Recensione: Wings of War

Di Andrea Bacigalupo - 6 Giugno 2019 - 8:30
Wings of War
Band: Overkill
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2019
Nazione:
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82

All’interno del circuito stellare del Thrash gli Overkill hanno, ormai da anni, il loro posto assicurato. Band presente sul mercato dal 1985, quando lanciarono quella bomba a mano dal nome ‘Feel The Fire’, da lì non si sono più fermati, facendo passare al massimo tre anni tra un album e l’altro.

Hanno passato momento magici, momenti difficili e di crisi, hanno cambiato formazione più volte, hanno provato ad adeguarsi ai tempi, ma non si sono mai arresi.

Ed è così che arriviamo al 2019: dopo aver celebrato il trentennale del suddetto album ed il venticinquennale di ‘Horrorscope’ (altro mitico platter che ne confermò la carriera) con l’incisione del ‘Live in Overhausen’, gli Overkill tornano con ‘Wings of War’, diciannovesimo album registrato in studio.

La novità principale è la sostituzione, dietro le pelli, di Ron Lipnicki con Jason Bitner, reclutato, non certo perché trovato per strada a far girare le bacchette su una grancassa, ma perché dotato di grande esperienza, avendo militato in gruppi quali i Toxic, gli Shadows Fall, gli Anthrax in sede live, sostituendo nientemeno che Charlie Benante, ed i Flotsam and Jetsam.

Per il resto il disco è ‘Overkill’ al cento per cento, aggressivo fino allo spasimo e capace di riassumere il lavoro svolto, essenzialmente, dall’epoca di ‘Ironbound’ ad oggi.

Ci si trovano dentro pezzi veloci, ritmi stoppati, ricerche melodiche, tempi abrasivamente cadenzati, linee melodiche di buona fattura ed assoli incalzanti. Tutto secondo il loro stile caratteristico ed unico, che li rende riconoscibili nell’immediato.

Non troviamo invece novità o sperimentazioni, nessun tentativo di dire qualcosa di nuovo: gli Overkill suonano il loro sano e arrabbiatissimo Thrash, senza girarci intorno, senza frozoli, gridando la loro collera attraverso la voce carica di Bobby ‘Blitz’ Ellsworth, anarchica e ribelle, ora come trentacinque anni fa, solo più matura e dotata della consapevolezza dettata dall’esperienza.

In ‘Wings of War’ troviamo, quindi, dieci canzoni (undici nella versione CD, che include ‘In Ashes’) che potrebbero essere inserite in qualsiasi altro loro album.

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La partenza è immediata: ‘Last Man Standing’ è potenza che cresce fino ad esplodere e diventare furiosa e determinata; vero Thrash allo stato liquido, dinamico con strofe veloci, un refrain serrato, assoli lancinanti ed un interludio robusto ed epico. Un vero inizio ed un brano decisamente da palco.

Non è da meno ‘Believe in the Fight’, improvvisamente veloce e con buone linee melodiche, l’interludio centrale è una sezione dal ritmo stoppato e feroce, con cori potenti e decisi che portano ad un pregevole assolo sostenuto da una ritmica spedita che riporta al tema principale del pezzo.

L’inizio di ‘Head of a Pin’ è greve e cupo, poi il brano accelera ed acquisisce grinta e durezza, con i tamburi che scandiscono un ritmo primordiale, a metà  il tempo cambia e privilegia la cadenza, dando dinamicità al pezzo.  

BatShitCrazy’ è rocciosa quanto dinamica, frammentata da un improvviso arpeggio seguito da strofe lente che lasciano respirare, ma giusto il tempo di arrivare all’assolo che riprende la sezione iniziale. 

La quinta traccia è ‘Distortion’, potente, determinata e moderna, alla quale segue ‘A Mother’s Prayer’, un Thrash ‘N Roll molto furibondo, con buoni cori che portano a saltare, nell’assolo c’è tanto Heavy Metal.

Dopo tanta rabbia un po’ di sano divertimento com ‘Welcome to the Garden State’, dominata dalla ritmica velocissima di un straffottente punk, con cori divertenti e pazzi. L’interludio di sola voce – batteria e basso sul quale entrano le chitarre chiama la follia.

Where Few Dare to Walk’ è un tempo medio scuro e sinistro quanto duro e grintoso, mentre ‘Out on the Road-Kill’, per quanto potente, lascia un po’ interdetti: è il punto debole del disco.

Hole in My Soul’ chiude il lavoro in modo classico, come gli Overkill sanno fare.

Wings of War’, anche se non raggiunge gli alti livelli di alcuni lavori degli Overkill, come ‘Taking Over’ o ‘The Grinding Wheel’, per citare due esempi posti agli antipodi della loro storia, è comunque un album più che buono, duro ed aggressivo che lascia un buon segno. Neanche stavolta gli Overkill deludono. Ottimo!!!    

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