Recensione: In Vertigo
Quarto full length per gli Shiraz Lane, una delle tantissime band attive in Finlandia, terra che a detta dello stesso ex presidente Obama, “ha la maggior quantità di gruppi metal al mondo pro capite”.
E come dargli torto…
Li conosciamo da tempo. Il loro è un hard rock che agli esordi ha manifestato evidenti correlazioni con The Darkness e Guns n’Roses, salvo poi evolversi costantemente verso una definizione del sound dai contorni assai più contemporanei e moderni.
Tornati in Frontiers dopo qualche anno trascorso a sondare il mercato underground in solitaria tramite un cd comunque piuttosto buono (“Forgotten Shades of Life”, 2022), con l’etichetta partenopea i quattro musicisti nordici hanno trovato il terreno fertile per la pubblicazione del loro disco probabilmente più maturo.
Si dice così di solito, quando un album presenta un buon equilibrio tra originalità, livello di scrittura e semplice divertimento. Maturo.
Ma potremmo banalmente definirlo “migliore” rispetto a quanto realizzato sin qui.
“In Vertigo” è, in effetti, un buon compromesso tra ritornelli godibili, songwiting con qualche idea interessante e suoni induriti. Figli del vecchio grunge (qualcuno lo definirebbe “groove”), cui si aggiungono una verve frizzante ed un po’ rock n’roll assieme ad un’anima pop che rende le canzoni facili da capire e da assimilare.
Con il risultato di centrare toni che a volte potrebbero persino sembrare radiofonici. A dirla tutta, alcuni pezzi non stonerebbero affatto se riprodotti in FM su qualche emittente di larga diffusione dedicata ai suoni rock.
Quello che, probabilmente, al netto di qualsiasi possibile smentita, gli Shiraz Lane contavano di ottenere.
Il graffio del frontman Hannes Kett è perfetto sulle linee decisamente orecchiabili in cui le chitarre grattugiano e scavano. Ma non tagliano quasi mai, preferendo il suono “grosso” dell’alternative, alle saette dell’heavy o all’intensità dell’hard rock.
Poco male. Possiamo dire senza troppe remore che la fase “purista” l’abbiamo superata da un pezzo. E che quindi canzoni come “The Ray of Light”, “Come Alive”, “Plastic Heart” e “Brand New Day” ci piacciono parecchio.
Ideali per un ascolto in auto o per dare la cadenza in palestra. Comunque ottime per trascorrere un po’ di tempo in modo piacevole e disimpegnato.
La densità della tracklist – solo dieci pezzi – rende infine l’esperienza nel suo complesso piuttosto agile da completare in scioltezza. Più volte.
E diciamolo: quanto sono gradevoli, dopo tutto, gli album che suonano bene, hanno qualche canzone ben costruita e non si stiracchiano con pallose lungaggini in cui c’è troppa accademia.
26 Che i musicisti coinvolti siano esecutori preparati, affiatati da anni trascorsi a condividere le sorti della band e dotati di una certa qualità tecnica, è poi una affermazione puramente didascalica. Complementare alla descrizione di una nuova uscita piuttosto interessante.
Che, effettivamente, non ci è per nulla spiaciuto trovarci nel lettore mp3 con una certa frequenza.
Non c’è sempre bisogno di capolavori.
A volte anche album come questi possono riempire brillantemente la giornata.
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