Recensione: In Our Home, Across the Fog

È sempre sorprendente constatare come la musica metal riesca ad abbracciare dentro sé connotazioni epiche offerte dall’inserimento di arrangiamenti sinfonici e orchestrali. Lo è anche di più quando questa unione avviene nel lato più estremo di essa, in quel black metal che si distacca dalla visone univoca spesso suggerita da velocità e brutalità, aspetti che restano evidenti – certo – ma capaci di convivere con aperture melodiche e una profondità compositiva più incline a strutture che possano guidare l’ascoltatore in quello che a tutti gli effetti è un viaggio oltre il limite dell’immaginazione.
Ne è un chiaro esempio il secondo lavoro dei Bloody Valkyria, one man project condotta dal polistrumentista finlandese Jere Kervinen, il quale seguita al debutto dello scorso anno Kingdom In Fire smussando alcuni angoli e rendendo questo In Our Home, Across The Fog non solo più maturo e ispirato, ma ricco di un’atmosfera che non chiede altro che farti chiudere gli occhi e cominciare un viaggio nel mondo fantasy del videogame Elden Ring, dal quale i testi prendono ispirazione. Come è giusto che sia i brani che compongono l’album prendono il proprio tempo e senza per questo motivo indugiare con preamboli o digressioni che potrebbero invece spezzare il momentum, trascinano tra malinconia e stupore, in un prisma di emozioni che possono scaturire con un ascolto più attento del solito.
Se infatti il vero punto di forza del songwriting di Kervinen è proprio la forte matrice che imprime anche connotazioni atmosferiche ad un lavoro principalmente melodico e che impiega ampio utilizzo di tastiere, va da sé che il minutaggio e questa particolare composizione sono l’emblema di un lavoro che viene apprezzato a dovere se ascoltato per intero, con un brano in successione a quello precedente e creando anche le condizioni ideali per immergersi nel magico mondo raccontato da un voce che si inserisce perfettamente nel tappeto strumentale scritto e realizzato dal buon Kervinen.
In Our Home, Across The Fog potrebbe lasciarvi impassibili e passare inosservato, ma se gli dedicherete le corrette attenzioni e il giusto tempo – come del resto andrebbe sempre fatto quando ci si avvicina ad un lavoro non propriamente mainstream – saprà creare un cordone con quel mondo che potrebbe far perdere tra i suoi labirintici riff e quel sapore malinconico che resta addosso, anche quando chiudi il lettore e senti che vorresti tornare là, verso quella casa in rovina celata da una nebbia che permette di vedere solo a coloro che sono pronti a sfidare ciò che molti vedono come il percettibile confine dei propri limiti esperienziali.