Recensione: Kurkay

Di Alessandro Calvi - 10 Febbraio 2008 - 0:00
Kurkay
Band: Barbarians
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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70

Nati formalmente nel 1991, i Barbarians giungono solo nel 2006 alla realizzazione di un demo che raccoglie brani scritti dai suoi componenti originali in tutto questo tempo. Brani però rivisti alla luce dell’esperienza che i musicisti si son fatti suonando in varie realtà dell’underground lombardo-piemontese. Solo cinque canzoni, che però ci presentano una band matura e che si è fatta le ossa con la gavetta, gavetta che sembra aver dato i suoi frutti.

Ad aprire le danze troviamo “The Father of Victory”, brano che ci presenta subito di che pasta son fatti i Barbarians. L’incedere del brano è subito epico e granitico. La voce sfiora il growl rendendo i brani più aggressivi e agguerriti. La melodia però rimane sempre anche molto coinvolgente e, pur in una certa semplicità nel song-writing, si nota che le idee non mancano.
La titletrack comincia in maniera orecchiabile con un accattivante riff di chitarra, a cui ben presto si affianca la voce. Il contrasto lascia un po’ perplessi dato che la melodia inizialmente ha ben poco di marziale e anzi strizza l’occhio al metal classico sia per note che vero e proprio suono degli strumenti. Ben presto però le chitarre si fan più piene e distorte tornando verso il sound che aveva contraddistinto anche la prima song. Il ritornello, la semplice parola “Kurkay”, ripetuta in coro alcune volte, colpisce nella sua semplicità risultando al contempo efficace e d’impatto.
Al terzo posto della scaletta vi è poi “The Rats in the Wall”, canzone dal testo fin troppo evidentemente ispirato a uno dei capolavori del cosiddetto “solitario di Providence”, al secolo Howard Phillips Lovecraft. Si tratta indubbiamente del brano più oscuro e dai toni più cupi del cd. In questo caso viene in parte lasciata da parte l’aura epica delle composizioni precedenti e successive per dedicarsi a comporre un’atmosfera più in linea con il contenuto horror del testo. Il risultato in certi passaggi sfiora quasi il black per il ritmo indiavolato della batteria e le chitarre prossime al ronzio per la velocità dell’esecuzione.
Si torna verso lidi più consoni al nome della band con “The Supreme Sword”, song cadenzata e solida, dal ritmo e dalla melodia orecchiabile e coinvolgente. E la testa stenta a resistere alla tentazione di cominciare ad andare su e giù. Così come il piede a tenere il tempo.
Infine, a chiudere le danze, ecco “Barbarians”. Canzone che porta il nome del gruppo e che si apre con un ritmato incedere di tamburi a cui si assomma una chitarra dal suono che può quasi ricordare le cornamuse e poi tutti gli altri strumenti. La melodia rimane invariata, ma l’esecuzione con strumenti e suoni diversi la trasforma, pur facendola rimanere l’ossatura prima della canzone. Indubbiamente il modo migliore per chiudere questo cd lasciando all’ascoltatore quel giusto senso di perdita che lo può portare a schiacciare nuovamente il tasto play o ad aspettare la prossima uscita di questo gruppo.

Dal punto di vista della produzione non vi è quasi nulla da dire. Per quanto si tratti di un demo, infatti, tutta la realizzazione sembra pressoché ottima sotto il profilo sonoro. Le chitarre in particolare hanno un’ottima pienezza che valorizza i brani. Il mixaggio non sembra soffrire delle solite pecche e anzi tutti gli strumenti hanno i volumi giusti facendosi sentire bene senza coprirsi gli uni con gli altri. Naturalmente qualcosa di meglio è sempre possibile farlo, ma il risultato in questo caso non è per nulla di secondo piano e valorizza molto bene la proposta musicale della band.

In definitiva i Barbarians ci regalano un cd sicuramente degno di un ascolto. Niente tecnicismi esasperati per questi quattro ragazzi, ma una grande esperienza e una grande padronanza del song-writing che permette loro di comporre brani semplici, lineari, ma decisamente coinvolgenti e che conquistano l’ascoltatore. Doti queste che sembrano essere merce rara in tempi in cui sempre più gruppi ammucchiano strumenti diversi, linee melodiche, soluzioni jazz, pop, elettroniche, prog nelle proprie canzoni con il solo scopo di nascondere una totale mancanza d’idee.

Tracklist:
01 The Father of Victory
02 Kurkay
03 Rats in the Wall
04 The Supreme Sword
05 Barbarians

Alex “Engash-Krul” Calvi

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70