Recensione: Tides

Di Daniele D'Adamo - 18 Maggio 2025 - 1:00

Malgrado una popolazione di soli cinque milioni e mezzo di persone, la Finlandia continua a sfornare band dall’alto se non altissimo livello tecnico/artistico. Una grande valore di densità del tipo “musicista per abitante“, insomma, che ne fa una gradita anomalia a livello mondiale.

Non sfuggono a questo insieme gli Horizon Ignited che, con “Tides“, raggiungono e superano il traguardo del terzo full-length in carriera. Lo stile è quello classico della terra dei mille laghi, e cioè il melodic death metal. Il quale si è evoluto dall’ortodossia del gothenburg metal per raffinarsi in una forma autonoma, densa di vivide emozioni e profondi sentimenti. Sino a raggiungere, assieme a gente del calibro di Insomnium, Omnium Gatherum, Mors Principium Est e tanti altri ancora, un’espressione sonora tipica, dai contorni inequivocabili, del Paese nordeuropeo. Che, per differenziarsi dal resto, qualcuno ha definito come finnish death metal.

In esso, infatti, pulsa una spessa vena di nostalgia che non si trova altrove. Sarà per le lunghissime notti artiche, sarà per la sempiterna neve, sarà per il freddo, sarà per la mirabile visione di infiniti specchi d’acqua gelata che riflettono un pallido sole tra le fitte foreste e le armoniose colline, ma davvero i finlandesi riescono con facilità irrisoria, se non addirittura a livello d’istinto, a contenere il botto del death metal con clamorose melodie, di quelle che mettono l’anima in subbuglio, di quelle che non si dimenticano mai.

E così è “Tides“: potenza cristallina allo stato puro ammantata da orchestrazioni e armonie deliziose. Già, perché, comunque sia, per prima cosa i Nostri pestano duro, erogando superiori vette di potenza sonora, arrivando in certi momenti a essere brutali, aggressivi, cattivi (“Baptism by Fire“). Si tratta comunque di momenti piuttosto contenuti, a discapito di un’interpretazione del melodic death metal possente sì, purtuttavia declinante in maniera evidente verso l’orecchiabilità di chorus, ritornelli e orchestrazioni che lasciano il segno sul cuore.

Non manca neppure qualche pennellata di musica elettronica, a suggello del fatto che trattasi, definizioni più o meno azzeccate, di un’opera che è conscia di essere nel 2025, comportandosi quindi di conseguenza. Con una produzione perfetta, tagliente, totalmente professionale, che regala un sound pulito, massiccio, assolutamente intelligibile in tutte le sue componenti, dal taglio spiccatamente moderno.

Presenti anche tasselli ambient, come nell’incipit della splendida “My Grave Shall Be the Sea (Leviathan pt. II)“, appositamente inseriti per aumentare la visionarietà di una musica che con naturalezza rimanda alle incommensurabili bellezze del circolo polare artico. Tuttavia, se si deve trovare il principale punto di forza dell’album, occorre porre l’orecchio alle canzoni. Perché il sestetto di Kouvola è un complesso in grado di comporre brani che, quasi immediatamente, si stampano nel cervello per girargli attorno a lungo. Brani riconoscibili con facilità gli uni dagli altri grazie a un non comune talento nel creare melodie originali, orecchiabili ma non stucchevoli tanto che è impossibile resistere alla voglia di ascoltarle e riascoltarle.

Così come più su accennato, come si fa a non resistere ai motivi portanti che legano tracce memorabili come “Beneath the Dark Waters“, la già citata “My Grave Shall Be the Sea (Leviathan pt. II)” e “Tides” (in cui vive un meraviglioso assolo di chitarra), tanto per citarne alcune? Impossibile non restare invischiati nella rete intessuta dagli Horizon Ignited per immobilizzare le prede. Prede che sono destinate solo e soltanto a un’immersione completa e abissale nel mondo dipinto dai malinconici singulti che, in modo lisergico, colorano l’anima di chi ascolta.

Com’è dolce affondare nel mare di note di “Tides“, mentre gli Horizon Ignited intonano le loro canzoni…

Daniele “dani66” D’Adamo

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Anno: 2025
80