Recensione: Armoured IV Pain

Di Marco Giono - 4 Marzo 2015 - 0:00
Armoured IV Pain
Band: Shadowquest
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2015
Nazione:
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60

ShadowQuest, anno 2030, l’Adunanza.

Rumoreggia la folla che si perde a vista d’occhio. Risalendo dalle retrovie ascolto il loro chiacchericcio. 
“Non vedo l’ora sai, ma ci credi che tra poco li vediamo?”
“Dicono che il cantante dorma in una yakuzi a forma di castello e cento odalische lo riveriscano al minimo cenno”.
“Io ho sentito dire che con un acuto ha fatto esplodere i lampioni della sua magione”. 
“Voi capite nulla. Il chitarrista è stato ibernato per un anno perchè ha letto che avrebbe migliorato la propria creativà… Beh però nel nuovo album si sente tutta.
Seeeh, vuoi mettere con il primo. Capisci un c…”
Mi allontano appena in tempo perchè le luci si abbassino e una voce ipertroficamente altisonante sancisca la loro discesa. Piombano sul palco volando con dei jet-pack camufatti da drago. Onda d’urto, il pubblico delira invocando tribalmente il loro nome.

ShadowQuest, anno 2015, i prescelti?

Tento di rispondere a questa amletica domanda mettendo assieme quello che so in merito agli ShadowQuest. Per prima cosa la copertina e dal reperto si evince che:

– Un virgulto guerriero mascherato mi fissa (almeno credo) ed alle spalle un cielo scuro, le previsioni danno pioggia.
– Il soggetto rimanda ad un archetipo tipico degli anni ottanta che verrà rivenduto in diverse repliche fino a nostri giorni. Quando vediamo cose così tendiamo a dire che non è originale ma che è una cosa sincera.
– Titolo e nome della band costituiscono un unico inequivocabile insieme di fantasy basico.

In seguito scopriamo che la band è di origine nordica. I cognomi dei componenti sono un buon indizio. Le loro carte d’identità ci dicono Svezia, eccetto uno. 
Mi pare di riconoscerli. Niente impronte digitali non sono necessarie per stavolta. 
Pata sei proprio tu? E’ lui non posso sbagliarmi, il cantante dei BloodBound, lo avevo inseguito nella terra di Alice, fino alla tana del bianconiglio e vedi com’è piccolo il mondo. Patrik “Pata” Johansson
Poi alla chitarra Peter Huss anche in forza agli Shining ed ex. Synergy (lui ci suonava solo nei concerti), alla chitarra ritmica Ragnar Widerberg ad oggi anche nei Witherscape, per passare alle tastiere di  Kaspar Dahlqvist (ha suonato anche nei Stormwind e nei Dyonysus). Rimane da citare il batterista Ronny Milianowicz (tra le band in cui ha suonato: Dyonisus, e Synergy) ed infine l’intruso finlandese, il bassista Jari Kainulainen ed ha anche lui un curriculum di tutto rispetto: al momento in forza ai Masterplan, ha suonato anche negli Stratovarius, quindi Kotipelto, poi Evergrey e così via. Una band con una certa esperienza, mica gente qualunque. Basterà? Guardiamoci dentro. 
L’album d’esordio lo intitolano “Armoured IV Pain”, corazzati per il dolore…aehm…passiamo oltre, diretti alla prima traccia intitolata “Blood of the Pure”.
Le prime note, riff, voce. 
Vedo il coniglio bianco per una frazione di secondo, intercorre poco meno di un secondo, vedo ancora il simpatico coniglio. Un mondo sdoppiato, il prima e il dopo vicini, a pochi secondi distanza (non ho bevuto ed ero moderatamente lucido ve lo assicuro). 
Mi riprendo. Dicevamo riff chilometri zero appaiono dal nulla, poi Tobias…ehm no sei tu Pata, quanto volte ti ho detto di non imitare Sammet alla prima maniera? Però il pezzo funziona, non ha troppa presunzione di originalità, ma quel coro esplode potente fragoroso nel cielo, le voci altisonanti fanno muro, tastiere e chitarre poi fraseggiano variando sulla melodia. Epici e potenti. La voce di Johansson è quella di Sammet dei primi album, in versione aggressiva, deja-vu dicevamo.
Devono confermarsi con “Last Farewell”, malgrado il coniglio continui a esistere in un due stati diversi contemporaneamente, siamo in realtà davanti ad un mid tempo evocativo, mi verrebbe da dire che ha qualcosa degli Stratovarius e degli Edguy, ma ancora una volta riescono a farsi piacere.
La terza traccia “All One” accelera, qui Patrick scimmiotta rabbioso Rob Halford senza la stessa profondità però e tutto fluisce nel passato/presente piacevolmente.
Ascoltando “Live Again” mi va di traverso un ottimo succo di arancia e per tutti i Kotipelto della galassia! Qui ci troviamo di fronte agli StratoQuest. Tastiere, voce, melodie in un tributo davvero sentito.
….Potrei continuare a raccontarvi di “Midnight Sun” e di come gli ShadowGuy tributino gli amici Edguy con una certa bravura con qualche leggero tocco personale oppure tediarvi con “Reach Beyond the Dream” che rimanda ai Rhapsody con venature alla Helloween, però mi fermo qui. Anzi no, aggiungo che in chiusura c’è una cover dei Judas PriestFreewheel Burning” e funziona a tratti, la voce si ferma ad altezze innocue, non ci arriva a far male come dovrebbe e le chitarre esitano in una distorsione non convincente.
 

ShadowQuest, il giorno del giudizio.

L’unanimità (o quasi) delle critiche ha osannato il progetto ShadowQuest e il loro album di esordio come qualcosa di eccellente. Da qui il mio prologo sproloquiante (in realtà tento di strappare un sorriso innocuo) a speculare sul loro futuro come possibile band di prima grandezza. 
Domanda oziosa e risposta improbabile. Passiamo oltre.
Gli ShadowQuest non sono solo un’imitazione di altro intendiamoci, talvolta i loro brani contengono soluzioni melodiche relativamente originali (oltre che la prima traccia, da ascoltare la traccia dieci “Where Memories Grow”, di buona fattura), ma il problema generale è una marcata mancanza di personalità dovuta a pericolosi e ripetuti scivoloni che ci riportano su strade già percorse, il tutto appesantito dalla voce di Pata che assume le sembianze altrui con estrema disinvoltura. Se i BloodBound proponevano una cosa simile, avevano l’attenuante di proporre comunque melodie e soluzioni relativamente originali, diversamente “Armoured IV Pain” è pericolosamente vicino all’imitazione (potrei anche citare i Dyonisus o additura o cose più leggere verso il rock oppure l’aor). Altra cosa che non mi ha convinto del tutto è la produzione, infatti le distorsioni esitano a far male e alcune armonizzazioni di stampo classico non sono sempre ben valorizzate. 
L’album d’esordio degli ShadowQuest propone dei brani piacevoli che si lasciano ascoltare, ma ho  più di una perplessità sulla consistenza di questo tipo di proposta musicale nel lungo periodo. “Armoured IV Pain” è album  per appassionati estremi di un certo tipo di sonorità power metal che sono indissolubilmente legati a gruppi storici già menzionati a più riprese. 
Only For Fanatics? Probabile.

Marco Giono

 

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