Recensione: Magic 8-ball
 
                                    
                                La musica dei Gazpacho è sinonimo di qualità e bellezza, meriterebbe maggiore visibilità dopo quasi tre decenni dalla fondazione della band norvegese. Quest’ultima (fiore all’occhiello del roaster Kscope) arriva al suo dodicesimo studio album con line-up invariata, vantando una discografia senza cedimenti e continuando a proporre il suo art rock psichedelico per amanti di band quali Marillion, Porcupine Tree e Pure Reason Revolution.
A cinque anni di distanza da Fireworker, Magic 8 Ball è stato mixato da Thomas Juth (a-ha / Elton John / Paul McCartney / Cat Stevens) e masterizzato da Hans Olsson presso i Svenska Grammofonstudion Mastering. Si presenta come un concept album in senso lato che vuole interrogarsi sul paradosso della nave di Teseo: gli esseri umani possono perdere parti del proprio sé e restare gli stessi? L’album è strutturato, dunque, come una serie di episodi che riescono a intrecciarsi: ogni canzone segue un personaggio diverso in un momento di crisi, nell’istante d’epifania in cui qualcosa cambia per sempre.
Il disco affronta temi come l’esplorazione della propria identità, il rimorso, i ricordi e il modo in cui il tempus edax dà forma al mondo attraverso continui cambiamenti spesso non prendendo in considerazione il punto di vista degli esseri umani. Il tutto è condensato nel titolo e nella copertina che rimanda alla famosa palla da biliardo numero otto (citata anche dai Dream Theater in Octavarium).
Veniamo alla tracklist. L’avvio è a dir poco celestiale con i nove minuti di “Starling”, canzone più lunga in scaletta e che mostra un perfetto mix di psichedelia e delicatezza. I Gazpacho riescono a sospendere lo scorrere del tempo e in qualche modo a redimerlo.
“We are Strangers” ha uno dei migliori refrain dell’album, magnetico e orecchiabile al punto giusto; risulta anche frizzante nelle dinamiche, con buoni inserti elettronici e ritmi incisivi. Vale in parte lo stesso discorso per la successiva “Sky King”, con break centrale che include un soundscape marino e note elegiache di pianoforte nell’epilogo.
Le atmosfere restano oniriche e sospese anche in “Ceres”, tre minuti in cui troviamo pure dei suoni di campane (Mike Oldfield ringrazia). In “Gingerbread Men” (lett. “Uomo pan di zenzero”) si respira un’aria vicina ai Marillion e si provano gli stessi brividi che uscita una canzone come “Angels on Earth” (ultima parte di “Care,” brano di chiusura di An Hour Before It’s Dark).
La title-track “Magic 8-Ball” stupisce invece per una certa ricerca del grottesco. Il sound si fa circense e divertito, donando eclettismo alla tracklist e un momento teatrale molto gradito. “Immerwahr” è il secondo brano più lungo e scorre piacevole con il suo retrogusto shoegaze che valorizza il contrasto calcolato tra le ritmiche abrasive e la voce pulita di Henrik Ohme.
L’album si chiude con “The Unrisen”, song che prende avvio con note di violino e carillon, ma che nel finale sfoggia un afflato trascinante e metafisico da non sottovalutare.
Magic 8-ball in definitiva è un disco atmosferico, stratificato ed emozionale. I Gazpacho riescono a evocare l’atmosfera artica della Scandinavia, però il loro sound niveo riscalda l’anima e vorremmo la loro discografia non finisse mai. La capacità della band è quella di fermare il tempo, proponendo ritmi psichedelici con la voce di Jan Henrik Ohme che è puro refrigerio. Consigliato a tutti i fan di Marillion, Pure Reason Revolution e Anathema.
 
                
