Heavy

Intervista ScreaMachine (Francesco Bucci)

Di Fabio Vellata - 23 Maggio 2023 - 0:14
Intervista ScreaMachine (Francesco Bucci)

Lunga ed articolata intervista con il disponibilissimo Francesco Bucci, bassista e fondatore dei terremotanti Screamachine, band da qualche giorno fuori con il secondo album in carriera.
Nelle parole del musicista, una presentazione molto esaustiva da cui si percepiscono grande entusiasmo e genuina passione per la propria musica.

Intervista a cura di Fabio Vellata con la collaborazione di Manuel Gregorin

Ciao Francesco, qui è Fabio Vellata di Truemetal, è un vero piacere poterti ospitare sulle nostre pagine. Benvenuto!

Ciao Fabio, grazie mille per aver accolto ScreaMachine su queste prestigiose pagine.

Una domanda un pò scontata per iniziare. Presentaci la band: come vi siete incontrati con Frontiers e qual è la benzina che anima il vostro motore?

L’idea di ScreaMachine nasce nel novembre del 2017 dalla volontà di confrontarmi con le sonorità che porto nel cuore sin quando ero un teenager: quelle della musica heavy metal che così tanto mi ha dato sino ai giorni odierni.
Come puoi immaginare, quindi, i riferimenti sono indubbiamente riconducibili a classici come Iron Maiden, Judas Priest, primi Metallica, Accept e così via.
Dopo aver trovato i compagni adatti, abbiamo dato vita ad un disco di debutto basato esclusivamente sui nostri gusti e sulla proposizione di quel tipo di musica che avremmo voluto ascoltare in giro ma che sembra oramai dimenticata un po’ da tutti. Non trattandosi di un sound all’ultimo grido, ti dirò la verità, avevo poche speranze riguardo ad un interessamento da parte del etichette musicali che, visto il periodo di magra, sono giustamente molto attente all’aspetto economico della situazione e alle possibili perdite che anche il flop di un disco di una band esordiente può causare.
Ho contattato quindi la Frontiers, che avevo già avuto modo di conoscere e stimare nel corso degli anni, più per chiedere un indirizzo su una qualche realtà minore che potesse essere interessata al prodotto. Con mia grande sorpresa, Frontiers stessa, probabilmente forte di una spiccata sensibilità per le sonorità più tradizionali, si è offerta di produrre il disco e di darci cosi una chance in un catalogo che definire prestigioso è un puro eufemismo.
Avendo ricevuto la conferma per un secondo disco, possiamo dire che si è trattato di una scommessa vinta e siamo felici di aver ripagato il loro coraggio nel puntare su una giovane band. Speriamo, quindi, che “Church of the Scream” faccia ancora meglio del precedente!

Possiamo considerare gli ScreaMachine un side project oppure sentiremo parlare di voi ancora a lungo?

ScreaMachine va considerata, anzi è assolutamente, una band sotto ogni punto di vista. Peraltro pur non ponendo limiti alle possibilità di collaborazioni o nuove esperienze musicali, che ci trovano sempre pronti, sia io che Paolo abbiamo da qualche mese diviso le nostre strade da, rispettivamente, Stormlord e Kaledon.
Quindi in questo momento ScreaMachine è il gruppo su cui stiamo investendo tutte le nostre energie.

Siete tutti veterani della scena, mentre il nuovo entrato Edoardo Taddei è più giovane di diversi anni.
Cercavate energie fresche per gli ScreaMachine oppure vi hanno convinto le sue capacità tecniche?

Conoscevamo già bene lo stile di Edoardo, anche perché un chitarrista così talentuoso che inizia a frequentare i palchi della tua città fa un bel rumore. Inoltre Paolo aveva collaborato ad una sua release solista in qualità di tastierista, mentre a me era capitato di vederlo esibirsi in qualche locale romano,lasciandomi decisamente sbalordito per la tecnica e la presenza scenica. Non c’è dubbio sul fatto che Edoardo stia vivendo un momento d’oro, affermandosi come uno dei guitar hero più giovani ed interessanti non solo a livello italiano, ma europeo. Nel suo ultimo disco solista duetta con Jeff Loomis, mentre da poco è tornato da un tour europeo di successo con i Master Boot Records, inframezzato da numerose clinics che tiene per la Ibanez in qualità di endorser.
Con un curriculum del genere, capirai bene che, quando Alex Mele (il precedente chitarrista uscito dalla band dopo il disco di debutto) ci ha comunicato che avrebbe dovuto fare un passo indietro per focalizzarsi sui suoi Kaledon, quello di Edorardo è stato il primo nome a venirci in testa.
Fortunatamente ci siamo trovati subito in sintonia dato che dopo poche prove, attesa non solo la sua bravura ma anche la serietà nel preparare ed eseguire perfettamente i nostri pezzi, abbiamo deciso di formalizzare la collaborazione senza alcuna riserva.

Per Edoardo invece com’è suonare con musicisti esperti come gli altri membri della band?

A prescindere da questa esperienza, Edoardo non si è mai risparmiato e, nonostante la sua giovane età, ha già collaborato con vari musicisti di ogni età. Credo che colga l’occasione per rubare”il meglio da ogni situazione in cui si trova coinvolto, anche per il suo futuro, dato che non ho dubbi nell’immaginarlo attivo con le più disparate realtà musicali su palchi prestigiosi negli anni a venire.

Sul vostro esordio avevate numerosi ospiti, in particolare un nome di spessore della scena internazionale
come Steve Di Giorgio. Come è nata questa collaborazione?

Quando il materiale del disco di debutto ha iniziato a prendere una forma soddisfacente mi è venuta voglia di compiere un’ulteriore passo e “battezzare” il disco con il contributo di quelli che reputo essere fra i migliori chitarristi nella scena metal italiana, in modo da renderlo ancora più magico e caricarlo di ulteriore valore affettivo.
Massimiliano Pagliuso dei Novembre e degli Oceana, Simone Mularoni dei DGM, Andrea Angelini, che ha condiviso con me la militanza in Stormlord, e Francesco Mattei dei Noveria sono amici che tutti noi conosciamo da anni, che stimiamo immensamente e che ci hanno donato delle performance uniche. Per quanto riguarda i due “pezzi da novanta internazionali”, Steve Di Giorgio ed Herbie Langhans, quest’ultimo voce dei Firewind, Sonic Haven e noto anche come guest della all star band tedesca Avantasia, devo ringraziare la nostra label Frontiers Music che, dopo aver pazientemente ascoltato la personale “lista dei sogni” di ScreaMachine, si è offerta di metterci in contatto con Steve ed Herbie, premettendo, ovviamente, che la parola finale sarebbe spettata esclusivamente ai due musicisti e sarebbe giunta all’esito dell’apprezzamento del brano proposto.
Fortunatamente entrambi hanno accettato con entusiasmo, comportandosi con estrema professionalità – anche se non mi sarei aspettato nulla di meno da tali professionisti del settore – e donandoci due performance eccellenti. Con Steve, in particolare, ci siamo trovati benissimo ed abbiamo continuato a mantenerci in contatto anche dopo la collaborazione (in particolare perché lui è una vero fissato della cucina italiana ed in più occasioni mi ha mandato dei video delle sue creazioni culinarie). Insomma, non solo una vera e propria leggenda dello strumento, ma una persona squisita e molto simpatica.

Su Church Of The Scream invece c’è Davide Damna Moras. Sinceramente lo trovo un ospite adatto ad un
pezzo come The Epic Of Defeat. Lo avete scelto proprio pensandolo nel brano?

Mentre il disco precedente, come abbiamo detto, aveva la caratteristica di presentare una nutrita schiera di guest, quando è arrivato il momento di comporre il secondo album c’è stata una mutua, per quanto non esplicita decisione di non coinvolgere altri nomi e di presentare al pubblico gli ScreaMachine al 100% delle proprie forze.
Si è trattato di un passo necessario che segue l’evoluzione della band – ora siamo molto più consci del sound prescelto e ci conosciamo meglio fra di noi – nonché una decisione ineludibile per evitare di essere identificati con una caratteristica, la presenza di ospiti, che alla lunga avrebbe potuto rappresentare una forzatura per la band. Personalmente adoro avere degli ospiti su un disco, perché è un modo meraviglioso con il quale un terzo aggiunge parte della sua anima alla mia musica e lascia così una &firma destinata ad arricchire una partitura che non la prevedeva, ma è anche giusto che queste partecipazioni avvengano in maniera spontanea e quando il brano lo necessita.
Qui arriviamo al discorso di “The Epic of Defeat”, un pezzo piuttosto lungo che ho interamente scritto al fine di celebrare la mia passione per le sonorità più epiche del metallo, tenendo bene a mente la lezione di band come Bathory, Falkenbach, Manowar, Manilla Road ed anche tutto il filone pagan metal. Di certo si tratta di un brano particolare, per quanto non troppo sorprendente se si considera il mio passato, che sposta un po’ le coordinate sulle quali finora si è mosso ScreaMachine, e che necessitava della presenza di un interprete straordinario per raggiungere quanto mi ero prefisso.
Io e Davide ci conosciamo da oltre venti anni, abbiamo suonato numerose volte insieme e, nei primi anni del nuovo millennio, ho anche preso parte al suo side project Leprechaun. L’ho sempre considerato come un caro amico ed un musicista unico, senza nulla togliere a tutti gli incredibili artisti con cui ho collaborato nel corso degli anni, e ciò che mi colpì ai tempi dei Leprechaun era la forte sintonia che si venne immediatamente a creare nonostante il poco tempo passato insieme a jammare. Ho sempre seguito con ammirazione il suo lavoro con gli Elvenking e lui ha dimostrato in più occasioni un grande apprezzamento per Stormlord, e questo ci ha spesso portato a prometterci che, prima o poi, avremmo fatto qualcosa insieme. Purtroppo la lontananza geografica e gli impegni di entrambi hanno sempre impedito di concretizzare questo proposito.
Poi un giorno ho composto “The Epic of Defeat” ed ascoltando il break centrale di chitarra dal sapore epico e pagano, ho capito che il momento era arrivato. Peraltro è la stessa cosa che gli ho scritto su whatsapp ed a cui ho ricevuto un caloroso riscontro, nonostante Davide abbia limitato moltissimo le sue apparizioni su altri progetti e pur essendo in quei giorni impegnato nelle registrazioni del nuovo, meraviglioso, disco degli Elvenking, da poco pubblicato.
Credo che il risultato parli da sè e, personalmente, rappresenta un bel momento di condivisione con un amico.

The Crimson Legacy mi pare un ottimo pezzo d’apertura mentre abbiamo apprezzato parecchio anche Night Asylum. Cosa ci racconti su queste due canzoni?

Ti ringrazio per i complimenti. “The Crimson legacy” è stata scritta da Paolo Campitelli ed è nata singolo. Sin dai primi demo del pezzo sapevamo Crimson  sarebbe stato il brano del nostro ritorno perché aveva tutte le caratteristiche richieste: l’energia per prendere a schiaffoni l’ascoltatore, un solo micidiale, un refrain che si stampa in testa e non ne esce più ed una durata abbastanza breve, fatta apposta per colpire e fuggire. Tuttora la trovo una scelta estremamente valida, premiata peraltro dalla ricezione del pubblico, ed immagino che rappresenterà uno dei momenti più caldi dei nostri futuri concerti.
“Night Asylum”, invece, è il mio gioiellino e nasce, sostanzialmente, dal riff principale e dalla volontà di far emergere il lato più hard rock del sound ScreaMachine, un po’ com’;era accaduto per “Mistress of Disaster” sul debutto. La mia idea era quella di spaziare dai Dokken agli Accept, bilanciando un bel riffing granitico con un refrain estremamente melodico ed uno special da pugno alzato e polmoni capienti. Spero di esserci riuscito, io lo ritengo uno degli episodi più riusciti del disco e sembra che anche i numeri dello streaming, al momento ‘unico indicatore che ho, siano d’accordo con me.

Su Flag Of Damnation e Occam’s Failure abbiamo trovato che giochiate la carta dell’epicità…sbaglio?

Beh, non potrebbe essere altro. L’amore per l’HM tradizionale, secondo me, non può prescindere dall’apprezzare un certo tipo di atmosfere eroiche che fanno parte del nostro DNA musicale, ed in particolare del mio.
“Flag Of Damnation” è un bel pezzo scritto da Paolo che coniuga atmosfere alla Manowar con una certa oscurità non lontana dai Candlemass di Messiah, il tutto impreziosito dalle linee melodiche scritte da Valerio Caricchio (cantante), che nel pre-coro trovo addirittura straordinarie. Non è un brano particolarmente immediato ma credo che cresca molto con gli ascolti, la stessa cosa che posso dire della mia “Occam’s Failure”, dove ho cercato di far coesistere gli Iron Maiden più crepuscolari, i Judas Priest e persino i Savatage.
Si tratta di uno dei brani che abbiamo arrangiato meglio e, pur non trattandosi di progressive, sono veramente tante le sfumature e gli spunti che abbiamo nascosto all’interno delle varie partiture e che, ancora una volta, sono destinate ad essere scoperte solo all’esito di un ascolto approfondito.

In Pest Case Scenario abbiamo avuto la sensazione che parlaste della pandemia di COVID 19, è così?

Io pensavo di sì, anche perché gran parte del disco è stato concepito in piena pandemia, ma sono stato prontamente smentito da Valerio, il nostro poeta, il quale mi ha spiegato che in realtà l’argomento è diverso e più ampio.
Considerando il suo modus operandi, Valerio è partito prima dal titolo, questo particolare gioco di parole, e da lì si è fatto guidare nella descrizione delle reazioni che gli esseri umani hanno nei confronti di eventi straordinari e che, in generale, vanno al di là della loro comprensione e che ne rivelando gli istinti più nascosti, sia come individui e come collettività.

Stando alle note di presentazione di Church Of The Scream il vostro suono viene definito come heavy metal tradizionale mescolato con una produzione e una scrittura moderne. A questo proposito vi inserite nella NWOTHM oppure sentite di appartenere ad un filone più moderno?

Colgo l’occasione per ribadire un argomento a cui tengo molto: pur avendo delle chiare influenze ancorate ai nomi che abbiamo già citato più volte, ScreaMachine non è una tribute band che vuole limitarsi ad una semplice riproposizione di un sound vintage. Al contrario, il progetto è orientato a filtrare queste influenze in una chiave moderna e, soprattutto, contraddistinta da una personalità definita.
Lo stesso vale per il songwriting: se le linee guida sono chiare e piuttosto tradizionali, non è detto che le influenze non possano oscillare da uno stile all’altro, attingendo costantemente dall’esperienza musicale che ci portiamo dietro.
In breve, noi cerchiamo di portare un sound anni ’80 nel nuovo millennio, sia accontentando coloro i quali sentono la mancanza di una band dedita ad un metal più classico, mi viene da dire quasi un archetipo, che non debba essere descritto con due righe di aggettivi per essere compreso, sia rendendo digeribile questo genere anche alle nuove generazioni. Siamo pieni di capolavori scritti negli anni ’80, che rispecchiano perfettamente gli anni in cui sono stati creati, non è nostro compiuto replicarli pedissequamente ma, nel nostro piccolo, provare a dargli un seguito.

Immagino pianificherete una serie di concerti…

Immagini bene, non ti metti a suonare questo genere se non hai il desiderio di mettere a ferro e fuoco il palco. Entro qualche settimana avremo una prima data a Roma, mentre da settembre inizieremo a pianificare un attività più estesa in tutta Italia, sperando che la situazione si trasformi in un circolo virtuoso e che ogni città possa avere il suo pezzo di ScreaMachine da assaggiare.

Cosa intendete con La Chiesa dell’Urlo citata nel titolo?

Il titolo mi è venuto di getto, senza particolari significati nascosti e basandomi sull'assonanza al nome della band. Successivamente, quando ho concepito l’idea per l’artwork, poi sviluppata in maniera eccellente da Stan W Decker, i vari mattoncini si sono incastrati ed il titolo si è dimostrato perfetto per il disco. Come facciamo sin dall’inizio, amiamo giocare con i clichè del metal, stando sempre attenti a sorridere senza sconfinare nel grottesco o nel fortemente parodistico, dato che non sarebbero queste le nostre intenzioni. Quindi questa volta ho immaginato il nostro metal monster, già apparso sulla copertina del debutto omonimo, salire di livello, prendere i voti e diventare un implacabile prete del metallo che, da un altare fatto di casse di chitarra, arringa i fedeli istruendoli al culto del metallo. E dove poteva svolgersi questo rito dionisiaco, se non nella chiesa dell’urlo, laddove gli  urlatori  dai tempi di Celentano, Morandi, dei Beatles e degli Who, hanno sempre rappresentato il terrore del sistema costituito e la gioia di ogni ribelle?

Voi tutti, più o meno, avete militato in diversi gruppi di una certa notorietà. Gli ScreaMachine sono da intendere come un insieme di tutte le vostre esperienze oppure come un tentativo di staccare la spina per dedicarsi a qualcosa di diverso?

In quanto artisti, credo che ogni esperienza che abbiamo passato nella nostra vita, sia musicale che non, abbia contributo in una certa maniera a plasmare la nostra proposta. Non siamo scrittori di musica per professione, non abbiamo questa capacità di astrarci da ciò che produciamo: in un senso o nell&’altro, ciò che sentite è sempre parte di noi.
C’è poi la volontà di progredire, di tentare nuove strade, di confrontarci con approcci differenti (anche per non rischiare di rimanere bloccati una noiosa confort zone), e questo non vuol dire solo compiere chissà quale tipo di esperimento sonoro ma anche, nel mio caso, riprendere in mano le radici della mia passione per questa musica e filtrarle attraverso la mia esperienza, appunto, sino a renderle adatte ai tempi moderni.
Ma non esiste solo la sfida con noi stessi, ma anche quella con il nuovo pubblico di riferimento che, giustamente, è chiamato a giudicare la tua proposta ed a trovarla più o meno credibile, permettendoti di crescere ancora sia con i complimenti che con le critiche.

A fine anni 90 il metal italiano ha cominciato ad imporsi sul mercato estero, tanto che si è cominciato a
parlare di “scena italiana” anche al di fuori dai confini nazionali. Secondo voi questa scena può ritenersi ancora viva o negli anni si è affievolita?

La nostra scena è sempre stata molto interessante, penso a prime mover come Death SS, Necrodeath o Bulldozer che hanno influenzato parecchio la mia formazione musicale. E’ però solo negli anni ’90, grazie all’esplosione di Lacuna Coil e di Rhapsody, che all’estero hanno iniziato a non associarci più solo a pizza, mafia, mandolino, ma anche alle chitarre elettriche.
Da quei tempi pioneristici è passata molta acqua sotto i ponti e, grazie anche alla democratizzazione imposta da internet, capace di distribuire in tutto il mondo la musica facendo passare in secondo piano cliché come la provenienza nazionale, abbiamo oggi una scena molta forte e rispettata. L’ambito estremo è sicuramente il nostro fiore all’occhiello, penso in particolare a band come Fleshgod Apocalyse e tutta la fiorente scena death e black italiana che ormai ha colonizzato i tour di mezzo mondo, ma anche formazioni di diverso genere come i Destrage, i WindRose ed, ovviamente gli Elvenking fungono da eccellente presentazione di quella che è la scena del nostro paese. Certo, la scena italiana risente del campanilismo che è forte nel nostro DNA da secoli, quindi spesso e volentieri non viene vissuta a livello nazionale, ma rimane bloccata in una dimensione locale soffocata da
buffe faide di “quartiere”.
È mia impressione che le band che hanno raccolto di più, penso ancora una volta ai Fleshgod, siano state molto intelligenti a puntare su una visione generale, proiettandosi sul mercato estero e trattandolo alla stregua di quello italiano.

Rispetto ad anni fa oggi ci sono molte più possibilità per una band di pubblicare album, questo lo vedete come una cosa positiva o si rischia un inflazionamento del mercato musicale?

Dal punto di vista tecnico non posso non considerarlo una benedizione.
Registrai il mio primo album su ADAT, senza copia/incolla, e la quantità di tempo, di macchinari, di strutture necessarie per la produzione di un disco era spaventosa. Era veramente molto difficile arrivare al traguardo di un disco senza avere il supporto economico e gestionale di una label. Persino la semplice registrazione di un demo tape poneva più di un problema, soprattutto quando lo studio prescelto (magari l’unico disponibile nella propria area) non aveva alcuna esperienza con i suoni più duri. Negli ultimi anni, grazie al miglioramento della tecnologia, con un piccolo budget ho attrezzato il mio home studio casalingo ed ormai sono in grado di registrare, editare ed inviare il basso per il successivo reamp direttamente al fonico.
Lo stesso vale, in generale, per chitarre, tastiere e voce, mentre la batteria, per ovvi motivi fisici, rimane l’ultimo strumento legato ad una sala regia (quando non si opta direttamente per una batteria finta).
Il risparmio di tempo e soldi è palese, anche se spesso viene a mancare la figura del produttore, che oltre a registrare materialmente la performance, spesso ha anche un ruolo di produttore artistico ed è in grado di guidare la band facendo sì che la loro musica esprima a pieno il nostro potenziale.
Dal nostro punto di vista siamo fortunati perché Paolo Campitelli (chitarrista) si occupa dell’intero processo di registrazione, mix e master dell’album, mentre dal punto di vista artistico lavoriamo fianco a fianco forti della nostra esperienza nel campo, che va avanti da un bel po’.
Se poi la tua domanda riguarda l’immensa mole di musica disponibile per gli ascoltatori, questo rappresenta sicuramente un problema per ciò che riguarda la fruizione di tutto quel materiale in contrapposizione col nostro tempo, che rimane limitato a 24 ore al giorno.
Il rischio, più che concreto, è che l’ascoltatore, travolto da un flusso interminabile di brani proposti da un algoritmo che continua a riproporgli suoni attinenti alla sua confort zone musicale, non riesca ad approfondire il materiale nuovo e finisca costantemente per rifugiarsi in quelle quattro/cinque certezze che rappresentano le sue radici (Metallica, Iron Maiden, Pantera etc.) dimenticandosi velocemente di proposte anche interessanti in quanto non ancorate ad un formato fisico destinato a rimanere.
Il lato positivo c’è e sarebbe stupido negarlo: se prima la sfida era riuscire ad esportare il proprio demo tape al di fuori del quartiere, e con grande sforzo persino in altre città, ora con una buona indicizzazione, qualche promo e magari un bel video ad alto tasso di viralità, la tua musica può essere istantaneamente conosciuta anche dall’altra parte del mondo, dando vita ad assembramenti di fan in paesi che non avevi mai sentito nominare prima.

Francesco lascio a te la conclusione. In bocca al lupo per tutto e a presto!!!

Ti ringrazio per averci dato spazio sulle pagine di truemetal.it e per aver dimostrato la volontà di approfondire anche le band giunte da poco sulla scena, oltre ad i grandi nomi che sicuramente garantiscono più interesse. Ora speriamo che i vostri lettori vogliano cogliere la palla al balzo e scoprire la musica di ScreaMachine (magari anche venirci a trovare sotto il palco), che potete trovare, insieme a tutte le necessarie informazioni ed al merchandising, seguendo questi link:

Official shop/merchandising: https://screamachine.bandcamp.com/
Official website: www.screamachineband.com 
Facebook: www.facebook.com/screamachineofficial   
Instagram: www.instagram.com/screamachineofficial
Youtube: https://bit.ly/screaMachine 
Spotify:https://open.spotify.com/artist/3UC4PvlXNFLopYPk6Ytxjq?si=DGDgGqZXSY2Q4TBVV6WYbg
Contatti: info@screamachineband.com

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Band: Screamachine
Genere: Heavy 
Anno: 2021
78