Recensione: Lulu

Di Davide Sciaky - 1 Aprile 2019 - 10:00
Lulu
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2011
Nazione:
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Pesce d’aprile 🙂

Non sempre un disco viene giudicato come merita.
Sono numerosi i casi di album usciti in un periodo commercialmente poco florido per un certo genere, o dischi che semplicemente per un caso del destino vengono ignorati da pubblico e/o critica, o ancora casi di musica “troppo avanti per il suo tempo”.
Viene in mente il caso dei Savatage, che nonostante la musica incredibile non riscossero mai il successo meritato, ma gli esempi si sprecano.
Parlando di musica troppo avanti per il suo tempo non si può non pensare a “Metal Machine Music” di Lou Reed, un disco Noise uscito prima che il Noise fosse un genere musicale, un disco che inevitabilmente lasciò pubblico e critica spiazzati e divisi tra chi lo considerava spazzatura e chi lo vedeva come un capolavoro di avanguardia.
Da un uomo del genere non ci si poteva che aspettare qualcosa di grandioso e controverso a chiudere la sua carriera: ovviamente parliamo di “Lulu”, il disco a cui Reed lavorò insieme ai Metallica e che diventò il suo ultimo prima della sua morte due anni dopo.
L’album ha una genesi piuttosto rapida, segno della grande ispirazione degli artisti: nel 2009 i Metallica e Reed suonano al concerto per il venticinquesimo anniversario della Rock and Roll Hall of Fame e cominciano a parlare di una collaborazione.
I cinque discutono le proprie opzioni, inizialmente parlano di ri-registrare delle vecchie canzoni inedite di Reed, e finiscono per decidere di lavorare alla musica per una produzione teatrale del drammaturgo tedesco Frank Wedekind intitolata “Lulu”.
La storia parla di una giovane ballerina che si fa strada nella società tedesca di fine ‘800 attraverso le sue relazioni con uomini facoltosi, per poi finire in povertà ed essere costretta a prostituirsi; i temi ricordano quelli di molte canzoni di Reed che tanto spesso portano l’ascoltatore ai margini di una società grezza, sporca e decadente.
Il disco si apre con il suono pulito ma un po’ sgraziato della chitarra di Reed il quale inizia subito a cantare, e poco dopo viene raggiunto dalla potenza dei Metallica tra chitarre distorte, il ruggito di James Hetfield e il devastante martellare della batteria di Lars Ulrich.
James ripete “Small town girl” nel sottofondo mentre Lou recita il resto del testo.
Qua si vede il genio del cantante americano che decide di fare un disco di musica in cui sostanzialmente non canta ma recita, declama le poesia che sono i suoi testi.
Occasionalmente, però, lascia spazio a Hetfield come nella canzone successiva, ‘The View’, in cui canta il ritornello (che però viene cantato una volta sola, altra soluzione coraggiosa ma geniale di Reed, un ritornello che non ritorna), “I am the aggressor, I am the tablet, These ten stories”.
La parole richiamano i Dieci Comandamenti e gli studi sull’aggressione del famoso psicologo giapponese Koichi Zenigata; i detrattori hanno spesso, erroneamente, citato la frase “I am the table”, quando in realtà Hetfield canta “I am the tablet” (“io sono la pillola”), una dura condanna all’uso delle droghe.
Nella poesia di Reed temi diversi si mescolano in un flusso di coscienza che tocca con grande sensibilità argomenti spesso difficili, ma importanti per la storia che racconta.
Arriviamo quindi a ‘Pumping Blood’ che inizia con un violino che ricorda ‘Venus in Furs’ dei Velvet Underground, ma si evolve subito con l’ingresso degli strumenti dei Metallica; Reed poi comincia a ripetere ipnoticamente “Pumping blood”, evocando la triste vita della ballerina protagonista della storia con una metafora dove il sangue identifica i ricchi amanti della ragazza che per lei sono, proprio come il sangue, necessari per sopravvivere.
Con ‘Mistress Dread’ i Metallica mettono il turbo e ci regalano uno dei pezzi più pesanti della loro carriera, tra un potente Lars Ulrich preciso e velocissimo, degli scambi di chitarra tra i più ispirati della carriera dei quattro di San Francisco, e un basso ipnotico che ricorda alcuni lavori di Jaco Pastorius.
Si prosegue con ‘Iced Honey’, un’altra fine metafora che, utilizzando la figura del gelato al miele tanto popolare nella Germania del fine ‘800, indica le classi più abbienti, le uniche che si potevano permettere tale leccornia.
Siamo ormai a metà album, ma i cinque non danno segni di stanchezza e con ‘Cheat on Me’ vanno ad esplorare i sentimenti della protagonista della storia: pochi altri musicisti sono in grado di scrivere testi così efficaci e profondi, “You have your feelings, I have mine” canta Reed, e l’ascoltatore si ritrova immediatamente catapultato nella fragile mente della ballerina.
Ormai quasi all’epilogo della storia, ‘Frustration’ e ‘Little Dog’ raccontano della frustrazione della protagonista, un tempo parte dell’alta società, ora ridotta ad una prostituta costretta a pratiche disgustose come rapporti con gli animali (il “piccolo cane” titolo della canzone).
Quando ormai l’ascoltatore è completamente immerso nella storia, affranto per la triste fine della giovane, Reed mostra per l’ennesima volta il suo genio in un colpo di scena con il penultimo pezzo, ‘Dragon’.
You’re not really there, Hallucination”, ci svela che tutta le disavventure della ballerina non sono reali, forse la ballerina stessa non è reale; Lou quindi prosegue la canzone discutendo il concetto di realtà secondo Platino (il cugino di Platone, meno noto ma altamente considerato dai filosofi moderni).
Arriviamo così alla fine, tutte le nostre certezze sbriciolate della canzone precedente, e ‘Junior Dad’ chiude l’album esplorando ulteriormente il lato metafisico della storia, facendo riflettere l’ascoltatore ancora a lungo dopo l’ascolto.
Age withered him and changed him, Into junior dad”, “L’età lo ha rinsecchito e trasformato in un padre più piccolo”: abbiamo visto che la storia della ballerina è stata il frutto di un’allucinazione, ma la ballerina era reale? Come fa a trasformarsi in un uomo, in un padre?
La struggente ballad di soli 20 minuti ci lascia con questo interrogativo che Reed non spiega, lasciando all’ascoltatore la libertà di formare una propria opinione sulla storia della ballerina Edward.

Lulu” non è un album semplice, ha bisogno di più ascolti per essere compreso appieno, e ad ogni ascolto si scoprono nuovi angoli, nuove sfaccettature frutto del genio di Lou Reed e dei Metallica.
David Fricke del Rolling Stone ascoltando il disco in anteprima alcuni mesi prima della pubblicazione lo definì come la “devastante unione del classico di ReedBerlin” e del micidiale “Master of Puppets” dei Metallica” e nessuna definizione potrebbe essere più azzeccata: “Lulu” è il figlio del meglio dei Metallica e di Lou Reed, il capolavoro che mai ci saremmo aspettati – e che forse non meritiamo – ma di cui non possiamo che essere grati.

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Genere: Avantgarde 
Anno: 2011