Recensione: Dancing With The Devil
Ultimo giro di valzer per George Lynch ed il suo progetto solista Lynch Mob. Un moniker che ha davvero scritto alcune pagine di storia dell’hard rock soprattutto agli esordi, finendo tuttavia per vivere un po’ di rendita nei capitoli conclusivi di quella che è comunque stata una carriera assolutamente rispettabile.
Per questa ultima release, il vecchio Lynch raduna attorno a se la line up del precedente “Babylon“, riscoprendone pregi e difetti che diventano un po’ più significativi se considerata la natura del disco. Quella di un commiato ai fan più fedeli che, ovviamente speravano in un finale con il proverbiale “botto”
“Dancing with the Devil” è in realtà una chiusura di sipario onesta ma piuttosto tiepida, che fatica a giustificare il suo peso come “ultimo capitolo” di una band storica. Più che uno statement definitivo, suona come un disco di mestiere pensato per chiudere i conti senza troppi sussulti. L’album scorre bene, ma raramente dà la sensazione di qualcosa di davvero necessario.
Molti brani si muovono in un hard rock/blues codificato, con strutture prevedibili e ritornelli che funzionano al momento ma faticano a restare impressi a lungo. Anche quando affiorano atmosfere più cupe o rallentate, la sensazione è spesso quella di variazioni sul tema più che di vere idee nuove. La tracklist alterna hard rock tirato, episodi più cadenzati e qualche parentesi atmosferica, costruendo un flusso che, pur muovendosi in territori familiari, mantiene comunque una certa varietà interna. I riff hanno ancora mordente, i ritornelli, pur non sempre memorabili, reggono discretamente l’impatto e alcune scelte di mood più oscuro o malinconico danno al disco una tinta crepuscolare che funziona certamente bene ed è indicata per un album d’addio.
Sul piano sonoro, la produzione è pulita, moderna quanto basta. La produzione è professionale e centrata: chitarre in evidenza come ci si aspetta da un lavoro firmato Lynch, sezione ritmica solida, voci ben incastonate nel mix, con un equilibrio tra ruvidità rock e pulizia moderna che rende il tutto abbastanza piacevole da ascoltare soprattutto a volume sostenuto. Non ci sono grandi colpi di teatro sonori, ma il disco suona compatto e curato, trasmettendo l’idea di un lavoro pensato per durare qualche ascolto in più della media.
George Lynch mantiene il suo tocco riconoscibile, ma non sempre sembra però spingere davvero oltre, con parecchi passaggi di buon mestiere e pochi momenti che spiccano per inventiva. Anche la band che lo accompagna fa il proprio dovere senza sbavature, la voce fa il suo, senza trovare melodie veramente iconiche, la sezione ritmica sostiene senza imporsi, contribuendo alla sensazione generale di buon artigianato.
Come album d’addio, “Dancing with the Devil” ha il grosso pregio di non svendere il nome Lynch Mob. Piacerà a chi cercava un ultimo giro sullo stesso ottovolante, mentre chi sperava in un congedo più coraggioso e memorabile rischia di trovarlo semplicemente “carino”, ma poco più.
Alla fine, “Dancing with the Devil” può essere letto come un saluto maturo: non è il colpo di coda che riscrive la storia, ma un disco che tiene fede al DNA dei Lynch Mob e offre ai fan un’ultima manciata di canzoni oneste e ben suonate. Chi arriva qui sapendo cosa cercare – hard rock classico con un’anima blues, suonato con mestiere e sentimento – troverà più motivi di soddisfazione che di rimpianto.
Per gli altri, un ascolto gradevole che vale come un ultimo giro sulle stesse giostre, ma che difficilmente verrà ricordato come un vero testamento artistico.


