Recensione: The Teeth of Time

Di Nicola Furlan - 18 Maggio 2025 - 0:51
The Teeth of Time
Band: Drouth
Etichetta:
Genere: Black  Death 
Anno: 2025
Nazione:
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80

The Teeth of Time“, quarta uscita ufficiale in undici anni di attività, rappresenta una solida conferma per i Drouth, band di Portland con una visione ben definita. La loro miscela di black/death metal con caustiche venature crust ha sempre colpito per l’originalità e la coerenza della proposta, abilmente bilanciata tra le varie influenze stilistiche da cui attinge e architettata con grande perizia compositiva dal duo Patrick Fiorentino/Matt Stikker.
Ma cosa distingue davvero questo nuovo capitolo nella discografia dei Drouth? Innanzitutto, la proposta si fa estremamente eterogenea sul piano stilistico: la componente doom è particolarmente presente in più di un passaggio, mentre l’uso della melodia attraversa l’intero album, permeando ogni brano e conferendo a ciascuno una chiara identità. Il risultato complessivo è brillante, privo di cali di tensione o passaggi interlocutori.
Merito anche dell’ingresso in formazione, a cavallo tra il 2022 e il 2023, di Matt Solis (già mente degli Ursa, progetto doom raffinato e visionario), che ha evidentemente portato nuova linfa alla band. Il materiale prodotto in questa occasione si traduce in cinque tracce di black/death metal feroce, melodicamente ambizioso e profondamente evocativo, per un totale di 40 minuti di furia estrema. Una proposta intensa, corrosiva ma al tempo stesso ricca di stratificazioni emotive e atmosferiche.
La prestazione vocale di Matt Stikker merita una menzione speciale: espressivo e lacerante negli scream, sa anche calarsi con efficacia nei momenti più tragici del songwriting, rivelandosi un interprete autentico dell’oscuro, capace di unire impatto e profondità emotiva.
Il gioiello della tracklist è senza dubbio “Through a Glass, Darkly“, sintesi perfetta di ciò che “The Teeth of Time” rappresenta: un’opera matura, ambiziosa, che porta i Drouth su un piano superiore, competitivo e altamente attrattivo nel panorama del metal estremo contemporaneo. Da evidenziare sul brano citato la rpesenza della più affascinante sezione solista.
Registrato e mixato dal leggendario Billy Anderson (Neurosis, Cattle Decapitation) e masterizzato da Justin Weis (Agalloch, Hammers of Misfortune), l’album suona in modo impeccabile: né eccessivamente levigato, né troppo grezzo. La produzione, secca, gelida e asettica, restituisce con forza la brutalità e la densità emotiva del disco, esaltando le componenti crust e integrandole alla perfezione con le sovrastrutture melodico-black/death. Tutti gli strumenti emergono con pari dignità, in un mix organico e bilanciato, dove ogni elemento ha spazio per respirare e colpire.
The Teeth of Time” è, di fatto, una distillazione del meglio che i Drouth avevano già seminato nei tre lavori precedenti: una summa di dieci anni di scrittura, concerti e crescita artistica, qui sublimata anche da un artwork potente e rappresentativo, perfettamente in linea con l’estetica crust.
È difficile immaginare un disco così denso di contenuti senza un bagaglio tecnico e creativo ben al di sopra della media. Si potrebbe notare, in alcuni frangenti, una certa evidenza dei riferimenti a band che hanno fatto la storia del genere, ma ciò passa in secondo piano quando l’insieme funziona così bene. Perché, al netto delle influenze, l’identità è forte e coesa, e questo disco ne è la prova definitiva.

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