Recensione: Dreaming Is a New Awakening

Di Daniele D'Adamo - 27 Aprile 2025 - 9:00
Dreaming Is a New Awakening
Band: Dvorac
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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82

Blackgaze, mirabile unione fra il black metal e la shoegaze. Così come hanno insegnato gli Alcest anni fa, un impianto musicale così realizzato offre una pletora di possibilità compositive, potendo queste ultime spaziare dal black metal, appunto, sino anche al post-black, parente prossimo del sottogenere citato a inizio frase.

Come sempre accade, alla fin fine si tratta di definizioni opinabili, che possono lasciare il tempo che trovano. Comunque sia, all’interno di questo insieme musicale vivono i croati Dvorac o meglio, Vir, che si occupa di tutta la strumentazione e pure della voce. Una one-man band, fattispecie monostrutturale oramai tipica sia del black metal, sia di tutte le sue sfumature, comprese quelle in esame.

Vir, ovviamente, fa tutto da sé. Non solo musica e testi ma anche il resto, donando a “Dreaming Is a New Awakening“, il suo secondo full-length, una connessione diretta con i sentimenti più profondi che ribollono nella psiche degli uomini. Certe sensazioni, certi singhiozzi del cuore, certi sussulti dell’anima, sono percepibili con maggior intensità quando non ci si appoggia a una label, pure underground, giacché la produzione esterna priva all’opera delle varie sovrascritture che possono snaturare lo spirito libero dell’opera stessa.

Nonostante tutte le difficoltà del caso nel dare alla luce un prodotto comunque ascoltabile, Vir riesce a infondere nella sua arte gli spasmi, i brividi che si provano quando la mente vola via, in alto, staccandosi dal corpo, per un viaggio costellato di sogni. In tal modo, si raggiunge uno stato della materia rarefatto ove la potenza lisergica di brani come per esempio “Passage” attivano un orizzonte di immaginazione lontano, sparso fra pinnacoli di nubi, in cui si stagliano lontani altipiani come oscuri disegni che inquietano per le loro forme asimmetriche. Forse, i luoghi ove si va a morire.

Ma la blackgaze, oltre al concetto della morte come espressione logica e lineare del termine della vita, accoglie nel suo seno la Natura. Intesa come essere vivente da preservare e proteggere dall’abiezione del genere umano. Ne è splendida prova la suiteDiana“, spinta da un’energia sostenuta. Poiché, occorre sottolinearlo, Vir preme forte sull’acceleratore, quando necessario, arrivando a cavalcare i blast-beats della sua drum-machine. Ma, poi, improvvisamente, il cozzo del post-black lanciato a folle velocità fra i sentieri di un bosco talmente fitto e verde che la luce non arriva al terreno, dirompe nell’etere accompagnato dalle disperate, angosciose linee vocali del Nostro, molto bravo a interpretarle sia con voce pulita, sia con la tipica ugola scabra del black metal.

Pur essendo un lavoro indipendente, il sound è più che buono, potendosi discernere i vari strumenti. Assieme, chiaramente, alla voce. La sua poliedricità lo caratterizza sia in termini di melodiosità, sia di rudezza; a seconda dei moti che turbinano nello spirito di Vir. Che, nemmeno a dirlo, è un eccellente compositore. Capace di spaziare a 360°, guidato dal talento, fra i dettami stilistici che connotano la foggia musicale tanto amata. Non solo. Tutte le canzoni sono decisamente diverse le une dalle altre, comportando quindi una varietà che intriga e tiene lontano la noia, anzi.

Ecco. Vocazione, preparazione musicale, passione. Con questi semplici ingredienti ma difficili da trovare assieme si possono raggiungere zone mai esplorate dell’invisibile, provando emozioni a vole burrascose, a volte tenui e delicate. Il che è tutto insito nella natura dei Dvorac o, meglio, di Vir.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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