Recensione: Spirit of Speed

Di Andrea Bacigalupo - 6 Luglio 2025 - 8:30

Lasciando perdere la scarsa fantasia sulla scelta del nome (i Metal Archivi ne contano 9 tra vecchi e nuovi), i Desolator sono tre diavoloni usciti dagli anfratti di Southampton per spaccarci orecchie e crani con un robusto e ruvido, quanto arcaico, Speed/Thrash Metal.

La band ha 14 anni di carriera, non ha mai cambiato lineup ed ha un album sulle spalle, il grezzo e sporco ‘Total Attack’ del 2013.

Ora si rimette in gioco con ’Spirit of Speed’ (un nome, un programma), nuovo Full-Length autoprodotto e disponibile dal 26 aprile 2025.

Già la copertina, per quanto brutta come il peccato, è una dichiarazione d’intenti: un demone, che è un mix tra il Ghost Rider della Marvel e gli alieni di ‘Mars Attacks!’, che sfreccia incazzatissimo su una motocicletta squarciando impavido la notte … È però il sound che porta prepotentemente indietro nel tempo, rimandando al “Suonare il più velocemente possibile”, la legge principe dello Speed degli anni ’80 che i Desolator, ben 45 anni dopo, vogliono ancora imporre con prepotenza e senza cambiare nulla.

Quello che si trova dentro ‘Spirit of Speed’ trova fondamento essenziale negli insegnamenti di Motorhead e Venom: la potenza del metal, la velocità e l’irruenza del punk mischiate tutte assieme per essere prima calate e poi tirate su dall’inferno per generare quello che sembra un caos ma che è invece un ordine ribelle e sovversivo.

La band viaggia tra il “velocissimo” e “l’ancora più veloce”, senza fermarsi mai (tranne che per una trentina di secondi nella settima traccia ‘Brain decay’, ma poi non ce la fanno e decollano anche lì), utilizzando ritmi incalzanti e fragorosi senza alcun fronzolo od accenno a qualcosa di diverso che non sia il tirare a tutto braccio.

Dieci brani dannatamente vivi, vertiginosi e genuini, assolutamente da palco, incandescenti quanto l’acciaio fuso che cola da una siviera, sulle orme di Whiplash, Razor, Kreator ed Exciter (citando i primi quattro nomi che vengono in testa), suonati con una tecnica trascinante: batteria rocambolesca, basso altamente protagonista, dalle linee assassine che non disdegnano trasformarsi in brevi ma roboanti assoli ed un lavoro di chitarra sofisticato ma dal rotolamento continuo, alla quale si sommano due vociacce malvagie e infide (si alternano al microfono il chitarrista Jamie Brook, dal timbro più prepotente ed il bassista Felix Dock, dalla voce più roca).

In più la produzione molto professionale e curata elimina tutti quei rumori di fondo e riverberi che nel clima di una volta, quando tutto questo era nuovo, magari ci stavano ma che oggi, con una tecnologia che riesce a rendere apprezzabile anche un bootleg registrato nei fondi del peggiore bar di Caracas, non fanno altro che affossare le qualità di una band (proprio come nel sopra citato ‘Total Attack’). In ‘Spirit of Speed’ le sonorità sono pulite ma non artefatte e si percepisce bene il valore dei musicisti. Resta il dubbio sul risultato on stage, visto che le chitarre escono un po’ da tutte le parti a dispetto del fatto che di ascia ce n’è una sola, ma, per toglierselo, basta guardare un loro video live, dove viene dimostrato che questi Desolator sono una buona macchina da guerra.

La scaletta viaggia grosso modo con qualità costante, con una “forma canzone” classica, che punta più a stordire che a stupire, senza momenti complicati ma comunque priva di banalità o di singoloni troppo commerciali. Il brano più rappresentativo è l’ipercinetica ‘Maniac Attack’, che apre le danze, ma non sono da meno la smodata ‘Call of the Void’ e la conclusiva ‘Back on the Road’.

Riassumendo: non parliamo di una band di diciasettenni che stupisce, quelli erano tempi che si può solo sperare ritornino. I Desolator sono vicini ai 40 anni e sono parecchio rodati, però sorprende sempre che, nonostante sia passato mezzo secolo dal suo esplodere, ci sia ancora così tanta gente che vuole suonare questo genere intransigente e spontaneo così come è nato, senza neanche provare a scalfirlo o ad introdurre nuovi elementi. Va bene così, mettiamo sul piatto questo ‘Spirit of Speed’ e mentre lo ascoltiamo, se siamo tra quelli che hanno superato una certa età, guardiamo le foto di quando si portavano cinture a cartuccera e bracciali con le borchie e ci si metteva un sacco di tempo a pettinarsi i capelli.

Spirit of Speed’ è stato prodotto, mixato e masterizzato da Mike Taylor presso i Mutant Labs.

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