Progressive

Recensione libro: YES – Gli anni d’oro (1969-1980)

Di Roberto Gelmi - 21 Marzo 2022 - 15:16
Recensione libro: YES – Gli anni d’oro (1969-1980)

Autore: Paolo Carnelli

Editore: Tsunami Edizioni

Collana: Gli uragani

Pagine: 288

Ean: 9788894859553

22 Euro

Prefazione: Fabio Pignatelli (Goblin)

Artwork di copertina: Luca Martinotti / Solomacello

 

 

Quanto realizzato dagli Yes è uno dei più grandi conseguimenti del progressive anni Settanta, «un uragano di suoni e visioni […] come momento fondante, non solo per la musica rock, ma per la civiltà intera».

Le parole usate da Paolo Carnelli nel suo libro monografico Yes Gli anni d’oro (1969-1980) riescono a dare il giudizio definitivo sulla storia di questa band seminale che tanto successo ha riscosso e ancora oggi fa parlare di sé (l’ultimo album The Quest è dell’ottobre 2021).

La prosa di Carnelli ha il dono della sintesi e dell’equilibrio sintattico. Leggere le vicende della band di Jon Anderson e Chris Squire – provinciale e sognatore l’uno, cittadino e snob il secondo – a partire dagli esordi nella Londra scintillante di fine anni Sessanta, fino ad arrivare al controverso album Drama del 1980, è un piacere, merito di un lavoro di ricerca approfondito (la bibliografia in calce occupa 4 pagine) e dalla passione che traspare per la materia trattata.

Diviso in 12 capitoli dai titoli a effetto, cui va aggiunta un’introduzione e un epilogo, il volume della Tsunami Edizioni contiene inoltre un repertorio di un centinaio d’immagini in b/n ben selezionate e non indulge in commenti fini a se stessi, ma dà lo spaccato preciso della genesi e della crescita della band inglese. Scopriamo nel dettaglio come sono nati i primi dieci studio album (e due live), dopo numerosi e travagliati cambi di line-up, e il continuo rischio del fallimento dietro l’angolo. Gli Yes sono infatti una band al limite, da alcuni definiti l’orchestra personale di Jon Anderson, un festival di ego giustapposti tra loro, tenuti insieme solo dalla continua ricerca di una musica celestiale e progressiva. Non una band jazz, non una band rock tout court, né pop, né commerciale, accessibili ma raffinati…

Anche le liriche dei brani più celebri sono trattate in modo puntuale e sono presenti nelle note a piè di pagine le traduzioni (ottima quella di “Close to the edge”).

Scopriamo l’attrazione di Anderson per l’oriente ma anche il lato ironico del cantante, la personalità dell’eterno ritardatario Chris Squire, l’insofferenza di Bill Bruford per un modus operandi al limite dello stakanovismo, l’amore di Rick Wakeman per la birra, all’opposto del lato salutista di Steve Howe.

 

La struttura di “Yours Is No Disgrace”

 

I brani classici degli Yes nascono con un approccio sinfonico alla scrittura (non a  caso Stravinskij compare più volte nel libro), grazie all’aiuto del tecnico del suono Eddie Offord: «Come in un lungometraggio la narrazione è divisa in un certo numero di scene che vengono fissate sulla pellicola in maniera spesso non consequenziale e poi assemblate in fase di montaggio». Un lavoro certosino che oggi richiederebbe molte meno energie grazie agli strumenti di sound editing a disposizione. Steven Wilson (Porcupine Tree) si è occupato dei remix di alcuni album targati Yes e ne conferma la complessità, specie quella dei nastri di Tales from topographic oceans.

A fronte di tale approccio maniacale, è difficile trattenere una risata nel leggere le situazioni assurde in studio di registrazione; si resta ammirati invece dalle trovate sceniche utilizzate in sede live, opera del mitico Roger Dean (ma parliamo anche del palco girevole nel tour di Tormato) e della strumentazione all’avanguardia usata dalla band (chi ricorda il Birotron?).

La politica delle porte girevoli (se ti va bene sei dentro, altrimenti arrivederci) da un lato ha contribuito a puntare verso una continua sperimentazione, dall’altro però ha contribuito a creare il mito degli Yes come band di perfezionisti poco affiatati tra loro. Tutti conoscono i continui cambi di line-up, da quello burrascoso con Peter Banks, all’arrivo di Patrick Moraz, per non parlare del precedente tentativo di assoldare Vangelis.

Un dream team oppure un insieme di prime donne: ubi est veritas? Sfogliare le pagine del volume di Paolo Carnelli aiuta a farsi un’idea più chiara su com’è andata davvero la storia degli Yes, specie per i fan più giovani della band, e rivalutare album come Time and a word, Going for the One e Drama. Ovviamente dischi alla mano e cuffie pronte a suonare la loro musica celestiale.

Il libro si ferma sullo scorcio degli anni Ottanta, con il progetto XYZ sfumato e i primi vagiti degli Asia, aspettiamo il secondo volume della biografia, buona lettura a tutti!