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Dawn Of A Dark Age: intervista a Vittorio Sabelli

Di Costanza Marsella - 8 Ottobre 2021 - 14:26

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Vittorio Sabelli, mastermind di Dawn Of A Dark Age e autore del bellissimo “Le Forche Caudine“, buona lettura!

 

Ciao Vittorio, come va? Benvenuto su Truemetal.it!

Ciao, procede tutto molto bene, grazie dell’invito su Truemetal.it, è davvero un piacere!

– Abbiamo apprezzato molto il tuo lavoro precedente e Le Forche Caudine migliora ancora di più il percorso che stai facendo; come mai hai scelto di rappresentare i tuoi ultimi lavori in chiave teatrale, dividendoli in atti e con molte parti narrate?

La scelta di utilizzare questo tipo di struttura nasce dopo l’uscita dei quattro Elementi ‘principali’. Volevo chiudere il cerchio con un disco che inglobasse i due Elementi rimanenti, e più che una scelta il disco si è evoluto in maniera molto naturale. Infatti Spirit/Mystères racchiude due storie incatenate tra loro, che sono ‘Lo Spirito del Deserto’ di Aleister Crowley con la manifestazione del Corpus Domini che si celebra a Campobasso, conosciuta semplicemente col nome di ‘Misteri’. Con la differenza che in Spirit/Mystères sono narrate le gesta dei 13 Santi che si venerano durante quella particolare giornata, mentre a partire da Tavola ho avuto necessità di variare la scrittura e la composizione. Non più singoli brani ma una sorta di ‘opera globale’ fatta di poche idee base ma ognuna di essa pensata come un leitmotiv, qualcosa che ritorna ciclicamente ma ogni volta variato, ritmicamente, timbricamente e armonicamente. Mentre dal punto di vista dei testi, andando a scavare la storia dei miei antenati (praticamente sconosciuta alla maggior parte della gente, dopo che nell’82 a.C. il Dictator Cornelio Silla fece sterminare tutti coloro che avessero sangue Sannita, senza eccezioni per donne e neonati) volevo che chiunque ascoltasse questo nuovo percorso entrasse in sintonia totale con le vicende narrate e con le storie che i dischi racchiudono.

– Finalmente possiamo parlare di un progetto italiano che esplori la nostra storia piuttosto che il Kalevala, il Ragnarok e compagnia bella. Perché secondo te moltissime band sono tematicamente esterofile, nonostante il nostro ricchissimo patrimonio culturale? Dovrebbe esistere un principio di territorialità?

Vedo la creazione musicale come qualcosa di molto intimo e personale; un disco racchiude un periodo di vita, è come un contenitore di idee, di gusti e di sapori. A essere sincero non riuscirei a vestire con un kilt o una tunica e parlare della storia di un popolo nordico o equatoriale, ma probabilmente perché non l’ho mai vissuto come esperienza personale (se non per brevi periodi di permanenza in quei posti, ma ne parleremo in seguito). Magari vivendo in Scandinavia per un periodo di tempo tale da entrare in sintonia con la natura, i costumi, le tradizioni, potrebbe portare a scrivere un disco orientato in quel senso. Soprattutto in un genere come il Black Metal che riflette in maniera marcata il territorio, la natura, le tradizioni di un popolo per me è impensabile non mettere in musica il proprio vissuto, la propria storia e le proprie radici.

– Quando hai maturato l’idea di dedicare un progetto a tale sottobosco culturale? Cosa ti ha portato a dare vita ad una band con tali peculiarità?

Dawn Of A Dark Age nasce (come idea) oltre 25 anni fa, quando ho iniziato a suonare con le bande molisane e allo stesso tempo ho iniziato ad ascoltare musica metal (per questo devo ringraziare Enrico Di Camillo, che si trasferì ad Agnone -sulle montagne molisane- da Roma, passandomi le cassette di Metallica, Slayer, Ozzy, Iron Maiden.. Inutile dire che per un montanaro quindicenne furono qualcosa di folgorante). Da allora ho sempre avuto in mente il pallino di mettere a contatto il mio lavoro (il clarinetto) con la musica che amo, il metal estremo. A distanza di anni provavo qualche connubio tra le due cose ma con risultati davvero poco soddisfacenti e gratificanti. Come sempre, quando abbandoni un’idea in maniera ‘definitiva’ ecco che accade qualcosa di inaspettato. Nel 2013 un viaggio ‘di piacere’ nei luoghi del Black Metal in Norvegia mi ha portato sulla tomba di Euronymous a Ski in una giornata piovosa e gelida di agosto. Non ci fu né un’illuminazione né un rito iniziatorio, semplicemente mi dissi guardando quella lapide a terra che avrei iniziato un progetto orientato su quello che volevo fare da diverso tempo. Il risultato sono i primi dischi sperimentali di Dawn Of A Dark Age e poi, dopo un periodo di assenza lungo tre anni, questa nuova saga dedicata ai miei antenati, i Sanniti.

– E’ inevitabile che valorizzare la propria storia, per una persona del centro sud, significhi anche in un certo senso fare i conti con la questione meridionale, nel senso più largo possibile, ovverosia una sorta di complesso di inferiorità che spesse volte è anche culturale e storico -si pensi, come osservato in precedenza, alla prevalenza nel genere di tematiche legate alla mitologia nordica anche da parte di band non autoctone. Qual è la tua posizione a riguardo?

Penso la musica in maniera molto trasversale, fin troppo per certi versi, ma sempre legata solo all’esperienza formativa e al luogo dove si vive o si è vissuti. In Dawn Of A Dark Age ho fatto confluire tutte le mie esperienze musicali, che iniziano in banda, poi in Orchestra Sinfonica e con la musica jazz, quindi il discorso geografico sinceramente non è mai entrato in alcun modo nei miei pensieri.

Personalmente conosco diverse band italiane che si occupano delle tradizioni e delle usanze del posto dove vivono, ma se pensi ad altre scene non scandinave (ucraina, greca ma anche canadese e francese) che ne hanno fatto il punto di forza, probabilmente l’unica domanda da farsi è: nel nostro paese c’è (o c’è mai stata) effettivamente una scena ‘Italiana’?

– L’italianità spesso nel metal è invalidante come il cantato in italiano, per non parlare di un disco italiano cantato in italiano che tratta storie italiane. Descrivere le proprie radici quindi va poco di moda ed è sempre la strada più difficile; hai anche attività extra musicali che seguono questo percorso?

Fortunatamente no, anche perché il raccontare la storia dei miei avi è molto dispendioso in termini di tempo ed energie, soprattutto per reperire informazioni che si avvicinassero il più possibile alla ‘verità storica’. Tenendo conto che parliamo di fonti risalenti al IV, III secolo a.C. e che dopo lo sterminio da parte di Silla è stato distrutto tutto ciò che avesse a che fare con il popolo sannita. Ma dopo due millenni, grazie al lavoro di archeologi e studiosi dei popoli italici, stanno riemergendo tantissimi reperti risalenti ai Sanniti, e ho la fortuna di avere contatti con persone che si occupano della loro storia, sia per quanto riguarda “La Tavola Osca”, che per il nuovo disco “Le Forche Caudine” (mi sento in dovere di ringraziare Luciano D’Amico che mi ha condotto sul posto dell’agguato, tra i Monti Camposauro e Taburno, per respirare e guardare con occhio sannita l’arrivo dei 16000 romani, con l’immagine dei due sbarramenti tra le gole a imbottigliare le due Legioni tenendole praticamente in gabbia, circondate a 360 gradi da tutto l’esercito appostato sui monti). Tornando alla domanda iniziale, la strada più difficile è sempre quella più eccitante e piena di scoperta e sorprese. Ognuno ha il diritto di mettere in musica i propri sogni, idee, letture, immaginazioni, ma il nuovo percorso che mi sono imposto con Dawn Of A Dark Age è incentrato su una ricerca storica delle mie radici che va molto lontano, ma che voglio riportare a galla e far conoscere a più gente possibile, nel rispetto del grande popolo (non solo montanaro e guerriero) che furono i Sanniti, e il grande contributo che diedero per la nascita della nazione Italia. La parola Viteliu in osco sannita era incisa su un lato della prima moneta coniata in Abruzzo, mentre sull’altro lato c’era la scritta Italia e i Meddis Tuticus che giuravano fedeltà alla Nazione Italica infilzando una lupa romana (I Meddis Tuticus erano i comandanti delle diverse ‘province’ o touto del Sannio, di cui facevano parte Lucani, Marsi, Carricini, Irpini, Pentri e si estendeva dall’Abruzzo fino alla Basilicata).

– Il disco precedente, La Tavola Osca, non è mai stato supportato live; pensi di muoverti in questo senso con Le Forche Caudine o preferisci mantenere il progetto esclusivamente in studio?

La più grande difficoltà di portare questo progetto live sta nel fatto che usando una strumentazione così ampia e articolata, avrei bisogno di almeno 10 musicisti sul palco, e considerando il periodo non particolarmente felice sul fronte live al momento preferisco presentare i dischi insieme a giornalisti o scrittori che si occupano dei Sanniti, con un intreccio di fatti e vicende che vanno dalla musica ai racconti, con interventi musicali col mio clarinetto per alcune scene dei dischi.

– Come è noto sei un polistrumentista; se fino a qualche anno fa certi strumenti nel metal estremo erano impensabili, oggi sono quasi la prassi, col risultato che da una parte si progredisce mentre dall’altra si va verso un ritorno agli anni ‘90 e al marciume più becero. Pensi che le contaminazioni abbiano creato una linea di separazione ben marcata o che in ogni caso rimangano un valore aggiunto su cui continuare a puntare?

Bella domanda, la mettiamo sotto un punto di vista poco filosofico ma molto reale: ascoltiamo musica, usufruiamo dell’arte, leggiamo libri, viaggiamo per puro piacere sensoriale e per riempire la nostra valigia nel reparto ‘esperienze’. Torneresti sempre in vacanza in Norvegia non considerando Svezia, Finlandia e i paesi limitrofi? Mangeresti sempre spaghetti, anche se conditi in modo diverso? Parto da questo per dirti che dipende sempre da cosa vogliamo e cerchiamo dalla musica. Sono per la contaminazione a 360 gradi (Nelle Forche Caudine ci sono strumenti mediorientali come Darbuka e classici come il Violino o i Tromboni che lavorano insieme), ma ciò che l’ascoltatore desidera è talmente soggettivo e personale che è giusto che ognuno soddisfi il proprio piacere come meglio crede. Considero sempre che un disco è espressione di un periodo di vita e di un’evoluzione personale, artistica, spirituale. Ti cito tre nomi che hanno lasciato il ‘marciume’ a favore di produzioni ed espressioni lontane da dischi dei quali ogni amante del genere è innamorato: Satyricon, Burzum, Ulver… I fan si sono sentiti ‘traditi’ dai percorsi intrapresi da queste band, ma credo che loro siano più sinceri di tante altre band che continuano a suonare con le stesse identiche formule, strutture e suoni di 30 anni fa. Quello che hai addosso a 20 anni non puoi averlo identico a 50 a meno che la tua vita sia stata piatta e identica per tutto questo lasso di tempo. Burzum che sperimenta nei nuovi album è la stessa persona di Aske con un’esperienza di vita che lo ha portato ad esprimersi utilizzando nuovi mezzi e percorrendo nuove strade. I ‘nuovi’ Satyricon hanno lasciato una strada battuta con tre colossi del genere per cercare altro, nuove soluzioni, i dischi post Rebel Extravaganza hanno un riffing e un modo di cantare di Satyr che è semplicemente meraviglioso, basta capire però quanta predisposizione si ha a provare e accogliere nuovi sapori, colori e suoni. Se la nostra capacità di ascolto si limita a 4 minuti a brano come gli adolescenti allora lavori più impegnati meglio non affrontarli, se si vogliono scoprire nuove strade bisogna scrollarsi di dosso alcune abitudini, rimboccarsi le maniche e capire se vogliamo camminare in un rettilineo oppure pensare dietro ogni curva ci sia qualcosa di nuovo e interessante…

– La digitalizzazione sempre crescente dei prodotti musicali e la diffusione di massa via social ha modificato il tuo approccio alla scena? Come è cambiata secondo te la fruizione della musica e come si approccia un artista come te a un concezione più usa e getta?

Su questo devo allinearmi un po’ all’idea generale, nel senso che senz’altro oggi i canali sono molti e fin troppi col rischio di dispersione di ogni tipo di prodotto musicale, proprio per un eccesso di uscite discografiche. D’altro canto è più facile arrivare dappertutto, fermo restando che chi ama davvero la scena UG continua a supportarla, e non in termini di condivisioni o like, ma in termini di acquisto. E per acquisto intendo avere in mano un ‘oggetto’ vivo, vero, con un booklet che magari ne racconta la storia e i testi. Personalmente continuo ad acquistare vinili, CD di band che scopro o mi vengono proposte, qualora sento che hanno ancora da dire cose interessanti e soprattutto nuove e non scontate. Personalmente non ho ancora alcuna esigenza di uniformarmi alla maggior parte delle band, sotto ogni profilo, basta pensare che sia La Tavola Osca che Le Forche Caudine sono pensate come un’unica traccia nonostante siano divise in due Atti entrambe.

– Hai già qualche idea per un prossimo lavoro? Ci puoi dare qualche anticipazione? Ti darai alla synthwave che va per la maggiore con tematiche sugli arrosticini e Tolkien o rimarrai sempre su queste coordinate stilistiche?

Con Dawn Of A Dark Age sono sempre a lavoro, non penso mai a un disco e poi un altro e così via, perché non credo nell’attendere ‘l’ispirazione divina’ per iniziare un progetto. Mentre lavoravo a La Tavola Osca ho trovato il ‘tema principale’ che poi è il fulcro de Le Forche Caudine e così li ho iniziati a lavorare in maniera parallela. Ogni giorno butto giù idee, prove, e poi le lascio lì per un periodo di tempo indefinito; quando le riprendo se non mi dicono niente di interessante le cestino, ma non prima di averle lavorate sotto tutti i profili. Sto lavorando a due progetti molto diversi tra di loro e naturalmente al terzo capitolo della saga sui Sanniti, che non avrà a che fare senz’altro con Tolkien e la mitologia norrena, ma molto sicuramente con gli arrosticini, e lo dico seriamente. E poi ci saranno senz’altro alcuni cambiamenti…

– Ci confermi quindi che il Molise esiste?

Alla grande, e soprattutto adesso sapete che ci ha vissuto il popolo italico dei Sanniti Pentri (i più temuti dai Romani).

– Hai qualche meta poco conosciuta da consigliarci e che meriterebbe di essere valorizzata?

Chiunque passi in Molise non può non andare a far visita al Teatro Sannitico di Pietrabbondante, al Museo Sannitico di Campobasso e la Fonderia delle Campane di Agnone…Ma ogni paesino arroccato su quelle colline ha storia e tradizioni che vi lasceranno di stucco…Per non parlare del cibo!

E’ tutto, grazie per averci dedicato il tuo tempo, lasciamo a te le conclusioni!

Grazie a te per le domande ‘impegnative’ ma intriganti e naturalmente a Truemetal!

Chiunque voglia dedicare del tempo e sostenere Dawn Of A Dark Age può farlo tramite la pagina Bandcamp:

https://dawnofadarkage.bandcamp.com/

https://www.facebook.com/dawnofadarkage