Recensione: Stygian Bough: Volume I

Di Matteo Pedretti - 9 Febbraio 2021 - 7:00

“Stygian Bough: Volume I”, uscito su Profound Lore Records alla fine dello scorso giugno, è frutto della collaborazione tra i Bell Witch e Aerial Ruin. Per quanti non avessero familiarità con queste band, circostanza non improbabile dal momento che si muovono all’interno dell’ambiente underground statunitense, iniziamo con il dire che provengono entrambe da quella regione così artisticamente e culturalmente prolifica che è il Pacific Northwest.

I Bell Witch, il cui moniker si rifà a una delle leggende più popolari del folklore nordamericano, si formano a Seattle nel 2010 quando Dylan Desmond e Adrian Guerra (prematuramente scomparso nel 2016 e sostituito da Jesse Shreibman), allora attivi nei Lethe, decisero di incanalare le proprie energie in un nuovo progetto. Dopo un primo demo autoprodotto, il duo instaura un proficuo sodalizio, tutt’ora in corso, con l’etichetta Profound Lore Records che nel 2012 dà alle stampe il full lenght d’esordio “Longing”. La proposta della Strega, affinata nei successivi “Four Phantoms” del 2015 (il cui artwork è opera del “nostro” Paolo Girardi) e nel capolavoro di dimensioni epiche “Mirror Reaper” del 2017, consiste in un approccio molto personale al Funeral Doom (dal quale sono mutuati l’andatura pachidermica, il mood claustrofobico e il minutaggio elevato dei brani), che abbraccia sonorità Drone, ispirate dai concittadini Earth, Sunn O))) e Burning Witch, e musicalità eteree e malinconiche, che molto hanno a che fare con il Post Rock/Metal. L’assetto del gruppo non prevede la chitarra: l’esecuzione dei riff monolitici, così come quella dei fraseggi melodici, è demandata esclusivamente al basso a sei corde di Desmond.

Erik Moggridge è il musicista di Portland (Oregon) che si cela dietro al progetto solista Aerial Ruin, con cui il cantante/chitarrista si fa interprete di un Folk dalle tinte Dark che, a dispetto del minimalismo e della melodia che lo caratterizzano, risulta estremamente heavy nella sua essenza. Aerial Ruin ha all’attivo 4 LP e un paio di split, tra cui quello con gli atmospheric blackster Panopticon.

Le strade di Bell Witch e Aerial Ruin si incrociano già nel 2011, quando Erik presta la voce a “Rows (of Endless Waves)” contenuta nel succitato “Longing”. Tale collaborazione prosegue nei due successivi lavori della formazione di Seattle: nel brano “Suffocation, a Drowning: II – Somniloquy (The Distance of Forever)” di “Four Phantoms” e nel secondo atto di “Mirror Reaper”. Il contributo di Moggridge valorizza pienamente il lato più melodico dei Bell Witch, grazie a linee vocali eteree, a tratti cerimoniali, che creano un efficace contrasto con i funerei growl di Desmond e i passaggi strumentali più rocciosi.

Larga parte del fascino di “Stygian Bough: Volume I” risiede nel fatto che i punti di forza di cui sopra divengono elementi strutturali delle composizioni. Altro aspetto rimarcabile è che la chitarra, oltre a essere protagonista nei segmenti acustici, aggiunge profondità e spessore ai passaggi più propriamente in linea con il back catalogue dei Bell Witch, nei quali resta comunque il basso a farla da padrone incontrastato. La opener “The Bastard Wind”, con una durata di oltre 19 minuti, definisce la direzione stilistica di questo lavoro. Inizia con un tranquillo, ma oscuro, Folk in cui si inserisce un giro di basso che fa da ponte verso la sezione successiva: un Funeral Doom moderno su cui si stagliano, implacabili, le grida gutturali di Dylan e che rallenta progressivamente fino ad assumere sembianze Drone, per lasciare spazio alla voce di Erik che chiude il pezzo in un’apoteosi di struggente malinconia.

La composizione successiva è suddivisa in due tracce: nella prima, “Heaven Torn Low I (the passage), figurano chitarra acustica e voce, a tratti sostenute da un sintetizzatore che produce effetti Drone. La seconda parte, “Heaven Torn Low II (the toll), è un Doom lentissimo, le cui linee vocali riprendono quelle dell’atto precedente, ma sono ora sorrette da riff ipersaturi e downtuned. In “Prelude” chitarra acustica e organo si intrecciano in un passaggio strumentale delicato, che concede all’ascoltatore una breve tregua emotiva prima del gran finale.

The Unbodied Air” è un altro monolite di oltre 19 minuti la cui prima parte è appannaggio di un Doom che, gradualmente, raggiunge una pesantezza irragionevole, accentuata dall’opprimente growling di Dylan Desmond. Uno stacco d’organo, un arpeggio di chitarra e un cantato soave definiscono un interludio di grande presa, prima che il pezzo torni su registri estenuanti. Ma ecco che un riff di straordinaria bellezza, accompagnato da una dolce melodia vocale, porta alla chiusura dell’album sprigionando una luminosità inattesa, che in definitiva suona come un messaggio di speranza, a simboleggiare come, per quanto difficile e spossante, un percorso di solitaria introspezione come questo possa trovare un lieto fine.

La produzione è stata affidata a Randall Dunn. Il professionista di Seattle, che ha lavorato con nomi del calibro di Earth, Pallbearer, Sunn O))) e Wolves In The Throne Room, ha optato per un suono limpido, capace di fare emergere anche le sfumature più esili di questa proposta complessa e stratificata. Interessante anche l’artwork a cura di Adam Burke, che raffigura il fluire del fiume dell’odio (lo Stige), sopra il quale è sospeso un teschio, in una dimensione cosmica, diversa da quegli Inferi in cui lo collocano la mitologia greca e romana.

In meno di un decennio i Bell Witch hanno saputo imporsi come una delle realtà più interessanti del panorama Modern Doom mondiale, grazie a doti tecniche e compositive fuori dal comune e a una notevole propensione all’evoluzione sonora e concettuale. La transizione della collaborazione con Aerial Ruin verso una forma strutturale ne è la riprova definitiva: quali altre band sono in grado di fondere con tanta armonia e naturalezza Americana e Doom estremo, Folk e Drone? “Stygian Bough: Volume I” è un’opera monumentale: a parere di chi scrive il miglior album Doom del 2020.

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