Recensione: At War with Their Divinity

Dagli USA arriva una proposta per il lavaggio spirituale (?) mediante l’utilizzo del blackened death metal. Così, almeno, affermano le note biografiche dei Wythersake. Se detto lavaggio ci può anche stare, è bene evidenziare che il genere cui essi navigano è invero il black metal.
Piuttosto melodico, anche, corroborato pure da abbondanti dosi di orchestrazioni. Uno stile che sicuramente possiede in sé elementi death, a onore del vero davvero rarefatti, ma anche gothic per via di certe vicinanze ai Cradle Of Filth (“Dancing Plagues of Modern Man“), nonché thrashy quando si fa un po’ il verso agli Slayer in “Devour the Throne of Grace“. Si tratta comunque di coloriture tenui, che ben si adagiano, completandolo, un sound piacevole da masticare benché assolutamente devastante.
Già, perché i ragazzi di Washington, giunti al secondo full-length in carriera, “At War with Their Divinity“, pestano davvero duro, con modi brutali, aggressivi, che non lasciano altre interpretazioni se non quella di una ferma volontà di attaccare alla giugulare le malcapitate prede che cadono nella loro bocca farcita da denti acuminati. La grande foga scardinatrice di Gabriel Luis e compagni potrebbe portare a desumere che il tutto sia caotico ma non è così. La manifattura del lavoro è difatti più che buona, avvalendosi dei servigi della Scarlet Records, consentendo di discernere con facilità ogni singola componente che contribuisce a costruire i brani del disco.
Non mancano neppure vari inserimenti ambient a rifinire un mood crepuscolare, che si infila in quei pochi attimi in cui il sole tramonta e il buio si avvicina. Giusto per citare un esempio, la strumentale “Gotterdammerung”, introdotta dal rumore di pioggia e tuoni, che si potrebbe definire deliziosa (sic!) per via di una melodiosità a tutto tondo, rimarcando in tal senso la natura eminentemente armoniosa del black metal dell’LP. A tratti però la musica rallenta e si fa pesante. Pesante come un macigno sullo stomaco, quando raccontata dalle (poche) parti in growling di Luis. Ecco, qui è vero che si affaccia la sfumatura di death metal citata all’inizio. Death pure esso melodico o forse meglio sinfonico, cugino primo della fattispecie musicale in cui si muove il quartetto di Washington D.C. (“The Autumnal Passing“).
Ma è nelle fast song che, a parere di scrive, i Wythersake danno il meglio di sé. Ne è esempio “Shrines of Offal Rise“, retta da un mostruoso riff portante a mò di segaossa e da un ritmo che scollerebbe dalle teste i colli dei più allenati headbanger per poi divergere nella follia dei blast-beats. Il tutto finemente cesellato dai finissimi e dorati ricami delle chitarre soliste per richiamare quella natura melodica che pervade, permea, racchiude tutto il platter.
A tal proposito c’è da rilevare l’eccellente opera delle succitate chitarre, inappuntabili quando si tratta di devastare l’uditorio con una selva di riff granitici, possenti, assassini; altrettanto efficaci quando si tratta di sciorinare assoli su assoli che si avvolgono come serpenti alle note delle tastiere. Assoli costruiti con perizia, sfiorando in certi istanti addirittura le partiture neoclassiche.
Oltrepassando la follia, ed entrando quindi oltre la sfera del suono in cui esplodono i blast-beats, i Wythersake riescono a ricreare lo stordimento da hyper-speed, provocando in tal modo visioni distorte di fitte, impenetrabili foreste, mai calpestate dall’Uomo, simboleggianti le intricate melodie di “At War with Their Divinity“. Le quali, come in un perpetuo ossimoro, abbelliscono la bruttezza della feroce energia erogata dai quattro indemoniati artisti a stelle e strisce. Per una realizzazione priva di difetti evidenti, anzi ragguardevole anche per ciò che concerne le canzoni (ottima l’hit, si fa per dire, “Perverse Christ Aeon“), diverse per bene le une dalle altre benché unite nel comune intento di annichilire i timpani degli appassionati del metal estremo e, in particolare, del melodic black metal.
I quali troveranno sicuramente pane per i loro denti in “At War with Their Divinity“, corazzata sapientemente costruita dai Wythersake sia per sognare, sia per gioire, sia per morire.
Daniele “dani66” D’Adamo