Recensione: Out Of Oblivion

Di Fabio Vellata - 2 Aprile 2009 - 0:00
Out Of Oblivion
Band: Ethan Brosh
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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75

Un chitarrista dal nome totalmente sconosciuto, un cd interamente strumentale ed una label di prestigio e garanzia di qualità artistica come la Magna Carta.

Risultato? Dopo “Clean” di Dave Martone e “Memory Crash” di Steve Stevens, ecco un altro album dedicato agli shredder maniac di tutte le latitudini, arricchito, come consuetudine dei prodotti dell’etichetta americana, da una buona quantità di nomi famosi e collaborazioni di prestigio, utili per dare lustro ed autorevolezza ad un disco altrimenti legato unicamente ad un nome ignoto e, come inevitabile, di scarso richiamo mediatico.

Nato a New York ma cresciuto in Israele, Ethan Brosh ha sino ad ora dedicato tempo e forze allo studio ed all’insegnamento. Diplomi vari in tecnica e songwriting ed una posizione da docente presso l’istituto di tecnologia musicale di Berklee, hanno, per alcuni anni, celato al mondo degli appassionati un talento naturale dal notevole feeling e di grande personalità.
“Out Of Oblivion” – titolo alquanto significativo (letteralmente “Fuori dall’oblio”) – è, infatti, una testimonianza di bravura che non passa inosservata e pone all’attenzione del pubblico le capacità del virtuoso statunitense, tranquillamente paragonabile, per stile e bravura, a molti dei più blasonati colleghi di fama mondiale.
George Lynch, sponsor principale del giovane guitar hero, Joe Stump, Greg Howe e Mike Mangini, (senza dimenticare il monumentale Chris Tsangarides al mixer), ospiti illustri presenti a vario titolo, sono del resto una più che valida ragione per intuire sin dai primi approcci la possibile statura del protagonista, autore di una serie di tracce dalle numerose e molteplici sfumature, comprese nell’ampio spettro che va dal puro e semplice hard rock sino alla fusion, passando per Flamenco e suggestioni Jazzistiche.

I conoscitori avranno a questo punto già inteso alla perfezione, quali possano essere i contenuti del cd, restando tuttavia dubbiosi sull’annoso quesito che da sempre accompagna i prodotti incentrati unicamente sul suono degli strumenti. Grande sfoggio di tecnica con pedante esibizione di bravura, o una proposta più comprensibile ed amichevole, che sia in grado di attrarre anche chi le sei corde, le ha sempre e solo viste da lontano?
Domanda retorica, in fondo. Trattandosi di una produzione Magna Carta, la garanzia di valore artistico è implicita, così come la presenza d’atmosfere e soluzioni che sappiano valicare l’aspetto puramente “didattico”, dando spazio anche ad elementi come la scorrevolezza ed il puro piacere d’ascolto.

Largo dunque a composizioni di gusto, ricercatezza e vigore come “The Hit Man”, “Downward Spiral” (in collaborazione con George Lynch), “Ancient Land” e “Blade Runner” (con Greg Howe), in cui si notano influenze di Paul Gilbert e del solito, immancabile Mr. Satriani, espresse in un contesto ampiamente heavy rock con qualche sfumatura progressiva.
Sorprendono poi gli accenti flamenco di “Illusion”, il buon gusto di “Night City” e l’elegante esecuzione della “Lute Suite” di Bach, così come donano varietà e colore le esuberanze power della veloce “In A Sentimental Mood”, canzone che mediante il contributo di Joe Stump, in alcuni frangenti parrebbe essere estrapolata dal songbook di Yngwie Malmsteen.
Raffinatezze assortite infine con “Last Hope”, non troppo lontana dallo stile del compagno d’etichetta Dave Martone e con la conclusiva, lenta e drammatica “Affliction”, poco più di un minuto per porre termine ad un album che riserva tre quarti d’ora d’ottima musica, dal profilo tecnico elevato ma mai troppo elitario.

Un debut interessante dunque per Ethan Brosh, chitarrista dalle indubbie capacità di cui, ne siamo certi, sentiremo ancora parlare.

Ultimo appunto infine, per l’artwork, curato dal celebre Derek Riggs di “Maideniana” memoria. Le ambientazioni futuriste, le luci metropolitane, le scritte al neon e lo stile visionario della cover, rimembrano senza possibilità d’errore un classico senza tempo di Dickinson e soci, pur con un differente soggetto immortalato in primo piano.
Un ulteriore particolare che incornicia in modo definitivo un disco piacevole e ben confezionato, cui gli appassionati dovrebbero dedicare almeno un ascolto.

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Tracklist:

01. The Hit Man
02. Night City
03. Downward Spiral
04. Blast Off
05. Ancient Land
06. Illusion
07. In A Sentimental Mood
08. Blade Runner
09. Last Hope
10. Bach Prelude No.4 from “Lute Suite” in E Major
11. Affliction

Line Up:

Ethan Brosh – Chitarre
Eyal Freeman – Basso
Mike Mangini – Batteria
Yuval Golibroda- Tastiere
Demian Arringa – Percussioni
George Lynch – Chitarra
Joe Stump – Chitarra
Greg Howe – Chitarra

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