Recensione: Our Glass House

Di Carlo Passa - 6 Dicembre 2020 - 11:13
Our Glass House
Band: Unruly Child
Etichetta: Frontiers Music
Genere: AOR 
Anno: 2020
Nazione:
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78

Gli Unruly Child sono dei professionisti straordinari. Quando ancora si chiamava Mark Free, la vocalist Marcie Free pubblicò quel Long Way From Love (1993) che rappresenta una pietra miliare dell’AOR; per non parlare del suo ruolo nei King Cobra e, quindi, nei Signal, il cui Loud & Clear (1989) è un altro coaposaldo del genere. Non da meno sono il chitarrista Bruce Gowdy e il tastierista Guy Allison, che vantano una sfilza di collaborazioni di alto livello con gente del calibro di Glenn Hughes, Bobby Kimball e James Christian. E il gioco è fatto se si pensa che per questo nuovo Our Glass House è della partita anche il bassista, ex Blue Murder, Tony Franklin.
Date le premesse, sapete già cosa attendervi da Our Glass House: certo, se amate il brutal metal, ne starete ben lontani, ma se invece il vostro cuore balza all’ennesimo risuonare di un rock raffinato nelle melodie e negli arrangiamenti, e non vi siete persi nemmeno un’edizione del compianto Frontiers Rock Festival, non avrete bisogno delle mie parole per gettarvi sull’ennesimo capitolo della storia degli Unruly Child.
Senza girarci intorno, dirò che Our Glass House è un ottimo disco AOR, in cui potrete trovare tutte le variazioni del genere. Ecco, dunque, che solide melodie incalzanti (Poison Ivy e The Wooden Monster) e tirate (Say What You Want) si alternano a pomposità tastierose contrappuntate da chitarre di sublime raffinatezza (Our Glass House), a groove caldissimi (Everyone Loves You When You’re Dead e Talked You Out Of Loving Me), oltre che, ovviamente, a ballad di pathos, COME Catch Up To Yesterday, che ricorda un po’ i Poison di Native Tongue: e nel confronto vince per distacco qualitativo.
Merita una citazione particolare la bella Underwater, pezzo di eleganza superiore, che dimostra come un genere ormai ampiamente sfruttato e oggettivamente fuori dal mainstream possa ancora regalare momenti non solo freschi, ma addirittura originali.
Alterna onirismo e AOR la particolare (e notevole) Freedom Is A Fight, mentre We Are Here To Stay è il mio pezzo preferito, con quel suo riffone che si trasforma in una strofa classicissima, per scaturire infine in un bel ritornello arricchito da tastiere che richiamano addirittura i Deep Purple. Insomma, un compendio piacevolissimo.
Se è vero che gli Unruly Child dimostrano la vitalità del genere nel 2020, l’AOR non manca mai di regalare un po’ di nostalgia di tempi ormai lontani. E la band americana ci si affonda volentieri, proponendoci le nuove versioni di due pezzi da novanta del proprio esordio di 28 anni fa. To Be Your Everything è il contraltare intimista (e per niente banale) della grande ballad definitoria degli Unruly Child: non attendetevi, dunque, l’ariosa pienezza dei suoni della versione orginale, ma piuttosto un arrangiamento dolcissimo, quasi sussurrato, che davvero dona nuova linfa vitale a una canzone eterna.
Sulla medesima linea si pone anche la nuova versione della splendida Let’s Talk About Love, sebbene si riveli meno originale rispetto a quella di To Be Your Everything.
Alla fine, gli Unruly Child sono una benedizione. Sanno sempre suonare personali e riconoscibili, senza rinunciare a un’evoluzione sottile che diventa evidente nel momento in cui la band si mette a risuonare due propri classici, non solo valorizzandoli (e non capita spesso) ma soprattutto aggiornandoli al 2020 e, in ultima istanza, alla sensibilità di musicisti che oggi hanno quasi trent’anni di più di quando quei pezzi scrissero. Noi ascoltiamoli e ringraziamoli.

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