Recensione: Traveling Cowboys

Di Francesco Maraglino - 8 Maggio 2021 - 14:00
Traveling Cowboys
Band: Mark Spiro
Etichetta: Frontiers Music
Genere: AOR 
Anno: 2021
Nazione:
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60

Mark Spiro è stato un autore e un produttore statunitense tra i più fertili in un settore artistico in bilico tra il ramo west coast dell’AOR e il pop degli Eighties.
Sue, difatti, alcune delle più celebri canzoni portate al successo da artisti del calibro e della popolarità di Heart, Kansas, Giant, Bad English, Reo Speedwagon, Winger, nonché talune produzioni per gente come Laura Branigan o Mike Reno dei Loverboy.
Tra le sue opere più note, molti sono i brani per film di successo (vedi la Mighty Wings realizzata dai Cheap Trick per la soundtrack di “Top Gun”, oppure la  Day After Day di Julian Lennon per “Music From Another Room”).

Dal 1986 (con gli album “In Stereo” e “Care Of My Soul”), Mark ha anche condotto una propria carriera da solista, le cui fasi successive sono state riassunte di recente da Frontiers Music con il triplo CD “2+2 = 5: Best of + Rarities”, del 2020.

Oggi sempre l’infaticabile label italiana produce anche il nuovissimo album solista dell’artista U.S.A., dal titolo Traveling Cowboys”, che si pone sulla scia dei lavori più recenti, che,  invero,  non avevano fatto gridare al miracolo.

Purtroppo anche il nuovo full-length non va, se non a tratti, oltre un pop-rock (rock?) leggero ed acquietato, scarno e con poco mordente.

Molti, troppi i brani dai toni languidamente e uniformemente soffici, quali la stessa title-track Traveling Cowboys (soft rock comunque gradevole con un momento timidamente rap), Rolls Royce e Let The Wind Decide  (appena un poco più tese grazie a chitarra elettrica più spessa che altrove), Someone Else (canzone  pianistica ed eterea).

 

Poco contribuiscono a variegare il mood generale  dell’opera il tiepidissimo funkettino  Dance o il più nervoso ma monolitico e cantilenante  hard rock con venature bluesy Vanderpump.

Un pugno di canzoni riesce, in ogni caso, a fornire al disco un tratto di maggiore carattere e feeling: 7 Billion People (che ospita Julian Lennon), un pop rock gradevole ed evocativo contrassegnato da un assolo di liquida chitarra, Kingdom Come, rock melodico midtempo con qualche spunto innodico, Feel Like Me e Nothing In Between Us, una coppia di pop-rock catchy e “da yacht” non privi di un po’ di smalto.

Infine Still, intensa e incantevole ballata, rappresenta forse il meglio di un album, questo Traveling Cowboys” che troppo indulge in suoni aerei e scheletrici, con rarissimi guizzi rock e poche impennate anche in ambito melodico/AOR, e che veleggia placidamente in atmosfere mansuetissime senza mai decollare davvero.

Francesco Maraglino

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