Recensione: Nostalgia

Di Andrea Bacigalupo - 5 Maggio 2023 - 8:30
Nostalgia
Band: Enforcer
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Heavy  Speed 
Anno: 2023
Nazione:
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72

Non c’è nulla che non vada in ‘Nostalgia’, ultimo lavoro in studio degli svedesi Enforcer: ben prodotto, ben suonato, brani orecchiabili e carichi d’energia… su questo nulla da dire, però…

Ho conosciuto gli Enforcer nel 2008, quando è uscito ‘Into the Night’, il loro primo Full-Length.

Come per molti, avevo bisogno di un album del genere, di una band del genere: non l’ennesima reunion nostalgica di chi non voleva vedersi invecchiare sul divano di casa, in pantofole (qualcuna anche azzeccata, beninteso), ma una band nuova, di giovani, capace di suonare con lo stesso ardore e la stessa fottuta attitudine degli ‘antichi’.

Probabilmente, ascoltare per la prima volta ‘Into The Night’ oggi, in un periodo storico musicale che non ha più sequenza storica, non ha lo stesso effetto di allora, ma all’epoca il contesto era diverso e “le sorti del True Metal erano appese ad un filo” (cit. Federico Mahmoud, recensore di TrueMetal dell’epoca), per cui una band, ripeto giovane (all’epoca erano sui vent’anni), che suonava un Heavy/Speed Metal vivo ed incandescente pieno del retaggio della NWOBHM era riuscita a fare breccia.

Enforcer, White Wizard, Steelwing … i nuovi Angelwitch, Demon o Savace Grace? Direi di no, principalmente perché ognuno è figlio del proprio tempo e della propria cultura. Certo che sono stati loro, ed altri come loro, che non citiamo per evitare prolissità, a ridestare il ‘gigante che dorme’ (cit. Isoruko Yamamoto che non c’entra nulla, ma mi piace).

Ritornando agli Enforcer, dopo ‘Into The Night’ è uscito ‘Diamonds’ nel 2010, grosso modo con lo stesso tiro, e poi altri tre album con un graduale spostamento del sound da oltre manica ad oltre oceano.

D’altronde, con gli anni il senso artistico cresce, si evolve, pretende dei cambianti introspettivi; correre sempre sul posto può risultare noioso, mentre l’energia tempestosa dell’Heavy Metal di Dokken, Skid Row, Keel e Quiet Riot, meno estremo e più duttile, consente maggiori eclettismi (e piace anche ad un pubblico più ampio … oops, questa mi è scappata!).

Nostalgia’, sesto album, continua nella direzione dell’ultimo ‘Zenith’ del 2019, con una buona parte delle canzoni che potrebbero essere incluse nella colonna sonora del film ‘Rock of Ages’ (in senso positivo).

E’ un panorama abbastanza ampio: con ‘Unshackle Me’, carica di una dirompente energia sensuale, ‘Heartbeats’, che trasforma il romanticismo in durezza e poi disperazione prima di esplodere, ‘Demon’ e ‘No Tomorrow’, due Hits anthemiche e super orecchiabili, ‘Nostalgia’, che è una ballad appunto nostalgica, ‘White Lights in the USA’ (titolo che la dice lunga) che è un Rock ‘N’ Roll stradaiolo che richiama i Motley Crue e c’è anche una contaminazione Funky nella ritmica di ‘Keep The Flame Alive’ che ne maggiora la vivacità.

Anche il tiro di ‘At the End of the Rainbow’ e ‘When the Thunder Roars (Crossfire)’ non è male, non velocissimo ma sostenuto ed aggressivo al punto giusto.

Il quartetto non vuole staccarsi del tutto dalle proprie radici ed intercala nella tracklist alcune bordate Speed vecchia maniera: ‘Coming Alive’, ‘Kiss of Death’ e ‘Metal Supremacia’ sono pezzi roventi ed affilati allacciati ai primi lavori degli Enforcer, dove si percepiscono le Twin Guitars di Iron Maiden e Satan, anche se di trama meno scura. Devo dire, però, che sembrano quasi fuori posto, un esserci perché ci devono essere (almeno, questa è la mia sensazione).

Fin qui abbiamo parlato relativamente bene di ‘Nostalgia’, ma allora, cosa c’è che non va, perché ho piantato un ‘però’ alla fine della prima frase di questa recensione? Perché, pur riconoscendo che non sono affatto male e che mi aspettavo anche un album del genere, questa canzoni mi entrano nelle orecchie, finiscono nel cuore, ma non mi esplodono nello stomaco. Tutto lì: manca ‘l’effetto Wow!!!’. Non mi annoiano ma neanche mi viene voglia di riascoltarle. Diamo la colpa al fatto che il genere è troppo inflazionato, che ne abbiamo ascoltate in quantità industriale e che non c’è novità ed ancora che quando c’è troppo sullo stesso livello anche il bello diventa mediocre. Di fatto, è un album che non prende più di tanto, peccato, la stoffa c’è tutta: una gran bella prova vocale, assoli da brivido, un nuovo bassista (lo statunitense Garth Condit) che sa il fatto suo ed argomenti non banali che portano a riflettere (ciò che esisteva in passato, il mutamento costante della vita, la forza distruttiva del tempo che tutto fa appassire e cessare d’esistere).

Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco. Il giudizio è più che positivo, ma qualcosa manca.

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