Recensione: Medea

Il mito di Medea ha conosciuto vastissima fortuna e diverse declinazioni pur rimanendo nella sovrastruttura abbastanza simile, questo riferendoci all’ambito meramente letterario. Interessante è notare la vicinanza che si pone tra il mito di Medea di Dracozio e quanto accade del lavoro dei Fatal Rails.
Nella narrazione del poeta e apologeta romano è Medea a rubare “il vello d’oro” per poi donarlo a Giasone, il quale, per tutta la narrazione, appare una figura passiva. Il disco dei Fatal Rails appare più assimilabile a questa interpretazione di Giasone che a quella di Medea, per i motivi di seguito esposti.
Pochi dettagli nella Bio, ma indagando nel web qualche nome è venuto fuori e siamo di fronte a un moniker tutto made in Italy (o almeno per tre quarti) con Gianpino Margarone alla chitarra, Vincenzo Zimbone alla batteria, Riccardo Russo al basso e Anton Purtseladze alle tastiere e inserti vocali. L’artwork del lavoro che andiamo a recensire gioca molto sui colori e sulle tonalità cremisi. Un viso che ci guarda con sguardo attento in fading e dei corvi in penombra che volano in modo confuso senza una vera direzione o meta (gioco di prospettive).
Tornando alla musica vera e propria, il progetto unisce schemi e strutture semplici a ritmiche prog in pieno stile A Pleasant Shade of Gray dei Fates Warning (capolavoro del suo tempo, con un Mark Zonder inimitabile dietro le pelli) ma con suoni grezzi e quasi anni ’90.
Addentrandoci nel mondo di Medea è la volta dell’opener Esoteric moon, primo singolo in uscita. Risulta sin da subito piatta e datata nei suoni e negli interventi solistici, con un ostinato ritmico su accordo singolo davvero monotono. Phàrmakon segue la stessa linea, prevede un momento con chitarre arpeggiate che dovrebbe richiamare atmosfere esotiche, ma che lascia nuovamente spazio alla solita chiave di lettura ritmica simil-prog. Farewell time lascia ben sperare, con intro sui tom e una lead guitar con effetto violino (vedi giochi col controllo volume), il crescendo è efficace, ma la sorte non aiuta questo brano, costretto a ripiegarsi ai soliti stilemi della band.
Misitica ha al suo interno alcune sfumature che ricordano Orchid degli Opeth, soprattutto per le melodie chitarristiche cariche di delay e riverberi. Il solo è carico di dissonanze e smorza un po’ l’effetto “già sentito” delle chitarre acustiche, ma le idee sono davvero poche e a volte anche mal realizzate, il concept musicale da qui in avanti fa fatica a emergere. Si ha l’impressione di essere di fronte a un lavoro incompleto, un lavoro a cui andrebbero aggiunte linee vocali e che forse dovrebbe prevedere la presenza di un vero e proprio cantante, almeno per come è strutturato attualmente. Insomma una demo pronta per le registrazioni vocali.
Tutto il disco scorre così come si è presentato sin dalle prime note, non si segnalano momenti più felici. Non fa eccezione la ballata finale, ovvero la seconda parte di Medea. Qui si tende a mistificare alcuni pattern acustici davvero poco innovativi e monotoni, in quello che già fino ad ora è risultato essere un ascolto affaticato e pesante.