Recensione: Changes

Di Fabio Vellata - 10 Luglio 2021 - 0:01
Changes
Etichetta: Frontiers Music
Genere: AOR 
Anno: 2021
Nazione:
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79

Il nome di Toby Hitchcock suggerisce inevitabilmente l’associazione immediata di idee con altri tre soggetti specifici. AOR, Jim Peterik e Pride of Lions.

I navigatori di cose melodiche, in effetti, non possono fare altro che collegare l’ottimo singer americano con il genere AOR, abituale territorio di conquista per la sua ugola potente e cristallina. Ed associarlo poi al compare di sempre Jim Peterik, suo mentore e scopritore sin dagli esordi che, proprio con gli eccellenti Pride of Lions lo ha lanciato e reso celebre.

Ugola cristallina, potente e versatile quella di Toby. Senza dubbio tra le migliori in assoluto nel panorama odierno del rock melodico. Una voce che è un piacere risentire anche in ambiti leggermente differenti rispetto a quelli della band madre, in una versione solista che dopo un primo album (molto bello) edito nel 2011, ha ripreso vigore negli ultimi tempi con la release di due cd nell’arco di un paio d’anni.

Più soffuso, morbido, in qualche modo “intimista”, il Toby Hitchcock in solitaria predilige da sempre un approccio alla materia melodica condito di eleganza e charme. Elementi naturalmente, mai venuti a mancare nemmeno nella produzione con i Pride of Lions ma che, in queste occasioni lasciano da parte ogni velleità focosa per dar sfogo al romanticismo più edulcorato. Laddove poi i toni non si fanno propriamente sognanti ed appassionati, le atmosfere e gli scenari dipingono panorami notturni, avvolgenti, vellutati. In certo modo radiofonici.
Insomma, tutto fuorché materiale per sgommate arroganti o scapocciamenti in serie. Piuttosto, ideale compagnia per viaggi in auto dopo il tramonto (e si sa, l’ideale dell’ascoltare musica in autoradio nel buio della notte è una delle basi iconografiche più persistenti dell’AOR anni ottanta), magari alla volta di panorami costellati da imponenti skyline metropolitani.
Non male vero?

 

Non male nemmeno questo nuovo cd di Hitchcock, in effetti.
Lontano dall’essere una pietra miliare, ha dalla sua una certa compattezza ed omogeneità qualitativa, tali da renderlo parecchio facile all’ascolto. Orecchiabile volendo. Semplice, setoso, scorrevole. Ma non esattamente scontato o banale. Soprattutto, avvolto e confezionato attorno ad un talento vocale che determina, sollazza, amplifica, rende notevole anche l’irrilevante.
I pezzi appaiono ragionati, cesellati con una buona dose di raffinatezza e stiloso buon gusto. Il solito – tentacolare, irrefrenabile, incontenibile – Alessandro Del Vecchio ha fatto il suo, cucendo addosso al frontman americano una serie di brani creati su misura.
Per lo più buoni, indubbiamente. Che, quando tendono tuttavia a scivolare un po’ nel banale come nel caso di “Tonight Again” o “Don’t Say Goodbye“, vengono nobilitati da una vocalità straordinaria e da una interpretazione sublime. Hollywoodiana.
Se poi c’è anche quello spunto di ardimento in più, espressione del tentativo di non rimanere troppo ancorati allo stereotipo della melodia zuccherosa, il rischio è quello di centrare il colpo del tutto inatteso. “Forward“, “Garden of Eden”, “Say No More” ad esempio: tre canzoni a loro modo “atipiche” per il classico AOR alla “americana”, che grazie ad un tessuto di sonorità morbide, avvolgenti, calde ma per nulla “mielose”, arricchiscono il bottino portato in dote da un album interessante e dai risvolti insospettati.

Confesso di aver iniziato l’ascolto di “Changes” con un minimo di scetticismo. Il precedente “Reckoning”, edito nel 2019, non era stato – per quanto mi riguarda – un momento memorabile nella mia carriera di appassionato di melodic rock.
Di più. Mi ero annoiato.
Cosa che invece non è accaduta con questa nuova opera di mr. Hitchcok.
L’interpretazione si attesta dalle parti delle costellazioni più lontane: roba stellare, come capita di ascoltare di rado.
Mentre la formula messa in azione possiede fascino ed attrattiva. Il misto tra situazioni lente e passionali mescolate a momenti più crepuscolari, cromaticamente oscuri e quasi cinematografici, funziona.
E senza particolari velleità da primato, la miscela in scioltezza porta in dote il risultato atteso: un buonissimo disco!

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