Recensione: Under Siege

Di Stefano Usardi - 30 Agosto 2018 - 9:00
Under Siege
Band: Under Siege
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2018
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
75

A poco più di due anni dalla fondazione è già tempo di debutto per i capitolini (loro sono di Palestrina, poco fuori Roma) Under Siege, che con l’omonimo “Under Siege” si aprono al mondo del metallo con il loro robusto ibrido tra thrash, death melodico e folk. Ok, mi rendo conto che detta così sembri l’ennesima uscita di folk – viking priva di personalità che da qualche annetto sta ammorbando la scena metal, il classico prodotto senza infamia e senza lode che si ascolta e si dimentica in una mezza settimana, ma vi posso assicurare che non è così. Nonostante infatti i nostri non facciano mistero delle proprie influenze musicali (Ensiferum, Eluveitie e Amon Amarth soprattutto, ma si percepiscono anche echi sparsi di Suidakra e Falkenbach) e la ricetta non sia proprio originalissima, l’amalgama finale del quintetto è ben lungi dal risultare posticcio o privo di mordente. Le rapide scorribande chitarristiche si intrecciano a fraseggi più arcigni e carichi di groove ben sorretti da una voce aggressiva e rabbiosa, mentre di tanto in tanto l’epicità latente dei brani alza la testa e pretende attenzione, donando al tutto la giusta tensione e rotondità. Di contro, la componente folk non è quasi mai preminente o fine a se stessa, né viene messa a casaccio per cavalcare l’onda del momento, ma è giustamente centellinata per esplodere solo quando richiesto dalle esigenze contingenti.

Il suono delle cornamuse accoglie l’ascoltatore, avvolgendolo di profumi antichi e fieri mentre la batteria scandisce un ritmo quadrato e marziale; “Blàr Allt Nam Bànag” incede col piglio sicuro di chi sa dove vuole andare e non ha nessun problema a prendersi il suo tempo, e si arricchisce di minuto in minuto con nuove sfumature passando da ritmi danzerecci a rallentamenti cupi ed epici, sovrastati da rumori di battaglia, su cui si innesta una sezione strumentale carica di pathos. L’enfasi battagliera viene mantenuta anche grazie al cantato ruvido che, pur trasmettendo la giusta foga, non eccede con le harsh vocals ma si mantiene in un giusto mezzo tra espressività e rabbia. Niente da dire, un ottimo inizio. La traccia successiva, “Warrior I Am”, dopo un’apertura tipicamente folk, ingrana la marcia inframezzando una bella cafonaggine dal retrogusto rock ’n’ roll, strafottente e rissoso, a pennellate più tipicamente viking, affilate ed epicheggianti. Niente male anche l’assolo, anche se il coro che arriva subito dopo, anziché impennare definitivamente il tasso epico del pezzo, mi è sembrata una cosa un po’ troppo da festa degli alpini (detto con tutto il rispetto possibile, sia ben chiaro). Ascoltando “Time for Revenge” e il suo incedere drammatico e incalzante non è possibile non sentire riecheggiare gli Amon Amarth, ma anche qui la sensazione che ho percepito è stata quella di un’influenza digerita e rimasticata dai nostri piuttosto che di una scopiazzatura pura e semplice. Ad ogni modo il pezzo è ben fatto e trasmette la giusta carica, cercando di distaccarsi dai numi tutelari anche attraverso una resa sonora leggermente meno pastosa. Il riff grezzo ed insistente che apre “Beyond the Mountains”, invece, fa tornare alla mente le atmosfere dei Falkenbach più scanditi, in cui lo sviluppo ipnotico ma al tempo stesso relativamente rabbioso si mescola a una certa vena solenne. L’improvvisa accelerazione dell’ultima parte non fa che enfatizzare tale vena, chiudendo degnamente il pezzo più breve del lotto. Partenza incalzante per “Invaders”, che in un secondo momento rallenta per presentare una strofa scandita e marziale che si irrobustisce nel ponte, avvolgendo l’ascoltatore con atmosfere solenni e battagliere prima di tornare alla carica con un nuovo giro di giostra. I cori introducono una certa solennità nell’amalgama dei nostri, chiudendo il pezzo con una certa solennità enfatica. È ora il momento di “Sotto Assedio”, traccia interamente in italiano in cui i nostri si giocano il tutto per tutto, mescolando abilmente ritmi arrembanti e un’attitudine folk aggressiva con punte di epicità arrogantemente ostentate e confezionando così uno dei punti più alti dell’album. Davvero niente male. Le cornamuse tornano a spadroneggiare nell’apertura di “One to Us”, traccia marziale ed enfatica caratterizzata da un comparto sinfonico molto presente; bello anche l’assolo, breve ma sentito, che inaugura la seconda parte del brano più carica di pathos, mentre il finale torna ad essere appannaggio delle cornamuse che sfumano nella melodia di arpa e flauto della conclusiva “Bright Star of Midnight”. Qui la componente folk torna prepotentemente a farsi viva per dar vita ad una traccia notevole, una sorta di power ballata crepuscolare e distesa, egregiamente supportata da melodie semplici e dalle atmosfere bucoliche e raccolte garantite dalle armonizzazioni vocali e da arpeggi semplici ma incisivi.

Al termine dell’ascolto posso dirmi soddisfatto: “Under Siege” non rivoluzionerà il folk metal, ma di certo costituisce una solida e succosa base su cui il quintetto omonimo potrà costruire il suo futuro e sviluppare le proprie qualità. Avanti così.

Ultimi album di Under Siege