Recensione: Reckoning

Di Francesco Maraglino - 26 Gennaio 2019 - 0:14
Reckoning
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2019
Nazione:
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77

Toby Hitchcock è giunto agli onori delle cronache in ambito hard rock/melodic rock grazie alla sua partnership con Jim Peterik nei magnifici Pride Of Lions. I POL sono, probabilmente, la band di AOR/pomp rock che più di ogni altra ha tenuto alto il vessillo di tale genere musicale negli ultimi lustri, imponendosi come la più credibile erede dei fasti dei classici Survivor.
I Pride of Lions sono in questo periodo in pausa, giacché Jim Peterik è al lavoro su un nuovo album dei World Stage, e Toby Hitchcock ne ha approfittato per dare un seguito al suo primo disco solista, quel Mercurys Down che era uscito ben otto anni fa.

Se l’esordio, accolto con una generale standing ovation dalla critica, vedeva l’apporto sostanziale di Erik Martensson, fondamentale artista ben noto per le glorie dei suoi Eclipse e W.E.T., anche stavolta lo statunitense Hitchcock ha perseguito la via scandinava al melodic rock. Il nuovo “Reckoning”, infatti, è stato realizzato grazie ad un’alleanza artistica assai stretta con il tastierista, autore e polistrumentista Daniel Flores (Find Me, The Murder Of My Sweet), tra i più attivi artisti in casa Frontiers.
Al basso ed alle chitarre, ecco, invece,  Michael Palace, svedese anche lui, reduce dal suo secondo lavoro col monicker Palace (il miglior disco AOR dell’anno appena trascorso, secondo il vostro recensore), mentre alla batteria è seduto Yngve “Vinnie” Strömberg.

Il risultato è quanto ci si aspetta da un disco di artisti di tal fatta: AOR/melodic rock enfatico e, stavolta, maggiormente keyboard oriented (quasi una sorta di “high-tech AOR”, come si sarebbe definito una volta).
Emblematico, in tal senso, Promise Me, singolo che veleggia  tra partenze soft rock e uno sviluppo epico e melodico. Lo stesso può dirsi della paradigmatica No Surrender, in cui i riff di tastiere e chitarre aprono un brano allo stesso tempo magniloquente ed altamente melodico, con i tasti d’avorio e, naturalmente, la voce, in bella vista, mentre anche Michael Palace inanella un bell’assolo di chitarra. Qui i fans dei Pride of Lions gioiranno, e lo stesso faranno ascoltando pure Queen Untouchable, enfatico, veloce ed iper-melodico pomp rock proprio sulla scia di tale band. Qualcuno, invece, troverà echi dei gloriosi Asia in Behind The Lies, condita di parecchia elettronica ma anche di tastiere epiche al servizio di un grintoso pomp/hard rock caratterizzato da un canto qui ruggente.

L’indispensabile settore delle canzoni più slow è ben rappresentato, innanzitutto, da Show Me How To Live, ballatona da manuale delle power ballads ricca di pathos. L’ascoltatore più scafato  se l’immaginerebbe, se vivesse ancora negli anni Ottanta,  messa lì a sottolineare le scene romantiche di qualche film di cassetta dell’epoca. Naturalmente Toby, per le caratteristiche della sua ugola, qui dà il meglio di sé, cimentandosi su percorsi più romantici anche in Gift Of Flight (una quasi ballata soft rock che costituisce il momento più ovattato del full-length).

Serenity è, invece, uno svelto, nervoso ed accattivante pop-rock che scivola via come acqua corrente tra tastiere dominanti e un liquido assolo di chitarra, mentre altri momenti più rockeggianti e ad alto voltaggio come Someone Like You (energico ed orecchiabile AOR di alta scuola condotto da una voce più ardente e da una chitarra molto carica), e Dont Leave (rocker con ritmica e ascia in bella evidenza), alzano il tasso di adrenalina del platter.

“Reckoning”, insomma, è, ancora una volta, un disco mirabilmente cantato, sorretto da un ottimo songwriting che passa, come di prammatica, dalla ballata all’hard rock melodico devoto a Survivor e Pride of Lions, intriso a profusione di una melodia ipertrofica ostentata con spavalderia e sfacciataggine, e che consente a Toby di esprimere al meglio le proprie doti di singer prodigioso.

Rispetto all’esordio, però, il nuovo LP sconta forse suono un po’ troppo uniforme e troppo comparabile ad altre, tante, produzioni del genere, e qualche conseguente momento di stanchezza sulla lunga distanza, anche per una certa freddezza di fondo dei suoni. Si tratta, comunque, di piccole ombre che non affliggono più di tanto il godimento di una prova discografica più che positiva.

Francesco Maraglino

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