Recensione: Ashes Of Ares

Di Ottavio Pariante - 5 Dicembre 2013 - 0:01
Ashes Of Ares
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2013
Nazione:
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75

Il 2013 è stato l’anno dei grandi ritorni e di qualche dipartita, delle solite certezze e delle nuove scommesse.
Un anno che non ha deluso e che ad alcuni grandi talenti, di questo incasinato e meraviglioso circus, ha restituito un impulso nuovo per ricominciare a rimettersi in gioco con qualche altro progetto, con altre storie da raccontare e da vivere.

Parliamo allora del come-back discografico di Matt Barlow, nuova fatica in studio dopo l’ultima partenza dagli Iced Earth. Il tempo aiuta a ricaricare le batterie ed anche a fornire nuove ispirazioni e modalità per metterle in pratica.
Pertanto, dopo un breve periodo di pausa, il rosso singer statunitense torna alla carica con un super progetto denominato Ashes of Ares, che vede coinvolti anche altri due pezzi grossi del metal mondiale, nella fattispecie Van Villiams – per i Nevermore qualcosa più di un semplice batterista – e Freddie Vidales, ex bassista anch’egli con un passato negli Iced Earth, coinvolto in questa nuova avventura pure in veste di chitarrista, come vedremo più avanti, con discreto successo.
Per quanto riguarda il lato prettamente musicale, gli Ashes of Ares affidano le loro fortune ad un heavy-power metal massiccio e da battaglia: incisivo, dinamico e dal notevole impatto.
Un sound denso e nello stesso tempo eterogeneo, pregno di atmosfere misteriose e continui cambi d’umore grazie alla continua alternanza di parti acustiche e parti distorte. Di primo acchito, potremmo senza dubbio classificare questo esordio discografico come un disco di buon mestiere e valore, che non fa dell’originalità il proprio cavallo di battaglia, ma che può conquistare – grazie al suo elevato tasso adrenalinico – una discreta fetta di appassionati.

A “The messenger” l’onore di aprire le danze, alzando finalmente il sipario sulla nuova creatura della band statunitense; sin dalle prime battute di questo brano è facile constatare – attraverso velocissimi deja-vu – come le “vecchie abitudini” non muoiano mai. L’ascoltatore, infatti, è avvolto da un inizio molto lento e sfuggente per poi essere preso di petto da un mid-tempo imperioso e carico di groove. Una formula semplicemente “classica”.
Un pezzo a dir la verità non stratosferico dal punto di vista qualitativo, ma perfetto per la posizione in cui si trova. Buona in assoluto la prova di Barlow, magistrale al suo solito.
Dopo un primo episodio di “attesa”, gli Ashes Of Ares rompono indugi con un passaggio dall’impatto devastante: le linee guida sono le medesime dell’opener, tuttavia in questo caso le ritmiche – non eccessivamente veloci – crescono a dismisura, formando un muro granitico impenetrabile. Un episodio di gran lunga  superiore al precedente, in cui apprezzare il riuscito equilibrio tra suoni nuovi e  vecchie attitudini, condite da una produzione al limite del maniacale.

Con “On Warrior’s Wings” i toni si placano un istante. Le atmosfere si fanno d’improvviso morbide e sognanti, permettendo agli Ashes of Ares di porre in evidenza il lato più intimista ed epico della proposta.
Come costruzione di base, potremmo parlare di semi-ballad con classico crescendo nel refrain; ben presto però la struttura subisce un’accelerazione, ottima nel rendere il taglio melodico più intrigante e godibile all’ascolto.

Ad una prima parte del disco senza dubbio di qualità ed interessante resa in termini di ascolto, fa quindi seguito una parte centrale in cui, purtroppo, gli esiti non paiono altrettanto buoni ed efficaci.
Se “This is the Hell” risulta in ogni modo uno dei migliori pezzi del lotto, grazie a continui cambi di umore e ad atmosfere cariche di rabbia e drammaticità, le successive “Punishment” e “Dead Man’s Plight” non convincono davvero.
Una coppia di brani senz’altro di buona confezione che tuttavia nulla aggiunge a quanto detto in precedenza. Il tributo al passato risulta fin troppo evidente, zero nuove idee e poche emozioni: messi lì nel mezzo costituiscono con dignità un granitico muro sonoro ma qualche sbadiglio si rivela inevitabile…

Meglio per fortuna, la parte finale del disco (un premio per chi non si è fermato alla superficie delle prime due/tre tracce), inaugurata simbolicamente da uno degli episodi più devastanti dell’intera release: “Chalice of man”.
Un momento a dir poco esplosivo, sorretto da una sezione ritmica precisa e ricercata, che fa dell’impatto il proprio unico obiettivo, e sublimato in atmosfere ancor più rarefatte e apocalittiche grazie al cantato di Barlow, semplicemente spettacolare. Di gran lunga il pezzo migliore dell’intera tracklist.

Ma le note liete non sono tutte qui: anche “The Answer” e “What I am” dimostrano continuità di atmosfere e situazioni, conferendo un senso preciso alla strategia “artistica” della band.
“The answer” è il “vero” lento dell’album in cui la voce di Matthew fa ancora una volta la differenza: il tocco caldo ed evocativo, l’eleganza e lo stile del singer americano sono spettacolo puro.
Nella successiva “What I am”, la band ritorna a pestare di brutto, affidandosi ad un mid-tempo esplosivo, ove è la sezione ritmica ad assurgere al ruolo d’assoluta protagonista. Un gran bel pezzo che beneficia di una strabiliante – seppur breve – parte lenta che ne amplifica l’impatto emotivo.
“The One-Eyed King” chiude in maniera degna questo esordio discografico, mantenendosi su livelli ancora più che buoni.

Un disco interessante per gli Ashes Of Ares, che, probabilmente, non passerà inosservato.
Forse non originalissimo nelle scelte dei suoni e nell’attitudine, il gruppo mostra grinta e qualità, con il jolly assoluto fornito dall’avere in line up Matthew Barlow, uno dei migliori frontman “heavy” attualmente presenti su piazza.
Non c’è da sbraitare di miracoli insomma, ma la sostanza di un disco solido e ben realizzato rimane comunque intatta, a disposizione di chiunque vorrà concederle un ascolto.

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