
In conclusione posso tranquillamente affermare che i Kreator hanno offerto ben due ore di sano e trascinante Thrash spaccaossa, il che è il massimo che si può chiedere a loro, peccato solo che la scarsa presenza scenica di un paio di elementi abbia fatto calare di parecchio l'impatto visivo dello show, ma dopotutto quello che conta è la musica, e quella offerta dalla
band di Petrozza è stata sicuramente di ottima qualità.
M.L.
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[post_content] => Per ragioni di praticità, in questo report, con la parola “Megadeth”, ci riferiremo a Dave Mustaine e i musicisti che si sono esibiti la sera del 21 febbraio 2005 all'Alcatraz di Milano…
La calata in terra italica del buon vecchio Dave richiama in via Valtellina circa 2000 persone, alcune delle quali costrette persino a restare fuori dal locale. Un sold out che, se da un lato può fare piacere, dall'altro lascia un po' di perplessità per la presenza delle solite (ahimè numerose) facce che poco e nulla hanno a che vedere con la serata. Immancabili gli abituali personaggi pronti a lasciare andare qualche scazzottata gratuita nella mischia (magari a tradimento) piuttosto che gioire per il riff improvviso di Hangar18… ma questo purtroppo è il prezzo da pagare quando ci sono in ballo i grossi nomi del mainstream.
Rimandando ogni possibile considerazione di carattere ‘logistico', c'è da dire che la serata parte bene con una calda esibizione dei Diamond Head, prevedibilmente incentrata sulle vecchie glorie che portarono in alto il nome della band inglese nei primi anni Ottanta. Brillano, tra gli altri, i vari estratti dal mitico Lightning To The Nations, un album che non ha perso un briciolo di fascino: come testimonia la buona risposta del pubblico sempre più gremito. È così che le varie It's Electric, The Prince, Sucking My Love, Helpless e la conclusiva, anthemica Am I Evil? – da sempre croce e delizia del combo capitanato da Brian Tatler – rimbombano in sequenza tra le mura del locale, regalando uno show energico e coinvolgente, l'ideale antipasto in attesa dell'headliner.
Buona la prova di tutti i componenti del gruppo (complice un assortimento di suoni squisitamente retrò), con una menzione speciale per Nick Tart , fresco sostituto dello storico vocalist Sean Harris, che, nonostante un look poco azzeccato, ha retto con bravura le assi del palcoscenico, dimostrandosi bravo frontman. Prossimi a celebrare tra alti e bassi trent'anni di attività, gli alfieri della N.W.O.B.H.M. non hanno dimenticato i segreti del buon vecchio heavy metal. Complimenti ai Diamond Head!
Setlist: Intro, Evil Edit, It's Electric, Give It To Me, The Prince, Mine All Mine, Heat Of The Night, Sucking My Love, Helpless, Am I Evil
Venti minuti scarsi di attesa, durante il quale – è bene ammetterlo – lo staff ha rapidamente risistemato lo stage-set e un Alcatraz sempre più affollato che saluta con una roboante ovazione mr. Dave Mustaine, assente da quattro anni sul suolo italiano (l'ultima esibizione tricolore risale al Gods Of Metal 2001) e tornato alla ribalta dopo l'infortunio che l'aveva costretto a una pausa di quasi due anni. Con un nuovo album che ha diviso pubblico e critica e una formazione completamente rimaneggiata, comprendente per metà membri dei canadesi Eidolon, il biondocrinito axeman rispolvera il monicker Megadeth e sfodera una set-list saggiamente bilanciata tra nuovi brani e super-classici, senza dimenticare qualche sorpresa che ha parzialmente risollevato le sorti di un concerto buono ma non spettacolare.
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Procediamo con ordine. Lo show parte in quarta con un'intensa esecuzione di Blackmail The Universe, opener dall'ultimo The System Has Failed, ma si ha subito l'impressione che, a livello di qualità sonora, qualcosa non quadri: inevitabile una bella tirata d'orecchie per i tecnici del suono, rei di aver spinto troppo in alto il volume delle chitarre, impastando il sound di parecchi pezzi e penalizzando non poco la resa di molti brani. A ogni modo il pubblico sembra gradire la carica della band, e tributa i giusti onori alla successiva Set The World Afire, prima chicca della serata: un MegaDave esplosivo macina un riff dietro l'altro con ghigno compiaciuto e si lascia andare ad un headbangin' continuo, mandando in delirio le prime file. Decisamente uno degli episodi più riusciti della serata. Skin O' My Teeth è un mezzo passo falso. Il brano ha per primo il merito di coinvolgere tutto il locale con il suo andamento smaliziato e l'accompagnamento della voce isterica di Mustaine, ma soffre per via di una pessima esecuzione in sede solista di Glen Drover, in grande difficoltà per tutta la serata sulle parti di Marty Friedman. Discreto intrattenitore – sicuramente più vivace sul palco rispetto ai suoi illustri predecessori, senza sconti per il già citato Friedman, fenomenale con la sei-corde quanto immobile come un pezzo di ghiaccio – l'axeman degli Eidolon pecca in termini di precisione esecutiva, rivelandosi una scelta poco azzeccata per un gruppo che colleziona sold-out ogni sera. La tensione non sale nemmeno con la successiva The Scorpion, che dal vivo conferma i propri limiti, specie se accostata a hit immortali come la spettacolare Wake Up Dead (dall'ormai ventennale Peace Sells…But Who's Buying?), a cui bastano pochi secondi per destare gli animi dei molti nostalgici sparsi per il locale. Fila tutto liscio anche con l'onnipresente In My Darkest Hour, secondo e ultimo estratto da So Far, So Good...So What! e vero cavallo di battaglia dei Megadeth: ottima la prova del frontman dietro al microfono e buona – per una volta – l'esecuzione di tutta la band, intelligente nel non voler strafare nelle parti più speed-oriented. Si ritorna alla produzione più recente della band con la ruffiana Something That I'm Not, terzo inedito dal vivo, che esibisce un Mustaine davvero in gran condizione, e She-Wolf, che arriva a sorpresa – e c'è chi già critica la presunta omissione di Tornado Of Souls, prontamente smentito – scaricando una bella dose di elettricità sui presenti. Su Á Tout Le Monde, unica testimonianza dal bistrattato Youthanasia, è il pubblico il vero protagonista, che canta a squarciagola l'ormai celebre refrain in francese, anche se il risultato globale non è il massimo; ma il peggio deve ancora arrivare e si chiama Die Dead Enough, singolo apripista per The System Has Failed: complici dei suoni osceni e un cantato così così il pezzo viene fuori un mezzo pasticcio, specie nella parte finale, dove si distingue poco o niente. Bocciato. Decisamente meglio la solida Angry Again (dalla colonna sonora di Last Action Hero), altro highlight assoluto del concerto, cui spetta l'ingrato compito di scacciare i primi sbadigli. Da Cryptic Writings è ripescata anche l'opener Trust, riproposta abbastanza fedelmente, poco prima che una sentita dedica all'amico Dimebag Darrell, axeman dei Pantera assassinato di recente, introduca Of Mice And Men, che dal vivo guadagna parecchi punti rispetto alla versione da studio.
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Un boato accoglie il riff di Hangar 18, prevedibilmente (e giustamente) uno dei brani più attesi, e, altrettanto prevedibilmente, una delle più grosse delusioni della serata, courtesy of Drover brothers: legnoso e insipido Shawn, completamente imbambolato Glen, i due fratelli degli Eidolon hanno letteralmente demolito un capolavoro, raggiungendo livelli infimi nelle parti più techno-oriented; paradossalmente, in parecchi hanno accolto con sollievo l'attacco a tradimento di Return To Hangar (da The World Needs A Hero), dove tutti se la sono cavata decisamente meglio. Fortunatamente, l'ultima parte del set ha riservato solo buone cose ai fan accorsi a Milano, allontanando un giudizio parzialmente negativo per via di alcuni pesanti passaggi a vuoto. Si riparte con una riuscitissima versione di Back In The Day – a giudizio di chi scrive tra gli apici qualitativi di The System Has Failed – che coinvolge anche i “ragazzi” dei Diamond Head ai cori, seguita a ruota da una stralunata Sweating Bullets, al solito interpretata da MegaDave con un mood schizofrenico inconfondibile. Chiusura illustre affidata ad un poker di canzoni mitiche, vale a dire la celebrata Symphony Of Destruction, Peace Sells, un'improvvisa Tornado Of Souls (per cui c'è chi teme il peggio, memore della fresca tortura comminata ad Hangar 18) e la maestosa Holy Wars..The Punishment Due (inserita in un medley con Kick The Chair) al solito involgarita dalla 6-corde di Drover e letteralmente salvata da un Dave Mustaine in gran spolvero nella sezione conclusiva. Quando le luci si riaccendono la parola Fine sembra scontata, ma l'ex-Metallica non è dello stesso avviso: c'è ancora spazio per un paio di ancore. Così, dopo un attesissimo riferimento a James Hetfield, tocca a Mechanix far tremare per l'ultima volta le assi del palcoscenico, affiancata da un'altrettanto divertente cover di Paranoid (reduce dalla vittoria al ballottaggio con Anarchy In The U.K.). Dopo 24 (!) brani e due ore piene di musica suonata, le luci si riaccendono per la seconda e ultima volta, seguite da un lungo, meritato applauso all'assoluto protagonista della serata: simpatico con il pubblico, bravissimo (ma non è una novità) con il proprio strumento, l'incontrastato leader dei Megadeth, Dave Mustaine è stato il vero spettacolo da premiare.
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Setlist: Blackmail The Universe, Set The World Afire, Skin O' My Teeth, The Scorpion, Wake Up Dead, In My Darkest Hour, Something I'm Not, She-Wolf, A Tout Le Monde, Angry Again, Die Dead Enough, Trust, Of Mice And Men, Hangar 18, Return To Hangar, Back In The Day, Sweating Bullets, Symphony Of Destruction, Peace Sells / Tornado Of Souls / Peace Sells (reprise), Holy Wars / Kick The Chair / The Punishment Due - Encore: Mechanix / Paranoid
Nel complesso un concerto piacevole, che ha messo in mostra un Mustaine in ottima forma - per la verità palesemente immerso in piena operazione “bravo ragazzo e recupero immagine”, ma va bene così – e che di contro ha esibito anche una band davvero al limite della decenza. Se James MacDonough se l'è cavata sufficientemente (gradevole anche il solo prima di Peace Sells, sebbene lontanissimo dal thrash) i fratelli Drover hanno toccato il fondo del barile. Rigido e in difficoltà Shawn, che ha semplificato diverse linee delle versioni da studio sprecando un suono di batteria che sembrava poter dare ottimi frutti. Inascoltabile Glen, che ha rovinato i pezzi migliori del repertorio Megadeth, stuprando letteralmente tutti gli assoli dei cavalli di battaglia che la band aveva riservato per il finale (ovvero i classiconi di Peace Sells e Rust In Peace). Velo di pietoso silenzio sul non commentabile aborto uscito dalle sue sei corde a metà concerto…
Per ultima cosa, come siamo sempre pronti a puntare il dito verso gli errori dell'organizzazione, questa volta siamo felici di dire che quasi tutto è filato liscio (a parte, ovviamente, l'inevitabile bolgia finale al guardaroba, dove la condizione di essere pensante viene meno a favore dell'animalità e della maleducazione più sfrenata).

Alessandro 'Zac' Zaccarini
Federico 'Immanitas' Mahmoud
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Era uno degli eventi più attesi dal popolo del death metal e si può dire
che abbia ampiamente rispettato le aspettative: sto parlando ovviamente del
tour tenuto dai Morbid Angel in occasione della reunion col
cantante originario, il carismatico Dave Vincent. La data di Trezzo d'Adda, pur
se svolta in un locale non troppo adatto ad eventi di questo tipo, per motivi
sia strutturali che di target medio, ha avuto un buon successo (niente di
enorme, in verità) ma soprattutto ha mostrato una band di classe, con la
formazione che può rendere al meglio le proprie potenzialità.

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Partiamo però dall'inizio, con il gruppo di supporto scelto in sostituzione
degli attesissimi Necrophagist: si tratta di nuovo degli Hatesphere,
una band sicuramente di buona qualità, specie su palco, ma che con 3
apparizioni al nord Italia in 6 mesi esce davvero dalle orecchie di tutti. Il
loro spettacolo è stato come sempre energico, preciso e dall'attitudine
spiccatamente hardcore, in particolare per quanto riguarda l'indemoniato
cantante Jacob Bredahl, ma il thrash/death da loro proposto (e che non ha
mai brillato per originalità) risulta ripetitivo ai più dopo 3 pezzi, anche
considerando che la scaletta è molto simile a quella proposta di spalla ai
Kreator pochi mesi prima. Niente di nuovo, niente di particolarmente
interessante, una buona apertura e niente più insomma.
E' quando si passa a quello che, a ragione, viene considerato un mito che la
pressione della gente sulle transenne si decuplica: le luci si abbassano di
nuovo ed entrano i floridiani in assetto da guerra, con un sorprendente (o forse
no?) Vincent in tenuta latex-e-zeppe che fa molto goth rock, più che brutal
death: un'evidente reminescenza del periodo passato con la band della morigerata
moglie, i Genitorturers... ma non è dal look che si giudica un gruppo, e
infatti come al solito la prestazione del quartetto è maiuscola: di Azagthoth e
Sandoval cosa si può dire, se non che sono sempre le solite macchine impazzite?
La scaletta tiene conto questa volta del periodo della band corrispondente alla
presenza di Vincent, ignorando quindi i dischi pubblicato con il buon Steve
Tucker alla voce: un vero e proprio revival, quindi, opinabile finchè si vuole
ma che personalmente mi ha dato tutt'altro che fastidio. Pezzi sino a Domination
quindi, con un occhio di riguardo ad Altars of Madness e Covenant: splendido
risentire finalmente una Lord of all fevers and plagues, uno dei pezzi più
riusciti dell'intera carriera del combo. Ma non sono da meno brani come Dawn of
the Angry, forse la più riuscita dell'intero concerto, e la classica Where the
slime live, autentico tributo alla tecnica chitarristica di Azagthoth. E Vincent?
Beh, il singer mantiene un atteggiamento carismatico, con la figura imponente e
la sicurezza di sè di chi sa di essere al centro dell'attenzione di tutti i
presenti: nulla viene lasciato al caso, nemmeno i cori puliti ad accompagnare
alcune parti dei pezzi, come su Chapel of Ghouls.
La band si concede due pause all'interno del set, la prima delle quali
allietata dal classico lungo assolo di Trey, in forma come sempre e capace di
stupire anche chi, come il sottoscritto, lo rivede per l'ennesima volta con la
sua tecnica sciolta e allo stesso tempo intricatissima sulla tastiera. Un ottimo
supporto arriva come sempre da Tony Norman, ormai chitarrista live fisso
del combo, che pare anche più importante che nella passata tournée di Heretic:
ormai la sua è una presenza non solo strumentale, ma anche di scena non
indifferente, vista l'esperienza maturata negli anni con i sottovalutati
Monstrosity...
Tutto bello quindi? Oddio, un po' di amaro in bocca resta: sarebbe stato carino
vedere Vincent all'opera anche su pezzi non "suoi", non lo nego, ma
ciò che più conta è che l'immagine (e il coinvolgimento) non sono ovviamente
più quelli di 10 anni fa: e si rischia di cadere un po' nella nostalgia con la
visione di un frontman sempre imponente, ma forse ora solo per mestiere.
Impossibile non notare le sue pose tipicamente rock, e difficile non dare adito
al sospetto che dopo questo tour poco altro coinvolgerà i Morbid Angel:
stiamo a vedere cosa succederà, questo concerto resterà comunque nei ricordi
di chi ama il metal estremo.
Setlist:
1. Rapture
2. Pain divine
3. Maze of torment
4. Sworn to the black
5. Blasphemy
6. Lord of all fevers and plagues
7. Dawn of the angry
8. Where the slime live
9. Blood on my hands
10. Dominate
11. Immortal rites
12. Day of suffering
13. Evil spells
14. Chapel of ghouls
15. God of emptiness
16. World of shit
Alberto 'Hellbound' Fittarelli
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