Recensione: Songs For The Apocalypse

Di Marco Tripodi - 5 Febbraio 2021 - 8:00

Confesso subito, senza reticenze, il mio amore sconfinato per Mr. Bieler, chitarrista illuminato dei defunti Saigon Kick, per conto mio una delle più belle e vivide realtà degli anni ’90, se non la miglior band in assoluto che quel decennio – per certi versi drammatico per la musica hard & heavy – sputò fuori, in mezzo a tanto ciarpame. Se non avete avuto occasione di conoscerli, terminate pure qui la lettura di questa recensione e correte su Youtube a cercarvi i loro primi tre album (il debutto omonimo del 1991, “The Lizard” del 1992 e “Water” del 1993), tre capolavori letteralmente impressionanti, sparati in sequenza come noccioline.  Nel corso della decade sono seguiti altrettanti dischi, ma non al medesimo livello della sfolgorante primavera della band. Ancora oggi quegli album suonano freschi e sensazionali, straripanti di creatività, originalità e personalità. Come spesso accade a talenti così proiettati nel cuore dell’idea platonica di arte pura, il successo riscosso fu sì apprezzabile, ma non adeguato alla caratura della proposta dei floridiani. Il solo esordio discografico sarebbe bastato a spazzare via chiunque e ad eleggerli su qualsiasi copertina di qualsiasi magazine musicale per un anno intero almeno. Così non è stato. Dopo l’esperienza a Saigon, Bieler non ha in realtà combinato granché, ha partecipato ai tour di Talisman e Super TransAtlantic ed ha pubblicato un paio di album solisti tra il ’98 ed il 2008. Oggi torna alla carica, accompagnato dall’orchestrina del Barone Von Bielksi, istrionico nomignolo per ammantare la miriade di ospiti che suonano sull’album “Songs For The Apocalypse“. E’ lo stesso Bieler ad essersi occupato di tutto, strumentazione e parti vocali, ma ha infarcito la maggior parte delle canzoni di preziose collaborazioni, da Todd LaTorre a David Ellefson, da Devin Townsend a Jeff Scott Soto (eccetera eccetera, scorrete le info di corredo alla recensione per scoprirli tutti e collocarli in scaletta), conferendo al progetto una ulteriore spinta in termini di influenze ed eterogeneità.

Sul fatto che Bieler provenisse dai Saigon Kick non ci sono dubbi, non appena l’album attacca (passata l’intro “Never Ending Circle“), la coppia iniziale formata da “Apology” e soprattutto “Bring Out Your Dead” squilla amabilmente tutte le note del songbook della ex band del nostro direttore d’orchestra. Ci si sente a casa, vengono quasi le lacrime agli occhi. Le estrose ed arzigogolate melodie vocali di Bieler sono fortemente debitrici del suo passato (oltre a suonare la chitarra, prestò la voce ai Saigon Kick a partire da “Water“), le sue corde vocali non hanno perso un’oncia di fascino e verticalità, ascoltarlo è sempre un’esperienza, Bieler non è mai banale, mai prevedibile. “Annalise” architetta una intelaiatura ritmica sbilenca e saltellante, sulla quale vengono apparecchiate litanie altrettanto geometriche eppure allo stesso tempo morbide. Un carillon straniante e ammaliante. Se qualcuno si ricorda dei Fatal Opera di Gar Samuelson (periodo “The Eleventh Hour“), beh… siamo da quelle parti. “Stones Will Fly” cambia completamente registro, sempre di ascoltare una versione degli Yes reinterpretata dal nostro genietto pazzoide. Ogni strofa, ogni ritornello inventato da Bieler lascia esterrefatti – tanto strumentalmente quanto vocalmente – si va sempre in tutt’altra direzione rispetto a quella che ci si immaginerebbe. Intelligentemente poi ogni traccia ha un minutaggio contenuto, per evitare sbrodolamenti e presunte sbruffonerie intellettualoidi; Bieler condensa in 4-5 minuti tutte le sue fantasie e questo dona alla scaletta una intensità clamorosa. “Down In A Hole” – con la sua ritmica vertiginosa – è nuovamente un pezzo che rimanda autenticamente alla capitale vietnamita (siamo più verso l’era “Water“, quando i Saigon Kick avevano abbondantemente preso a sperimentare ben oltre il recinto dell’hard rock). “Anthem For Losers” sembra l’ultimo regalo di David Bowie al mondo, e del resto Bowie (come i Beatles) costituisce da sempre una delle influenze principali di Bieler. “Horror Wobbles The Hippo” è una breve strumentale (come “Baby Driver“) che si incarica di fare da camera di decompressione e permettere all’ascoltatore di elaborare tanta messe di note.

Con “Beyond Hope” gettiamo un ponte tra i ghetti dello zio Sam e la savana africana, per un pezzo che è etno-rock all’ennesima potenza. Ma nonostante la piacioneria e l’indubbia ruffianeria insite nel songwriting di Bieler, l’ironia arriva sopra tutto e rende gradevolissimo l’ascolto. “Songs For The Apocalypse” non dimentica che la musica deve essere anche divertimento, la prima chiave per scardinare la diffidenza dell’audience e coinvolgerla in modo genuino. “Crab Claw Dan” ci ricorda che dopotutto quello di Bieler è uno spettacolo circense anche se, al sopraggiungere del chorus, si gioca sul velluto, con una tipica melodia celestiale e zuccherosa in chiave Saigon Kick. “Born Of The Sun” scompagina tutto, il riff d’attacco è preso in prestito (per usare un eufemismo) agli Audioslave di “Cochise“, ma poi l’evoluzione del pezzo va in un’altra direzione (strano eh….), pur mantenendosi saldamente rock. “Alone In The World” è marchiata a fuoco Saigon Kick, armonie vocali inconfondibili, anche se per la verità questo è forse l’unico episodio deludente del platter, perlomeno a mio gusto; un po’ confusionario e troppo sopra le righe. “Very Fine People” è la traccia che conclude l’album (seguita dall’outro “FkSwyso“) e, come da copione, è il commiato dello chansonnier al proprio pubblico, pezzo malinconico e nostalgico, speriamo un arrivederci e non un addio. Bieler ha ancora parecchia carne al fuoco per i suoi fans e – sebbene il sogno spezzato sulle labbra sarebbe poter celebrare una reunion dei Saigon Kick – uscite discografiche di questo calibro tengono perlomeno viva la fiamma di quella incredibile stagione che furono gli anni ’90 dei Saigon Kick. Ben inteso, non siamo a quei livelli, ma ascoltare “Songs For The Apocalypse” scalda il cuore per chi comprò quegli album negli anni della loro pubblicazione.


Marco Tripodi

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