Recensione: Unburden Your Soul

Di Francesco Sgrò - 8 Gennaio 2014 - 19:37
Unburden Your Soul
Band: XXI Grams
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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65

L’universo musicale è sconfinato e sempre in costante evoluzione. Sono tantissimi, infatti, i gruppi e gli artisti provenienti da tutto il mondo che, spinti dal desiderio di esprimere in musica le proprie idee, cercano di muovere timidamente i primi passi e di lasciare un’impronta tangibile e significativa all’interno del panorama musicale odierno.
Anche in Italia, la scena musicale underground è più che mai attiva, generando una quantità incredibile di nuove band che talvolta riescono a produrre lavori qualitativamente notevoli, che lasciano presagire buone aspettative per il futuro.

In questo contesto nascono i nostrani XXI Grams, in attività dal 2011 e giunti all’importante traguardo dell’esordio discografico con questo “Unburden Your Soul”, EP autoprodotto, che si propone lo scopo di presentare una band determinata e sicura delle proprie capacità tecniche e compositive, in grado di allestire un lavoro breve ma efficace, caratterizzato altresì da una buona resa sonora.
Puro Progressive Rock ristagna nelle cinque tracce confezionate dai XXI Grams, che in poco meno di mezz’ora cercano di trasportare l’ascoltatore in un universo mistico e filosofico, per un risultato complessivo quantomeno interessante.

Con un esplicito riferimento al film “21 Grammi” diretto da Gabriele Salvatores nel 2003, l’opera è aperta da una breve intro narrata, che dopo pochi minuti cede il passo alla potente e articolata “Drifting”, opener ipnotica e sulfurea, la quale ruota attorno ai massicci riff allestiti dalla sei corde del bravo Claudio Meynet e dal basso suonato da Andrea Mina, vero mastermind del progetto, nonché cantante e tastierista del combo nostrano.
Il lavoro prosegue sulle medesime coordinate con la cadenzata “Ruins”, riuscito affresco psichedelico in cui sono nuovamente i riff condotti da chitarra e basso ad emergere, mentre le melodie vocali tendono ad essere purtroppo opache e poco ispirate.

Decisamente migliore risulta essere la massiccia “L(I)fe”, nella quale la band si avvale di cupe sonorità Doom che vanno a caratterizzare parte della struttura di un brano riuscito ed impreziosito da un Guitar Solo conclusivo ispirato e ben eseguito.
Gli ultimi istanti di questo EP sono scanditi dalle note della lunga “Blue Soul Of The Sea”, sognante ballad crepuscolare nella quale è il chitarrismo del già menzionato Claudio Meynet ad emergere significativamente, riuscendo a concludere in maniera positiva un’opera sicuramente caratterizzata da buone idee, base per la costruzione di un solido percorso artistico nel prossimo futuro.

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