Recensione: Anti

Di Tiziano Marasco - 24 Marzo 2021 - 11:00
Anti
Band: White Void
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Heavy 
Anno: 2021
Nazione:
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78

Se in un qualsiasi disco ci sbatti la voce di Lars Nedland, questo avrà un vago sapore futurista. A parte quello degli Ásmegin, per ovvi motivi. Di contro, dischi in cui quella di Nedland è l’unica voce, fino a quest’anno, ne esisteva solo uno. Quello degli Age of Silence. Quest’anno però è uscito “Anti”, opera prima dei White Void. Disco parecchio particolare. Non solo perché è il secondo disco con Nedland come “voce unica” ma perché è il primo completamente scritto dallo stesso Nedland. Un artista che, di suo, in quanto a produzione, è sempre stato parco. Qualcosina per i Solefald a contorno del lavoro del mastermind Cornelius Von Jakhelln, e di norma una song ad album per i Borknagar.

Qua no, “Anti” è un disco tutto suo di una band che lui ha fondato cercandosi gli strumentisti. Strumentisti di riguardo peraltro, visto che, parlando di loro, il nostro ha detto di essere “di gran lunga il peggiore dei quattro”. E butta via.

Ma non basta. Questa formazione infatti non viene, come sarebbe lecito aspettarsi, dal mondo del black norvegese (se escludiamo Tobias Solbakk, batterista di Ihsahn), ma del blues e del rock’n’roll. E in effetti questa cosa in “Anti” si sente dal primo all’ultimo secondo.

“Anti” è infatti uno strano disco di rock e hard rock. È infatti composto a partire dalle chitarre. Ed è una cosa atipica venendo da un musicista che di professione è addetto alle tastiere e, per sua ammissione, è un pessimo chitarrista. Ad ogni modo, ci troviamo davanti ad otto tracce che mettono sul piatto un sound un po’ duro, classico e futurista allo stesso tempo.

Lo avevamo già intuito piuttosto bene già con due dei singoli apripista: “Do.not.sleep”, che alleggerisce di molto l’ultimo dei Borknagar (e anticipa alla grande cosa aspettarsi da tutto il platter), e “There is no Freedom but the End”, con i suoi marcati riferimenti al punk new wave degli anni ’80.

Per il resto, e a dispetto della matrice rock, i primi due nomi che vengono in mente all’ascolto sono ovviamente quelli degli ultimi Borknagar e dei Solefald. Questo perché si tratta di due band che sono state pesantemente caratterizzate dalle clean vocals di Lazare, intrecciate spesso in cori maestosi che non mancano nemmeno su “Anti”. Ma anche dalle tastiere, che pure sono presenti lungo tutto il disco. Lo si sente benissimo in “Where You Go, You’ll Bring Nothing”, sorta di ballata decadente che mischia alla grande i cori malinconici, le basi rocciose e riff propri del blues. Lo si nota anche in “This Apocalypse Is For You”, che pure di suo sarebbe un pezzo di r’n’r quasi classico.

Ma in effetti in quest’album c’è molto di più. I riff blues e la new wave non compaiono solo in episodi sporadici e, più che risultare dispersivi, danno profondità al disco e ne aumentano il senso di particolarità.

Vertice del disco è poi “The fucking Violence of Love” che nei suoi minuti riesce a fondere quanto detto sopra e sposarlo a una strofa che entra subito in testa (what can you tell’em? HEY!). In coda c’è ancora spazio per il pezzo più sperimentale del disco, “The Air was thick with Smoke”. Praticamente uno strano incrocio tra prog anni ’70 e Borknagar più melodici, anche se in questo caso la combo non è proprio riuscitissima.

Che dire dunque? “Anti” è forse un disco estemporaneo, dettato dalle necessità del suo creatore di riordinare le proprie idee in un 2020 che è stato difficile per tutti. Ma anche, forse, dalla noia dovuta al proditorio silenzio della sua band principe (i Solefald). A scanso di equivoci però, lo stesso Nedland ha dichiarato di voler dare continuità al progetto White Void, oltre che di considerarla una band vera e propria. Se così fosse, “Anti” sarebbe un ottimo debutto. Un disco che mischia classicità rock e contaminazione diffusa nel pieno stile della mente che lo ha concepito. Un disco più che singolare, a cui, a questo punto, speriamo facciano seguito ulteriori prove.

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