Recensione: Tales from the Brave Lands

Di Elisa Tonini - 11 Aprile 2020 - 0:20

Il medioevo e le sue innumerevoli suggestioni arcane continuano ad ispirare con tutto il loro mistero, dal sacro al profano, un mondo musicale vastissimo. I Corte di Lunas, nati in Friuli Venezia Giulia nel 2009, propongono un genere da loro definito Renaissance Celtic Folk Rock, istintivamente quasi sul filone dei Blackmore’s Night. Molto derivativi in tal senso erano i brani “The Moon” e la title-track del terzo album, tuttavia si intravedeva un potenziale distintivo. L’EP “The Journey” sperimenta una soluzione più particolare e, con l’intento di riscoprire le origini e le tradizioni della propria terra, nasce nel 2020 il quarto album “Tales from the Brave Lands”.

La nuova opera è un concept album ispirato alle leggende della regione d’appartenenza dei Corte di Lunas, tematiche che si legano ad un sound orecchiabile ma assai ricco e sofisticato. I brani, perlopiù di media durata fondono essenzialmente musica popolare celtica, tribale, medievale, sonorità rinascimentali con pulsanti ritmiche e strutture hard rock ma anche prog-rock. Il notevole numero di strumenti e cori tradizionali pone fortemente l’accento su note acustiche, le quali descrivono con epica efficacia l’aspetto senza tempo delle loro storie, immerse nella natura, tra gli esseri immaginari e non, tra mito e realtà. Il cantato, basato su testi in inglese, italiano e friulano è affidato a Jo, voce femminile a volte accostabile ad Andrea Corr (The Corrs), Dolores O’Riordan e Dido ma in realtà dotata di una personalità ben distinguibile. La sua potenza, il suo timbro azzeccatissimo nel contesto sonoro, amplifica da un lato un’irrefrenabile tensione vitale d’all’altro un’amabile senso pop delle tracce.
I brani “Eolo II” e “The Castle of Gemona” in questo senso potrebbero essere definiti i pezzi più pop del disco, con una distinzione. Il primo -già presente nel precedente EP- brilla per un’immediatezza vivace ed ariosa, la cui rockeggiante rusticità è perfettamente evidenziata dalla ghironda. Questa, per certi versi pare aver il compito – in generale – di “doppiare” le chitarre, rivestendole di una rurale ed antica patina. “The Castle of Gemona” fa invece leva su un efficace pop marziale, mentre le chitarre accompagnano il brano un po’ in sordina.
L’ottima “Vida”, di contro, più di tutti gli undici pezzi del disco si appoggia agli strumenti elettrici, risultando il brano più moderno del lotto. E’ magnetica la sua esplosività quasi concentrica, vorticosa di stampo Led Zeppelin ed è avvincente il suo vittorioso refrain.
Ad alto voltaggio turbinante sono pure “Orcolat” e “Scjaraçule Maraçule”. Quest’ultima è un antico canto tradizionale del Friuli Venezia Giulia, intonato dalla gente per invocare la pioggia. Il motivo, già arrangiato da Angelo Branduardi nel suo “Ballo in Fa Diesis Minore”, conquista con il suo fare frizzante ma a suo modo austero e distinto. L'”Orcolat”- già caro ai Kanseil– si tramuta qui in un brano seducente, compatto e trascinatore, come i sentimenti infranti ed ossessivi dell’omonima fantasiosa creatura. L’apocalittico coro in friulano dall’aria medievale sembra rammentare il terremoto del 1976.
“The Devil’s Bridge” d’altro canto ammalia per una struttura più irregolare ma comunque dotata di un equilibrato connubio tra elementi hard-rock e pop acustico. L’appassionante duettare tra Lorenzo “Lore” Marchesi (Folkstone) e Jo contribuisce a creare nel pezzo un’incisiva implacabilità da una parte ed un’animo indifeso dall’altra.
Incanta un’inattesa carica risoluta, quasi furiosa nelle distese e sognanti “The Last of Sbilfs”,”I Tre Fradei” e “Rosander”. Gli assoli in stile Blackmore sono qui di pregevolissima fattura, specie ne “I Tre Fradei”, tra i punti più alti del disco. Nella stupenda “Rosander” la presenza dell’arpista Lucia Stone accentua sentimenti dolci e malinconici, acquosi ma decisi, a tratti quasi affini all’Alan Stivell più elettrico.
“La Dama Bianca” racchiude in una sede perlopiù tribale, rituale, una sorprendente divagazione prog-rock, costituita dal susseguirsi di botta e risposta tra batteria e chitarre.

Con “Tales from the Brave Lands” i Corte di Lunas ci propongono un album assolutamente gradevole nell’ascolto ma assai ricercato, colmo di dettagli da scoprire. Il tutto è incorniciato da un’ottima la produzione. Sicuramente c’è stato un’ulteriore studio del loro stile, diventato ben più personale (specie nel cantato in friulano). Si attendono sviluppi futuri. Un prodotto a suo modo trasversale nel “target” ascoltatore.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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