Report: Evolution 08 – Milano 12 luglio
Evolution 2008 – Idroscalo, Milano (12/07/08)
L’Evolution Festival si conferma, ormai già da alcuni anni, come uno degli eventi potenzialmente più interessanti tra i grandi festival estivi della nostra penisola. E anche quest’anno sulla carta si presenta benissimo, grazie al la grande qualità delle band presenti. Il bill della giornata di sabato comprende infatti gruppi appartenenti ai generi e ai contesti più disparati, accomunati però da un livello qualitativo medio di assoluto rispetto. Gruppi storici come i Black/thrashers nostrani Necrodeath o gli americani Death Angel accanto ad alcune tra le band più brillanti e originali dell’ultimo decennio come Pain of Salvation e Opeth e a formazioni dal grande appeal quali Gamma Ray e gli headliner In Flames, con il valore aggiunto di una vera chicca quale i Novembre.
Insomma, un biglietto da visita non di poco conto. A ciò si aggiunga che la località scelta per ospitare il festival, ovvero l’Idroscalo di Milano, è un luogo indubbiamente abbastanza confortevole, soprattutto grazie alla discreta presenza di zone d’ombra, anche se purtroppo per ragioni a me ignote è saltata la possibilità di campeggio, con conseguente necessità per molti degli intervenuti di piazzare le proprie tende alla bell’e meglio nel parcheggio. Anche il personale addetto alla security si è dimostrato sufficientemente tollerante e alla mano, senza cadere in certi eccessi di rigore a cui spesso si assiste in queste occasioni. una nota di merito va anche ai prezzi, tutto sommato onesti, soprattutto se confrontati con quelli, ben più alti, visti al Gods of Metal di quest’anno. Eppure, a dispetto delle tante buone ragioni per non perdersi questo concerto, l’affluenza di pubblico è stata tutto sommato scarsina.
Probabilmente la vicinanza temporale con il succitato Gods of Metal e con il concerto dei Metallica a Bologna avrà costretto molti metallari volonterosi ma poco danarosi a delle difficili rinunce. A ciò si aggiunga che le previsioni metereologiche erano state lapidarie nel decretare l’arrivo della pioggia entro il pomeriggio. In realtà il tempo si è mantenuto veramente molto buono per quasi tutta la giornata, gratificandoci con un bel sole attraversato di quando in quando da qualche nuvola, e con un clima tutt’altro che afoso, specie se paragonato a certe recenti esperienze bolognesi. Eppure, quando tutti ormai ci illudevamo che il pericolo pioggia fosse scongiurato, ecco avverarsi implacabilmente le suddette previsioni. Verso le nove e mezza di sera, dal cielo che durante il concerto degli Opeth aveva continuato a rannuvolarsi sempre più (con tanto di lampi enormi e ben poco rassicuranti), è calato un diluvio fortissimo, accompagnato dalla caduta di chicchi di grandine le cui dimensioni variavano da quelle di una grossa ciliegia a quelle di una grossa albicocca (veramente grossi, insomma!). La tempesta è durata poco, svanendo rapidamente com’era venuta. Purtroppo i danni inferti alle apparecchiature sono stati decisivi e, dopo ogni possibile tentativo, verso le dieci è stata annunciata la temuta e ferale notizia che gli In Flames non avrebbero suonato. Somma delusione per la maggior parte dei presenti, ma che non inficia comunque il grandissimo valore di questa giornata a dir poco riuscitissima.
IDOLS ARE DEAD
(A cura di Nicola Furlan)
La seconda giornata dell’Evolution Festival si apre con gli Idols Are Dead, gruppo italiano fresco dell’esordio discografico “Mean”, uscito di recente via Scarlet Records. Il combo bolognese propone un valido thrash metal arricchito da strutture heavy melodico. Dal punto di vista musicale quindi nulla di nuovo, specie alla luce del confronto con la maggior parte delle band che, attualmente, hanno orientato il gusto compositivo nella stessa direzione.
Nota di merito per il cantante Mana, dotato del giusto piglio per intrattenere il pubblico presente e capace di scatenare, già a buon ora, un infuocato circle pit. Partciolarmente riuscita l’esecuzione di Let’s Do It e Proud To Be Sick, brani contenuti nel succitato esordio. Mediocre invece la proposizione live della cover di It’s So Easy dei Guns ‘n’ Roses. La carica eplosiva dei brani precedenti è stata smorzata a causa del riadattamento di un brano che poco si è sposato con il flavour street dell’estratto da “Appetite for Destruction”. Capitolo cover a parte, comunque, c’è da dire che la band si è ben comportata on-stage, ma ancora più è riuscita coinvolgere i presenti con la propria musica. E siamo appena agli esordi. Bravi.
NECRODEATH
(A cura di Pier Tomasinsig)
La solita inquietante intro di carillon apre l’esibizione dei nostrani Necrodeath, band di culto della scena thrash black che ho già avuto modo di apprezzare dal vivo in più occasioni. Le aspettative da parte mia erano perciò pittosto alte, e sono lieto di poter dire che non sono andate deluse. Appena l’intro atmosferica sfocia nella violenza della prima traccia, i nostri mettono subito in chiaro il piglio determinato e aggressivo con cui intendono affrontare il concerto. Riff serrati e potenti, assoli inquietanti e atmosfere oscure la fanno da padrone, mentre Flegias tiene il palco con il carisma e l’esperienza di chi ha scritto pagine importanti nella storia del thrash più oscuro e maligno.
I suoni sono adeguati, pur se non pulitissimi, anche se il volume della voce è forse un po’ basso. Il “nuovo acquisto” Maxx macina riff su riff con assoluta perizia, supportato dall’ottimo lavoro al basso di John e dalla prestazione precisa e terremotante di Peso, a dir poco una garanzia. La scaletta come sempre è ben equilibrata, passando da classici come Necrosadist e Mater Tenebrarum ai pezzi più recenti come Smell of Blood senza che si avverta alcuna disomogeneità. I pezzi da “Draculea” in particolare si integrano perfettamente e dal vivo guadagnano notevole impatto. Tra i soliti intermezzi atmosferici in sample, parti rallentate cupe ed evocative e devastanti sfuriate all’insegna del thrash di vecchia scuola si giunge alla conclusione di un concerto compatto e adrenalinico, cui il pubblico ha risposto con calore, concedendosi anche la giusta dose di pogo sotto il palco. I Necrodeath sono garanzia di esperienza e qualità, e ancora una volta non deludono e sfornano una prestazione massiccia, decisa e convincente.
NOVEMBRE
(A cura di Pier Tomasinsig)
Mezz’oretta di cambio palco durante il quale approfittare per dissetarsi con qualche birra prima che inizi lo show dei Novembre. La band capitolina è oramai da molti anni un vero e propio fiore all’occhiello della scena italiana, oltre che il gruppo gothic metal più rappresentativo in assoluto del nostro paese (e non solo). L’occasione di goderseli dal vivo è perciò accolta con notevole interesse e aspettativa dal pubblico presente all’idroscalo, tanto è vero che sotto al palco inizia ad ammassarsi una discreta folla, tra fan sfegatati, estimatori e semplici curiosi attirati dalla fama che i Novembre sembrano riuscire ad incrementare (meritatamente) album dopo album.
Si parte sulle note del recente “The Blue” con Anaemia e Triesteitaliana: i Novembre paiono da subito affiatati e in buono stato di forma, l’esecuzione è efficace e piuttosto accurata, supportata da suoni più che passabili, anche se un po’ troppo distorti per i miei gusti, trattandosi di una proposta musicale che fa dell’eleganza e della pulizia del suono un elemento di non trascurabile importanza. Carmelo Orlando ci regala una prestazione calda e senz’altro emotivamente coinvolgente, ma penalizzata dal fatto che la voce non si sente a dovere, a scapito soprattutto delle parti in clean, mentre i passaggi in scream risultano quelli tutto sommato più convincenti.
Il pubblico è attento, ma inizialmente lento a lasciarsi coinvolgere, almeno fino al classico Cold Blue Steel, a partire dal quale la partecipazione si fa gradualmente sempre più entusiasta. Si prosegue con Bluecracy, Nostalgiaplatz e il medley Come Pierrot/Everasia, tra passaggi sognanti e malinconici e parti più veloci ed aggressive in cui i laziali sembrano dare il meglio dal vivo. In effetti, e nonostante i nostri si confermino ancora una volta molto bravi, non riesco a togliermi dalla mente l’impressione che i Novembre non riescano in sede live ad esprimere il loro meglio, o, più precisamente, che non riescano a valorizzare allo stesso modo tutte le componenti della loro musica, in particolare quella più introspettiva ed emozionale. l’impressione è che i pezzi eseguiti ne guadagnino sotto il profilo della potenza, ma a parziale scapito di quelle atmosfere delicate e malinconiche che sono parte determinante del sound dei Novembre così come abbiamo imparato a conoscerlo. Probabilmente è il contesto di un festival all’aperto in pieno giorno a non essere perfettamente congeniale ai nostri, che reputo più adatti ad esibirsi in ambienti più intimi e meno solari. Ciò non toglie che sia stato un concerto comunque appagante, con la piccola sorpresa (da parte mia) dell’inusuale inserimento in scaletta della splendida Love Story, pezzo tratto da “Classica” che non avevo ancora avuto il piacere di apprezzare dal vivo. Attendo con ansia di rivederli, magari in un contesto più appropriato alle loro caratteristiche.
PAIN OF SALVATION
(A cura di Nicola Furlan)
Difficile criticare concerti di band come Pain of Salvation. Tecnicamente superiori, dotati di un gusto musicale fuori dal comune, coraggiosi nella composizione di un disco tanto controverso quanto efficace come “Scarsick”, i cinque svedesi hanno fatto ancora una volta centro. Prestazione con la P maiuscola quindi, a eccezione di una setlist forse un pò troppo scarna di masterpiece (e questa band di colpi da sparare ne ha tantissimi). Non che brani come Falling, The Perfect Elements, Ashes, America o Disco Queen siano scarti, ma più di qualcuno avrebbe forse gradito un paio di gioelli tratti da “Remedy Lane” quali ad esempio This Heart of Mine (I Pledge) o Second Love. Piacevolissime invece le esecuzioni dei ‘datati’ Nightmist e Inside, piccole gemme dei primi due full-length che, nel contesto variegato di scaletta, hanno donato un tocco vintage all’esibizione.
Sia ben inteso: il gruppo ha suonato davvero bene e Daniel Gildenlöw ha, come suo solito, impartito la lezione di bravura ai presenti. La sua teatralità, e l’altrettanta capacità vocale, ha ancora una volta contraddistinto lo spiccato talento del valente cantante chitarrista. Promozione a pieni voti anche per Johan Hallgren e compagni autori d’una esecuzione musicale brillante. Il tutto supportato da un lavoro fonico di rispetto.
DEATH ANGEL
(A cura di Nicola Furlan)
Caro e vecchio thrash bay area… Sono tante le band che hanno lasciato il segno nella storia, la maggior parte delle quali non ha ancora oggi perso il proprio smalto quando calca i palchi. Lo abbiamo visto di recente con i Sacred Reich, con i Forbidden, con gli Exodus, con i Mortal Sin, con gli Overkill e chi più ne ha più ne metta.
Questi ultimi anni hanno visto tanta carne al fuoco in ambito thrash, sia per quanto concerne l’aspetto produttivo degli studio album, sia per l’immutata energia che questi mostri sacri sanno ancora proporre in sede live. E i Death Angel non fanno eccezione.
Tornati sulle scene all’inizio del nuovo millennio dopo un periodo sabbatico durato ben 14 anni, i cinque californiani si presentano on-stage ancor più coinvolgenti ed energici di quanto lo fossero nell’occasione che li vide suonare all’Evolution del 2006 in quel di Toscolano Maderno.
La partecipazione allo show è tale che brani come Lord of Hate, Sonic Beatdown, Dethroned, The Devil Incarnate, Evil Priest, Voracious Souls, When Worlds Collide, Devil Incarnate e la conclusiva Thrown To The Wolves, sembrano costituire una vera e propria macchina del tempo per i presenti catapultati direttamente all’era più giovanile di Mark Osegueda & Co. Dennis Pepa ha saltato da una parte all’altra del palco come un grillo, Aguilar e Cavestany sono stati un continuo interagire tra sezioni ritmiche fulminee e soli perfettamente eseguiti. Il tutto è stato ben consolidato dall’immancabile stile di Andy Galeon, vera macchina da guerra dietro le pelli. Concerto spettacolare.
GAMMA RAY
(A cura di Pier Tomasinsig)
Dopo la fulminante esibizione dei Death Angel è tempo per ogni fan del power di qualità che si rispetti di assistere all’ennesima calata italica dei Gamma Ray, indiscussi maestri teutonici del genere. A dispetto delle mie personali preferenze musicali, che viaggiano in direzioni un tantino diverse, devo riconoscere che è sempre un piacere sentire dal vivo un gruppo con tanto affiatamento, esperienza e sana voglia di divertire (e, perchè no, divertirsi) come il combo capitanato dal vecchio marpione Kai Hansen. Tutto infatti si può dire dei Gamma Ray, tranne che non sappiano come gestire la dimensione live, come hanno confermato anche stasera rendendosi protagonisti di uno show vivace, allegro ed energico.
Le proverbiali danze si aprono, com’era prevedibile, con un pezzo dal nuovo album, il controverso “Land of The Free II”, ovvero In To The Storm. Notiamo subito che i suoni sono puliti, corposi e potenti, degni di un gruppo di questa caratura; l’esecuzione è più che convincente, precisa e disinvolta. I Gamma Ray suonano compatti e affiatati, da macchina da live ben rodata quale sono, e il pubblico reagisce bene, cantando i cori e partecipando con entusiasmo. Si passa senza soluzione di continuità ad Heaven Can Wait e al classico Helloweeniano I Want Out, che riscuote i prevedibili consensi da parte di tutti i fan, sia di nuova che di vecchia data. Personalmente posso solo dire che preferisco di gran lunga la versione proposta da Hansen piuttosto che quella degli Helloween con Deris. Al termine di questo trittico iniziale al fulmicotone i Gamma Ray si concedono un breve momento di respiro, nel quale Hansen approfitta per lamentarsi (scherzosamente) del caldo eccessivo: mi chiedo cosa ne abbiano pensato tutti quelli che, come me, sono stati al Gods di Bologna solo due settimane fa!
La prima parte della scaletta, a parte I Want Out e una veloce capatina su “No World Order”, dal quale è tratta la quasi-title track New World Order, è prevalentemente incentrata sui pezzi dal nuovo album, come Real World, che dal vivo a dire il vero funzionano in modo più che onesto. Verso metà del concerto finalmente si inizia a fare sul serio con la splendida Rebellion in Dreamland (unica concessione all’album “Land of The Free”), cantata da Hansen a mio avviso in modo non ottimale e per di più tagliata all’altezza del secondo assolo: peccato. Da qui in poi però è tutto un succedersi di classici pezzi live del gruppo tedesco, a partire da Heavy Metal Universe, tanto trita e banalotta quanto ancora apprezzata (a mio avviso inspiegabilmente) da gran parte dei fan, anche se come al solito i Gamma Ray non possono fare a meno di prolungarla a dismisura fino a renderla veramente estenuante. Tempo che avrebbe potuto essere speso meglio? C’è da dire però che il poker finale è stato scelto in compenso con molta cura ed è stato indubbiamente di grande effetto: un accenno alla melodia portante di Gorgar sfocia nella sempre emozionante Ride The Sky, che ci riporta ai bei tempi di “Walls of Jericho” prima delle acclamatissime Somewhere Out In Space, Valley Of The Kings e Send Me A Sign. Scaletta nel complesso incentrata sui dischi relativamente recenti, a parte il penultimo “Majestic” che è stato saltato dai tedeschi a piè pari.Che dire, possano piacere o meno i Gamma Ray si sono esibiti in una gran bella performance, Henjo Richter in particolare, e, anche se Hansen non sempre è stato impeccabile nel cantato, hanno dato vita ad oltre un ora di metal orecchiabile, divertente e spensierato, che non ha mancato di riscontrare il giusto apprezzamento da parte dei numerosi fan.
OPETH
(A cura di Nicola Furlan)
Immensi. Mikael Åkerfeldt e soci hanno suonato ancora una volta in maniera straordinaria. Nemmeno una settimana è passata dalla mediocre serata slovena del MetalCamp (nell’occasione poco protagonisti dato il debilitante post-convalescenza del frontman) che già si è tornati a livelli eccellenti. Standard ormai scontati per questa realtà musicale svedese che si attesta, al momento, come una delle più significative dell’intero panorama musicale estremo mondiale.
La setlist programmata per questa serata milanese accontenta un pò tutti. Dai pezzi più tirati e violenti, a quelli progressive, fino alla particolare introspettività della canzone tratta da “Damnation”. Grandi canzoni quindi. Difficile forse pensare a qualcosa di diverso dato il parco brani da cui poter pescare.
Apre Demon of the Fall, si passa attraverso proposte più prfonde e delicate come To Rid the Disease, toccando i momenti del profondo e violento oscuro della novizia Heir Apparent, per chiudere in bellezza sulle note del capolavoro estratto da “Blackwater Park” ovvero The Drapery Falls. Tutto fila liscio, siparietti di Mikael compresi.
Nella sfortuna di una serata che da lì a poco avrebbe riversato sull’idroscalo una vera bufera di grandine (chicchi grossi come pesche!), ad arricchire l’esibizione ci pensa l’inquitante cornice serale d’un cielo scatenato di fulmini e tinto di giallastro scuro. Magia fino all’ultimo secondo.
Setlist:
Demon of the Fall, The Baying of the Hounds, Master’s Apprentices, To Rid the Disease, Wreath, Heir Apparent, The Drapery Falls
IN FLAMES
– Concerto annullato causa maltempo. Clicca qui per il comunicato dell’organizzazione –