Recensione: Harlequins Of Light

Di Eric Nicodemo - 25 Agosto 2013 - 13:33
Harlequins Of Light
Band: Arc Angel
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2013
Nazione:
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72

La ripubblicazione di un vecchio disco può essere occasione (o preludio) al rilancio di una vecchia band passata pressoché inosservata davanti al grande pubblico ma ancora viva nei cuori dei seguaci del rock melodico vintage…
Parlare di AOR underground potrebbe sembrare un ossimoro visto che, come sappiamo, la musica FM (eterogenea e multiforme) nasceva con un denominatore comune ovvero l’anima mainstream: infatti, ogni band di tale genere, confidando su un sound smussato e melodie orecchiabili, si è cimentata nell’impresa di conquistare le platee nazionali ed internazionali, con esiti molto diversi da complesso a complesso.

E per questa strada di “gioie e dolori” è passata anche la rock band Arc Angel (originaria del Connecticut) che vede nel polistrumentista Jeff Cannata il leader indiscusso.
Rispetto agli esordi (un tradizionale AOR) il suono ha subito una naturale progressione in termini lirico-sinfonici: infatti, il songwriting predilige un registro ricercato, pregno di atmosfere oniriche come denotano i testi e la copertina surreale del disco.
La volontà di creare un suono pomposo (mutuato dai precedenti lavori di Cannata) appare evidente sin dalla title track che evoca atmosfere sognanti con l’aiuto di synt magniloquenti e un delicato pianoforte; stesso discorso vale per “War (Battlewounds Of Life)”, con il suo intro triste a creare una tela sinfonica tragica, movimentata solo dal combo voce-chitarra, mentre il pianoforte scandisce con eleganza e pathos l’andamento della canzone. Come avrete capito da queste veloci “inquadrature”, l’indiscusso apripista delle canzoni  rimane il connubio tra pianoforte- tastiere, protagonista di songs quali “Voice Of Illuminati” e “Tonight Forever”.

“Through The Night”, invece, varia la formula grazie alla fusione dei tasti con “accenni” acustici mentre il ritornello sprigiona un buon impatto, reiterato da assoli neoclassici a là Malmsteen per dar maggior forza alle voci corali. “Amnesia (Rest Of Your Life)” ripropone le keyboards le quali, mimando uno xilofono, conferiscono (assieme alla chitarra acustica e ai backing vocals) una coloritura prog dolce e cullante, dal sentore malinconico.

L’atmosfera sinfonica è smorzata da alcuni episodi del platter più FM-oriented quali “As Far As The Eye Can See”, con il suo incedere rockeggiante, e la programmatica “California Daze”, dominata da un mood solare, incentrato sul gradevole repeat della parola “California”, che si muove seguendo sonorità di retrogusto radiofonico. E se queste canzoni possono sembrare un taglio netto con lo stile predominante, ben presto veniamo smentiti e ritorniamo ai consueti paesaggi surreali con  “Diamonds And Gold” e “Tonight… Forever”, quest’ultima impreziosita da arabeschi chitarristici e da un gradevole chorus, affidato all’ennesimo intreccio tra frontman e playground vocals.
“Alleggerisce” il platter il canonico accompagnamento della chitarra ritmica (con plettraggio alternato) proposto in “Get To You”, un piacevole filler il cui quadro compositivo viene completato da inserti brevi della sei corde e, in chiusura, da vibrati ad intermittenza, adornati con qualche voce d’effetto in lontananza.

Se la cava meglio il rifacimento di “Fortune Teller” (“Fortune Teller 2″), che migliora la proposta aggiungendo leggeri piatti della batteria in apertura, tasti lievi e una voce soffusa riecheggiata dai cori; di seguito, il ruvido impatto delle chitarre spezza la delicata atmosfera e la canzone giunge allo zenit, un ritornello studiato sul botta e risposta tra main vox e backing: il primo declama con voce profonda e accorata il titolo della canzone (sostenuta da un giro energico), mentre il secondo risponde cantando la strofa successiva su tonalità maggiori (da notare sullo sfondo il tonfo sordo delle bacchette del drummer).
Non poteva mancare in chiusura il classico lentone, che qui risponde al nome di “Legend Of Mary Celeste”: una specie di suite che parla il linguaggio art-rock, con i suoi cinque minuti ritmati dal collaudato binomio piano- main vocal.

Alla luce di quanto detto non è difficile capire che il punto di forza di questo album si rivela, ironia della sorte, il suo stesso punto debole: la rottura con il passato e la ricerca di un suono più elegante e strutturato ha fatto perdere quella genuina freschezza e spontanea semplicità che contraddistingueva l’album omonimo del 1983. Insomma, gli Arc Angel di oggi sono simili a quelli di un tempo solo perché non propongono nulla di veramente innovativo ma, mentre la lezione del passato era ricca di spunti memorabili (come dimenticare l’assolo spigoloso di “Rock Me Tonight” o il “tormentone” perduto di “Wanted: Dead Or Alive”), quella del presente è un surrogato di quanto fatto da altre bands (ascoltate i sintetizzatori di “Legend Of Mary Celeste”… non vi ricordano qualcuno?) .

Forse considerare un album o un complesso nell’ottica del suo lontano o recente passato può sembrare anacronistico e addirittura oltranzista ma è lecito chiedersi se ha senso rispolverare il vecchio monicker per un disco così lontano dalle sonorità originali. Molto probabilmente avrebbe avuto più senso proporre questo lavoro come l’ennesimo album solista, considerata la fama di cult del progetto Cannata.

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