Recensione: Foundation
Nuovo album per i Kranius: ‘Foundation’ è il suo titolo ed è disponibile dal 30/08/2024.
Partita nel 1996 come band, con tre album all’attivo pubblicati tra il 2001 ed il 2022, Kranius è ora diventato il progetto solista del polistrumentista Gary Mungins, che, in ‘Foundation’, canta, suona chitarra, basso, e batteria, mixa, masterizza, si autoproduce e poi “affetta, taglia, trita, frulla e impasta” … una “One man band” in assoluto, in pratica.
Chi scrive preferisce associare il termine “band” al concetto di “gruppo”, un’entità plurima che mette assieme le diverse idee dei singoli per incanalarle in un unico prodotto artistico finale. Bisogna anche dire, però, che senza le “One Man Band”, che corrono a briglia sciolta senza nessun compromesso, alcuni lavori di particolare genialità non sarebbero venuti fuori (citiamo Quorthon ed i suoi Bathory come esempio più conosciuto e scontato).
‘Foundation’ è invece un album lineare, senza sorprese o particolarità: 13 canzoni, per una durata complessiva di quasi 70 minuti, di solo onesto Heavy Metal, inasprito da giusto quel po’ di cattiveria per associarlo anche al Thrash.
Prese una per una le canzoni sono tutte più che ascoltabili, suonate con tecnica ineccepibile e composte prediligendo una scrittura diretta, senza voli pindarici o teatralità e prodotte in modo semplice con poche stratificazioni od altri artifici, ma cariche di buona energia ed aggressività.
Contando però che, alla faccia delle moderne playlist, il bello di un album è ascoltarlo tutto assieme, dall’inizio alla fine, per entrarci dentro e farsi prendere dalla sua storia, questa linearità d’insieme, senza curve sinusoidali (usando questo termine di paragone per indicare l’altalenarsi delle diverse emozioni), espressa in un tempo molto lungo, alla fine ne riduce l’impatto. Giunti a metà album si vorrebbe sentire qualcosa di imprevedibile, di fuori dagli schemi, anche di più disturbante … ma ciò non avviene, ‘Foundation’ inizia in un modo, così prosegue e così finisce.
Non è un lavoro piatto, ma troppo omogeneo perché, soprattutto, troppo lungo, con l’aggiunta di una spessa e quasi onnipresente dipendenza dai Metallica del periodo Black Album, che sinceramente non lo aiuta.
Poi, si ripete, le canzoni non sono male, da quelle che viaggiano spedite (‘Ascension’, ‘Terminus’, ‘Fire of Infinity’), a quelle dalla cadenza super pesante (‘Conclave’, ‘Only Dead Eyes See’, ‘Touching the Void’), alle restanti che ci stanno nel mezzo, come la tirata ‘Empire’, la ballad ‘Memories of Yesterday’ e l’onirica e profonda ‘Decadence’.
Concludendo, un lavoro valido, sicuramente di valore più che sufficiente, ma che tende a ridondare su sé stesso, con le influenze che sovrastano la personalità (oltre a James Hetfield and friends si percepiscono, qua e là, anche Slayer e Black Sabbath, dimostrando un forte attaccamento al classico) ed anche, per dirla tutta, con qualche brano che nello scorrere perde efficacia perché troppo lungo.
Peccato, bastava rinunciare a qualche pezzo per rendere questo ‘Foundation’ più apprezzabile. Aspettiamo comunque gli sviluppi perché l’artista merita comunque interesse.