Recensione: Aeromantic

Di Carlo Passa - 16 Marzo 2020 - 5:50
Aeromantic
82

La The Night Flight Orchestra è un caso sorprendente.
Davvero. Chi ci avrebbe scommesso? Gente che ha dedicato una buona fetta della propria vita al death metal, a un certo punto si mette in testa di realizzare un progetto in cui riprendere filologicamente suoni, atmosfere ed estetica degli anni ottanta, senza precludersi qualche svisata nel decennio precedente.
Ora, date queste premesse, i nomi di Björn Strid e David Andersson (Soilwork), oltre che di Sharlee D’Angelo (Arch Enemy, Spiritual Beggars, ex-King Diamond), lascerebbero attendersi un prodotto che rimpianga i tempi della NWOBHM o, al massimo, del primo thrash americano. E invece no: i The Night Flight Orchestra indossano completi all-white o sgargianti, inforcano occhiali maranzissimi e si mettono a comporre canzoni pop che non avrebbero stonato sui dischi dei vari Duran Duran, Spandau Ballet, Rick Asley e pure ABBA.
Ora, il metallaro medio immaginerà che questo colpo di testa dei suoi compagni di violenza sonora duri il tempo di un passeggero divertimento, che inizi e finisca con un disco. E invece no: questo Areomantic è addirittura il quinto disco della colorata Orchestra svedese. Che continua a mietere pieno assenso presso il metallaro di cui sopra.
Ecco, tutto ciò è sorprendente: è estremamente probabile che, se la The Night Flight Orchestra non annoverasse nelle proprie fila noti nomi della nostra scena, i suoi dischi non verrebbero recensiti sulle pagine di questa e altre webzine metalliche. Non solo, il fenomeno The Night Flight Orchestra evidenzia come la nostalgia per il decennio d’oro del metal finisca per trascendere la musica stessa, andando a farci apprezzare anche prodotti che, a quei tempi, il metallaro avrebbe dato alle fiamme.
Il vostro recensore c’era e stupisce a trovarsi a lodare Aeromantic, così come ha lodato gli altri quattro dischi degli svedesi, che obiettivamente sanno scrivere grandi canzoni retro, senza scadere nella stucchevole clonazione fuori tempo massimo. Cosa è successo? Si sono allentati i confini tra i generi? Non esiste più la rivalità tra i fan? Gli appassionati sono diventati adulti e hanno perso quel senso di appartenenza e, soprattutto, di affermazione che è proprio dei gruppi giovani(li)? O semplicemente il metal fatica a produrre novità veramente interessanti, al punto che tutto ciò che scarta dall’ortodossia finisce per suonare fresco? anche quando è puro revival di un genere contro cui l’heavy metal ha lottato proprio negli anni che qui si vogliono riecheggiare?
Ognuno di voi dia la risposta che preferisce. Oppure non s’affanni neppure a cercarne una, per concentrarsi sulla musica, che alla fine è quel che conta davvero. E, in questo, Aeromantic non può che uscire vincitore. Pur senza scartare dalla linea che essa stessa ha contribuito a ricreare, la band mette in fila un eccellente pezzo dopo l’altro riuscendo a suonare poliedrica, dinamica e, in una parola, coinvolgente.
Il disco gioca sull’alternanza tra atmosfere festaiole e melanconiche, mescolando pop, elettronica, funky, (hard) rock e new wave (ma non quella OBHM…). Certo, la passione per i pezzi hard tirati c’è; e, per fortuna, si sente in momenti quali la splendida opener Servant Of The Air, che con il suo tono epicheggiante rappresenta forse il momento più vicino al mondo di provenienza dei membri della band. Ma Divinyls, If Tonight Is Our Only Chance e This Boy’s Last Summer mettono subito in chiaro che qui si è nel 1983 e le grandi melodie sono supportate da tastieroni che fanno tanto dance (funky) rock, con qualche deviazione presso gli Ultravox.
Ad essere decisamente funkeggiante è Curves e, diciamoci la verità, questo dovrebbe rendercela odiosa: invece, la sopportiamo, abbassando il volume dello stereo, perché nel frattempo nostra moglie si è affacciata alla porta del salotto, stupita di non ascoltare il solito growling e le chitarre violente e distorte.
Quando arriva Transmissions ci si catapulta in piena febbre del sabato sera, mentre Gene Simmons conta i dollari che ha guadagnato con I Was Made For Lovin’ You. Eppure il pezzo è notevole, con quel suo ibrido di dance anni settanta e aperture melodiche qui veramente Ultravox.
La title-track ci riporta su lidi più rock: un arrangiamento di base ritmica ben solido supporta una ottima idea melodica, che non dispiacerebbe agli H.E.A.T.
Golden Swansdown è un AOR di classe americanissimo, con quel vago sapore melanconico che accompagna le storie di riscatto sociale di certi film degli anni ottanta (Rocky, Flashdance e così via).
Si torna sulle spiagge con Taurus e ci si immagina Björn Strid e David Andersson incrociare in alto mare la barca a vela dei Duran Duran che cantano Rio. A pensarci bene, è un incubo.
La moglie è sempre più perplessa: dopo decenni d’insulti alla musica “rumorosa” del marito, si trova senza parole e inizia a preoccuparsi per la salute del consorte.
Meno male che Carmencita Seven ha un bel chitarrone e un tono pomp rock che le ricorda chi sia l’uomo che ha sposato: e non spaventa troppo i dischi degli Slayer ben impilati tra le casse.
Oddio, Sister Mercurial non aiuta la mia autostima, con tutte quelle tastiere, così affascinanti e coinvolgenti. E la moglie accenna un inquietante “questa mi piace; andrebbe bene in palestra”.
Dead Of Winter inizia con un giro di synth che pare scritto da Nick Rhodes (insomma, richiama non poco Save a Prayer), per poi trasformarsi in un pezzone pomposo che mi fa pensare agli Angel e, infine, in un grande momento pop rock.
City Lights And Moonbeams chiude bene Aeromantic riassumendo tutto il pop degli anni ottanta e ibridizzandolo con un poco di AOR.
Cosa vi devo dire? Alla fine, sono solo un povero metallaro, aduso alle doppie casse e ai distorsori violentati. Ho maturato la mia passione in un tempo in cui chi ascoltava i modelli di riferimento dei The Night Flight Orchestra era il nostro peggior nemico. Non sono preparato a valutare Aeromantic oggettivamente. E allora concluderò rendendo esplicito il mio dissidio, che chissà se è anche quello di alcuni di voi. Il recensore vi dirà che Aeromantic è un ottimo disco, scritto e suonato alla grande, ricco di melodie accattivanti e non banali, fenomenale per una serata con gli amici. Il metallaro vi e si concederà di ascoltarlo di nascosto, di venderlo agli altri come se stesse facendo loro un favore, e di archiviarlo quasi vergognosamente tra i Necrophobic e i Nocturnal Rites. Ogni tanto tornerà ad ascoltarlo: e gli piacerà, sempre, per la stessa ragione per cui ama Stranger Things oppure GLOW.
Nel frattempo, per redimermi, ho messo sul piatto il vinile di Reign In Blood. La moglie torna subito in salotto e chiede: “spegni questo schifo e rimetti il disco di prima: una volta tanto che ascolti qualcosa che non fa troppo casino!”

Sono preoccupato.

 

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Genere: AOR 
Anno: 2020
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