Recensione: The Sixth Storm

Di Matteo Pedretti - 7 Novembre 2021 - 7:00
The Sixth Storm
Band: Count Raven
Etichetta: I Hate Records
Genere: Doom 
Anno: 2021
Nazione:
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83

La copertina e il titolo di “The Sixth Storm”, per l’appunto il sesto album delle leggende svedesi del Traditional Doom Count Raven, non potrebbero essere più espliciti nel rivendicare una linea di discendenza diretta tra questa nuova uscita e quel capolavoro che fu “Storm Warning”, l’esordio discografico dei Nostri. Se su quel debutto del 1990 cantava un giovanissimo Christian Linderson (aka Chritus), che di lì a poco si sarebbe unito ai Saint Vitus (con cui realizzò C.O.D.) per poi lanciarsi in una serie di progetti più o meno estemporanei fino allo stabile approdo nei Lord Vicar, dal successivo “Destruction of the Void” sarà il chitarrista e mastermind Dan “Fodde” Fondelius ad assumere anche le incombenze vocali.

Con un approccio strumentale decisamente Metal, in cui si alternano soluzioni asciutte e rocciose, passaggi epici ed occasionali toni evocativi, e uno stile vocale nasale, che ricorda quello di Ozzy, nella prima metà degli anni Novanta i Count Raven scrivono pagine importanti della storia del Doom, ponendosi tra i principali prosecutori di quel discorso iniziato più di vent’anni prima dai Black Sabbath più pesanti e oscuri. Nel 1998, all’indomani della pubblicazione di “Messiah of Confusion”, il progetto viene accantonato per essere ripreso stabilmente solo nel 2009 da Dan Fondelius, unico superstite della line up originale. Quello stesso anno, per celebrare il ritorno sulle scene, la band dà alle stampe “Mammon’s War”, da molti ritenuto uno dei migliori comeback della storia del Doom.

Ora, a 12 anni di distanza, i Count Raven si riaffacciano sul panorama underground con “The Sixth Storm” uscito, come il suo predecessore, per l’etichetta svedese I Hate Records. Gli elementi che da sempre caratterizzano il sound del combo sono qui ripresi integralmente, ma già da un primo ascolto emerge come questa proposta calchi maggiormente la mano sulle atmosfere maligne e sulfuree che, pur non assenti nei lavori precedenti, sono qui maggiormente enfatizzate. Tale tendenza è evidente nella opener “Blood Pope”, in cui una breve e quasi ecclesiastica intro di organo apre la strada a una cavalcata rocciosa che nelle decelerazioni finali assume mood mortiferi, accentuati da sinistri rintocchi di campane. La medesima inclinazione è riconoscibile in “The Nephilims”, un mid-tempo dai toni a tratti epici che nella seconda parte rallenta nella reiterazione ossessiva e minacciosa di un cantato sul riff che si chiude con una ferale invocazione del “number of the beast”.

“The Curse” è una piccola gemma di Doom classico, con chitarre ultra sature e ribassate e ritornelli che proiettano l’ascoltatore in una dimensione mitologica. “Heaven’s Door”, musicalmente più soft delle precedenti, risulta tuttavia plumbea con linee vocali malinconiche che si dipanano su mesti tappeti di tastiere. “The Ending” è un altro downtempo in cui Fodde macina riff su riff, ritagliandosi uno spazio di riguardo accanto ai grandi (non tanto per abilità tecniche, quanto piuttosto per capacità nel songwriting) chitarristi del genere come Dave Chandler (Saint Vitus), Kimi Kärki (Lord Vicar e Revered Bizarre) e Gaz Jennings (Cathedral). Se “The Giver and The Taker” ha un passo incalzante e un approccio più tradizionalmente Heavy Metal, “Baltic Storm” e “Oden” sono invece lunghi passaggi dal taglio epico.

Dopo un’ora abbondante di materiale che mette alla prova anima e timpani, la conclusiva “Goodbye”, appannaggio di sole voce e tastiere, allenta la tensione in un congedo pacato e arioso che ricorda i Black Sabbath di “Changes”.

La produzione, piena e fragorosa, non è certo cristallina, ma è ben lontana dal voler suonare forzatamente vintage. Non occorrono espedienti: sono sufficienti le musicalità di questi nove brani a riportare la mente al Metal di altri tempi, quello degli anni Ottanta e di inizio Novanta in cui il Traditional Doom stava dapprima costruendo la propria identità con il contributo di Saint Vitus, Trouble, The Obsessed e Candlemass, per poi ridefinirla con l’apporto di Cathedral, Reverend Bizarre e degli stessi Count Raven.

“The Sixth Storm” non sarà la tempesta perfetta, ma ci si avvicina parecchio… Gruppo che per volontà, e probabilmente impossibilità, non ha inflazionato il proprio catalogo con il classico disco ogni 2/3 anni, quando ritorna lo fa in grande stile. Count Raven, un nome che ogni appassionato dell’underground dovrebbe conoscere e rispettare, a prescindere dai gusti personali.

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