Recensione: Deceiver

Di Matteo Pedretti - 10 Dicembre 2021 - 21:48
Deceiver
Band: Khemmis
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Doom 
Anno: 2021
Nazione:
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81

Nel 2015 i Khemmis, formatisi tre anni prima a Denver, esordirono con “Absolution” che, nonostante la sua indiscutibile qualità, suonava ancora vicino ai lavori dei – già all’ora – ampiamente influenti Pallbearer. L’anno successivo, con l’ottimo “Haunted”, il combo del Colorado riesce a focalizzare meglio la propria proposta, incanalandola in una direzione molto più personale, incentrata sul connubio tra riff potenti, risonanti e spesso melodici, linee vocali prevalentemente pulite e incursioni in territori Sludge e, nei momenti più estremi, Death/Doom.

È risaputo, però, che il terzo album può rivelarsi una prova insidiosa per un gruppo in rapida crescita. In effetti in “Desolation” (2018), prima release per il colosso tedesco Nuclear Blast, non tutto gira come dovrebbe. L’esecuzione dei Nostri, fino a quel momento capace di una sintesi armoniosa tra una pluralità di sfaccettature sonore resa possibile da abilità tecniche e da un songwriting di spessore, finisce infatti per risultare eccessivamente piatta e quasi del tutto priva di quelle sfuriate che in “Haunted” si erano dimostrate in grado di mischiare le carte, contribuendo a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore.

Difficile stabilire se sia trattato del tentativo di raggiungere un pubblico più ampio attraverso soluzioni più accessibili o di una scelta artistica priva di calcolo: rimane il fatto che “Desolation” rappresenta – a parere di chi scrive – un mezzo passo indietro nel percorso della band. Il suo lascito più significativo è l’orientamento all’Heavy Metal classico che, seppur presente da sempre, si palesa qui più nitidamente, per concretizzarsi ancor di più nell’EP “Doomed Heavy Metal” del 2019, in cui figura addirittura una cover di “Rainbow in the Dark” di Dio.

Con “Deceiver”, fresco di pubblicazione sempre via Nuclear Blast, i Khemmis si riconfermano musicisti talentuosi e si dimostrano ragazzi intelligenti e ambiziosi, che hanno saputo fare tesoro dell’esperienza per migliorarsi. Le influenze derivanti dall’Heavy Metal tradizionale sono più che mai riconoscibili e rintracciabili pressoché in tutti i brani, specialmente nelle chitarre. In questa occasione, però, tornano a riaffacciarsi con una certa frequenza i passaggi più sporchi e abrasivi e le voci in growl, rendendo il disco variegato e dinamico, melodico e aggressivo al tempo stesso, con una certa propensione Progressive, intesa come capacità di collegare in modo organico frazioni di una stessa composizione anche piuttosto diverse tra loro.

Un arpeggio molto classico introduce “Avernal Gate”; dopodiché riff, assoli e stacchi di batteria rimandano a un’interpretazione Metal molto tradizionale, nonostante lo spazio lasciato ai tipici rallentamenti. Prima del finale un crescendo conduce a una sezione ai limiti dell’Extreme Metal, con tanto di drumming furioso e cantato in scream. La tripletta centrale dell’album – “House of Cadmus”, “Living Pyre” e “Shroud of Lethe”, che pure conservano le proprie peculiarità – è in generale definita da andature rallentate, da un riffing incisivo e da linee vocali prevalentemente pulite, ma potenti. Si tratta di pezzi Modern Doom con chitarre – soprattutto quelle soliste – tradizionalmente Heavy e derive Sludge e Death/Doom, con le ultime che chiamano in causa alcuni dei grandi maestri europei degli anni Novanta.

Proseguendo, “Obsidian Crown” è un midtempo diretto che, tra cavalcate, decelerazioni e melodie di grande presa, rappresenta probabilmente l’episodio di maggiore impatto del lotto, anche grazie al finale in cui voci ulta-melodiche rispondono a growl catatombali, sortendo un notevole effetto. La closer “The Astral Road” si articola agilmente tra un po’ tutti gli elementi messi in campo nelle tracce precedenti, con una prevalenza degli spunti in stile Judas Priest e Dio.

Sei pezzi per un running time complessivo di poco superiore ai 40 minuti, senza riempitivi e passaggi tirati inutilmente per le lunghe. Il sound è dirompente e nitido, risultato di una produzione curata e moderna, mai artificiosa e “plasticona”, eleggibile a una delle migliori dell’anno per quanto riguarda l’universo Metal.

“Deceiver” ci consegna una versione decisamente matura dei Khemmis che, ritrovati i giusti equilibri compositivi e consapevoli delle proprie potenzialità, sfornano uno dei migliori dischi Doom di questa chiusura d’anno, che va a piazzarsi di tutto diritto accanto ad altre importanti uscite di questo autunno come Count Raven, Apostle Of Solitude e Monolord.

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