Recensione: Seminole

Di Fabio Vellata - 31 Gennaio 2022 - 0:01
Seminole
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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84

Sempre più palese la crescita artistica messa in mostra da Alessandro Del Vecchio e dai suoi Edge of Forever. Senza dubbio, il momento di più autentica e verace espressione del tentacolare musicista nostrano, ambiente autonomo, a se stante, quasi “privato”, in cui poter dare sfogo a tutte le passioni più vive e pulsanti. Vero è che una parte di merito è da sempre condivisa con altri validi elementi della scena tricolore (anche stavolta ci sono Di Salvia, Lonobile e Mazzucconi). Ma è comunque parecchio difficile non parlare di progetto solista.

Capitolo nuovo che si prospetta come un ideale sviluppo ed un brillante ampliamento di quanto espresso con il precedente “Native Soul“, edito un paio di anni fa. A guardare la storia del moniker nel suo insieme, l’idea netta è quella di due vite distinte e separate. Gli Edge of Forever del pur eccellente “Another Paradise” (2010, 7hard records) ad esempio, non riuscivano ancora a raggiungere la profondità di argomenti ed il complesso d’intrecci melodici messi in evidenza allo stato attuale.
Supponiamo che la lunghissima esperienza maturata da Del Vecchio nelle centinaia di ore spese al servizio di altri, sia stata una palestra perfetta, poi confluita proprio negli Edge of Forever. Ora, summa dell’arte di uno dei maggiori esponenti della scena melodica europea.

Seminole” è un disco complesso, elaborato, stratificato. Compiuto. Innervato da molte influenze diverse – dal prog moderno, all’hard rock settantiano – che lo rendono incisivo e potente. Solido ed in grado di porsi all’attenzione su più livelli d’ascolto, lampante dimostrazione di una rinnovata capacità di songwriting che, quando libera da schemi troppo rigidi (o dal dover scrivere per “altri”), pare rianimarsi, acquisendo una personalità netta, a tutto tondo, difficilmente riscontrabile in altri frangenti della carriera artistica di Del Vecchio. Un’evoluzione che parte dalla “penna” ma coinvolge anche la voce del musicista lombardo, decisamente più sicura ad ogni nuova uscita e dotata – finalmente – di un carattere che a nostro parere era sempre un po’ mancato nelle vecchie release.

Troppo facile a questo punto, parlare di maturità. Ma è, dopo tutto, quello di cui stiamo trattando.
Una manifesta sicurezza che pare raggiunta in pianta stabile e da origine ad una serie di canzoni che rielaborano stili ed atmosfere pluri-frequentate, ma approcciate con piglio del tutto libero da eventuali omaggi sperticati e perigliosi.
Del Vecchio ci ha sempre saputo fare, inutile ribadirlo. A volte con esiti brillanti, in altre occasioni dando l’impressione di appiattirsi un po’ per routine sull’eccessiva mole di lavoro prodotto ed elaborato costantemente. Qui è invece proprio il caso di una produzione che sa di definito e personale. Genuino, se vogliamo. A partire dalle tematiche salvifiche, positive e piene di buoni messaggi – patrimonio distintivo del mastermind – per arrivare sino alla qualità complessiva dell’album. Songwriting, suoni e musica sono gli ingredienti di un pasto sfarzoso che può soddisfare palati raffinati: non mancano, oltretutto, costruzioni melodiche accattivanti che si aggrappano nell’immediato alla memoria. Il binomio iniziale “Get Up Your Feet Again” e “On the Other Side of Pain” è lì a dimostrarlo.

Pronto il risultato di valore anche nei momenti in cui si tenta qualcosa di meno diretto. “Wrong Dimension”, pezzo lungo ed articolato con frequenti rimandi ai Rainbow ed al rock anni settanta, è l’ennesimo buon biglietto da visita offerto da “Seminole“.
Disco che, ovviamente, raggiunge il proprio climax nella suite finale divisa in quattro parti. Già celebrata da molti come un capolavoro in grado di segnare una carriera, non può essere definita in altro modo: il compendio definitivo di un artista in costante crescita.

Un album ricco, vario e godibile, in cui confluiscono molte delle grandi abilità del musicista italiano: “Seminole” è probabilmente il punto più elevato raggiunto dagli Edge of Forever, termine di paragone da cui sarà difficile affrancarsi in futuro.
Detto in modo esplicito, la versione di Del Vecchio che preferiamo tra le tante offerte in molti anni di presenza assidua sulle scene.

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