Recensione: March in Arms

Di Andrea Bacigalupo - 30 Dicembre 2018 - 21:36
March in Arms
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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65

I March in Arms provengono dal Sud Dakota, Stati Uniti e sono attivi dal 2012. Si sa ben poco della loro storia, tranne che si definiscono una band ‘Thrashy-Military-Power-Metal’ e che hanno inciso il primo album, dal titolo omonimo, auto-producendolo e pubblicandolo il 20 novembre 2018. 

Lasciando da parte le auto definizioni, ascoltando l’album, si può dire che il loro è un Heavy Metal dalle lunghe aperture melodiche condite con fulminate Thrash, più aggressive che feroci, ed una potenza di fondo, esaltata soprattutto dal vocalist, molto adatta a quello che viene definito US Power. Se poi aggiungiamo che le loro tematiche riguardano, essenzialmente, la guerra ecco che la definizione datasi da loro stessi può dirsi abbastanza esatta.   

L’esordio non è malvagio, ci sono molte buone idee che possono dirsi veri e propri assalti sonori, avvincenti e dirompenti quanto una fucilata a bruciapelo, come ‘The Failure’: preceduta dalla lunga e disperata intro ‘Procession of the Dead’ è un pezzo dai cangianti cambiamenti di umore che ne enfatizzano la suspence e con una sezione solista da brivido, oppure la più diretta ‘Firebreather’, aperta da un riff tagliente, con le chitarre che sembrano guidino un assalto a qualche collina da conquistare; poi la batteria irrompe ed inizia una battaglia a colpi di Heavy/Thrash. La voce segue ritmiche serrate prorompenti che esplodono nel refrain, melodico ma determinato. L’interludio è pesante e forte fino al ripetersi del refrain ed al finale a più voci, a testimonianza della forza della band.

band 450

La seguente ‘Mouth of Kracken’, di stampo più moderno e dai toni grevi, è tirata ed avvincente, con una sezione di finta quiete che spezza un po’ il ritmo prima dell’incalzante ripresa e dell’assolo, di buona tessitura e sostenuto da una ritmica coinvolgente.

Queste due tracks sono anche riproposte in versione live, come bonus a fondo album, per dimostrare la buona potenzialità che il quintetto dimostra sul palco.

Overlord’ inizia con un mid tempo greve e potente, di ampio minutaggio (oltre i sette minuti) musicalmente molto incisivo, con un cantato quasi malinconico ed un refrain emozionalmente distruttivo, a metà il pezzo accelera, introducendo un assolo lento che porta ad una sezione nostalgica che diventa marziale e nera come la notte, incrementando la sua durezza.

Empty pleads’ è un altro brano esplosivo e tirato, duro come il ferro, con buone linee melodiche che esaltano il refrain ed una sezione ritmica che è un assalto di fanteria: brutale e continuo fino allo spasimo. Molto valida la parte centrale con l’assolo ed il struggente finale con il pianoforte.

The Knife’ gioca su ritmi marziali, con un cantato epico trascinante ed incisivo ed una sezione musicale magnetica, che improvvisamente si addolcisce per qualche secondo, grazie ad un buon lavoro di tutti gli strumenti a corda, prima di trasformarsi in un urlo disperato quanto irruente che termina all’improvviso lasciando un punto di domanda. 

Ma l’album è lungo (supera abbondantemente l’ora) e, purtroppo, non ci sono solo momenti positivi: ‘Ashes’, per quanto dura e massiccia dice poco e non riesce a rimanere impressa, così come ‘I Am Death’, che non è proprio malvagia, presenta anche momenti significativi come il duetto di chitarre, ma, in generale, lascia abbastanza indifferenti e se si ascolta oppure no non cambia niente.

To No End’ chiude il disco, prima delle bonus – tracks sopracitate: incisiva e deflagrante è cupa e truce, con una voce che si fa minacciosa quanto determinata. Anche in questo caso è inserito un breve momento di calma prima di un interludio carico ed epico che porta ad una trasformazione del pezzo, che diventa più aperto e luminoso per poi ripiombare nelle tenebre e chiudere il lavoro.

Come esordio questo ‘March in Arms’ è più che soddisfacente, con poche sbavature, concentrate più che altro nelle già citate ‘Ashes’ e ‘I Am Death’, ma, come si suol dire: ‘non tutte le ciambelle riescono con il buco’.

Tirando le somme è un album che lascia un buon segno e fa ben sperare che la band possa regalare altre buone sorprese nel prossimo futuro. 

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