Recensione: Automata I

Di Tiziano Marasco - 12 Marzo 2018 - 8:00
Automata I
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Ma pensa. Perdi un anno e passa di esistenza a tradurre un romanzo che ruota (parzialmente) attorno un gruppo punk made in DDR che si chiama Automat. Praticamente quando non lavori traduci ‘sta roba. Una cosa estenuante. Ma quando finisci, ti senti sollevato di poterti dedicare ad altro, di poter ricominciare a scrivere per questo sito con un minimo di costanza. Due giorni dopo l’occhio ti cade sul fatto che una delle band più in vista della scena metal mondiale ha deciso di pubblicare un album in due parti dai titoli “Automata I” e “Automata II”. E mica una band che ti sta sulle balle, o che non ti dice nulla. No. La band sono i Between the Buried and Me, che un po’ per affetto e un po’ per risparmiare tempo chiami Batabàm (ma per il resto della rece saranno i BTBAM, come è sempre stato).

La maledizione degli Automat continua, ma quando la band chiama, il recensore risponde. Diamoci dentro!

Album in due parti è un frasema che richiama emozioni e ricordi contrastanti. Si potrebbe dire tante cose. Che ti ricordi di molti casi non proprio esaltanti e di pochi riusciti bene. Che è una mossa commerciale.  Ma la cosa fondamentale da dire, è che la recensione di un album in due parti ha un grande vantaggio e un grande svantaggio, che poi sono lo stesso elemento guardato da due angolazioni diverse: non puoi dare giudici definitivi quando recensisci il primo capitolo. Devi tenerti considerazioni e sensazioni un po’ per te, in attesa della seconda parte, che potrebbe (o forse no) essere intimamente collegata alla prima.

E questo secondo caso, due parti profondamente legate tra loro, pare essere proprio quello del disco di cui oggi. Oppure, la possibilità è che “Automata I” sia una sorta di mini album in vista di un disco più corpulento. A ben guardare, se c’è una band per cui questa seconda teoria potrebbe essere adatta, si tratta proprio dei BTBAM. Lo hanno già fatto una volta, in “The Parallax: Hypersleep Dialogues” e “The Parallax II: Future sequence”. Le parole di Tommy Rogers paiono smentire, ma ne riparleremo a conti fatti.

Fatto sta comunque che questo primo capitolo di “Automata” pare pervaso, fin dal primo ascolto da un senso di incompleto. Intendiamoci, non si tratta di un senso di cose fatte in maniera grezza o migliorabile. Pare proprio che al disco manchi una parte. Ascolti queste sei tracce, questi 35 minuti, la prima volta e dici “ma come? Già finito?”. Sicché, ribadiamo, lo show completo molto probabilmente ce lo gusteremo solo con l’uscita di “Automata II”, che è prevista per l’estate, anche se non abbiamo una data ufficiale.

Tralasciando questo senso di “antipasto”, veniamo al livello della musica. E qui c’è poco da dire, perché con la band della North Carolina si va sul sicuro. “Automata I” non offre particolari spunti di innovazione (è praticamente la prima volta che questo accade in una release degli statunitensi). Presenta forse un leggero indurimento rispetto al precedente “Coma ecliptic”, ma il prog-death-core tipico della band di Raleigh si trova confermato in tutti i suoi punti. Le song, a ben guardare, sono quattro e non sei, tanto ‘House organ’ pare una prosecuzione della ormai nota ‘Condemned to the gallows’ mentre ‘Gold distance’ funge praticamente da introduzione alla conclusiva ‘Blot’.

Per il resto, dicevamo, abbiamo tante conferme. Il singolo di presentazione si presenta come la più canonica della BTBAM-song, e proprio per questo bene assolve il suo compito di singolo. Il resto dell’album non si discosta moltissimo da questa linea. ‘Yellow eyes’ è il pezzo più tecnicamente complesso dell’album, che si dipana tra parti più contorte ed altre decisamente soft. La sognante ‘Millions’ è forse la principale sorpresa del disco, trattandosi di un pezzo di una dolcezza abbacinante (quando dico dolcezza ricordatevi di chi parlo). Si trascina attraverso universi paralleli, atmosfere sospese e favolose melodie vocali che la rendono, probabilmente, il pezzo più easy mai fatto dai BTBAM. L’ultimo pezzo, in certo modo, si trascina sulla stessa falsa riga, pur essendo segnato da accelerazioni furibonde e da aperture epiche grazie a cui l’attenzione non cala mai.

Ed è già finito tutto.

I BTBAM per questa loro ottava fatica non rischiano. Con “Coma ecliptic” avevano rischiato pure troppo, ma gli ascolti hanno dato ragione a loro. Per quanto riguarda “Automata I”, ci richiamiamo a quanto detto in apertura: è presto per dare giudizi e molto probabilmente potremo darli con cognizione di causa solo alla luce di “Automata II”. Per ora, l’idea è quella di trovarsi davanti ad una sorta di demo lungo-lungo passato come album per sfruttare la grande notorietà di cui i nostri godono (magari hanno pure valutato che il loro calcolo delle parallassi poteva essere svolto diversamente e fruttare più dinari). Ma ancora, è un giudizio affrettato. Per ora possiamo limitarci a dire che ci troviamo davanti a 35 minuti di BTBAM esattamente come ci aspettiamo che siano. E nulla di più, anche se dagli statunitensi ci si aspetta sempre qualcosa di più.

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