Recensione: The Direction Of Last Things

Di Gianluca Fontanesi - 13 Dicembre 2015 - 12:13
The Direction Of Last Things
Band: Intronaut
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2015
Nazione:
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85

Il disco che non ti aspetti, neanche lontanamente. Giunti alla quinta prova in studio, gli Intronaut ci offrono un album che definire solamente “bello” è riduttivo e anche fuorviante, specialmente in tempi in cui il bello viene erroneamente manipolato e distorto in favore di pregi ben più beceri. Gli Intronaut, dicevamo, band buona, a tratti buonissima ma mai considerabile in maniera eccellente o di un altro livello; un buon derivato post metal per appassionati ma nulla più. The Direction Of Last Things invece cambia totalmente le carte in tavola e pone la band di Los Angeles in grado di mandare a casa realtà piccole, medio – piccole, medie, grandi, grandicelle e anche titaniche. Nel momento in cui il progressive diventa regressive virando verso sonorità zuccherose e dall’emotività da 4 soldi, ci pensano gli Intronaut a sistemare cose, cosette e il concetto base di progressione che dovrebbe essere fulcro del genere. The Direction Of Last Things riesce nel difficilissimo compito di rimanere in equilibro sul filo che divide il baratro in 2 parti: la prima, hey guarda quanta tecnica sfoggio senza un filo logico e la seconda, hey siamo prog perché mischiamo 6-7 generi diversi ad minchiam. Nel momento in cui nessun tipo di vento riesce a staccarti da quel filo, ecco servito il picco di una carriera intera.

L’aria diversa in casa Intronaut si respira già dalla copertina e dall’artwork in generale; package riuscito ottimamente e che ben rappresenta la musica proposta. La pressione del tasto play, poi, catapulta in un mondo dal quale sarà molto difficile uscire; la band vira stilisticamente limando e riducendo le parti estreme in favore di un progressive a 360 gradi che sfoggia sfumature di grandissima ispirazione battuta dopo battuta. Le sette tracce che compongono l’opera non vanno descritte, faremmo loro quasi un torto, possiamo però dire in che maniera suonano senza dover per forza rovinare la sorpresa all’ascoltatore.

La proposta degli Intronaut è piuttosto eterogenea: può suonare post metal nelle parti più estreme (filone dei Neurosis e compagnia) per poi passare al jazz e alle poliritmie senza però suonare djent. Vi si possono trovare echi e contaminazioni di ogni tipo: dai Tool ai Meshuggah passando per i Mastodon per poi arrivare nei posti più impensabili. Vi è una grandissima cura e ricerca del suono, complice anche una produzione che definire perfetta è riduttivo; la resa è calda e accogliente e cattura il massimo da ogni momento suonato, si sente anche il basso! The Direction Of Last Things risulta maestro nella difficile arte dell’essere imprevedibili: spesso fonda le canzoni sui loop e i passaggi ipnotici, prepara il territorio creando aspettative nell’ascoltatore che vengono sempre smentite in favore di qualcosa d’altro sempre migliore. E’ questo il grande punto di forza dell’album, merce rara per non dire rarissima.

Un ambito in cui la band è migliorata in maniera esponenziale sono le voci, in particolar modo quelle pulite; ciò che nella maggior parte dei casi è un tallone d’Achille qui è un punto di forza in grado di dare parecchi valori aggiunti al disco. E’ tutto molto vario ma senza strafare, la tecnica viene sprizzata da tutti i pori ma mai ostentata, mai sbattuta in faccia, è un vedo non vedo che cattura l’ascoltatore e non lo lascia più andare.

Le parti di chitarra sono eclettiche e ben dosate; anche qui è stato fatto un lavoro magistrale sui puliti che si rivelano un altro punto di forza e dialogano in maniera eccellente coi distorti più gratuiti e brutali. Menzione particolare alla sezione ritmica e alla prestazione di Danny Walker alla batteria che è tra le migliori ascoltate in tutto il 2015, semplicemente pazzesca.

Un difetto che si può riscontrare, se di difetto parliamo, sta nel fatto che il disco è cantato poco, quindi potrebbe risultare ostico per chi cercasse qualcosa di semplice e facilmente assimilabile; i testi sono cortissimi e tutti aperti, quasi incompiuti. Regna un pessimismo generale e, soprattutto, incertezza, che forse è la parola che l’album comunica di più.

Detto questo, ci possiamo congedare consigliando caldamente l’acquisto a tutti gli amanti del progressive metal tecnico e fantasioso, anche se chiunque nell’ambiente dovrebbe dare un’opportunità a The Direction Of Last Things: un’opera stupefacente, pazzesca che, da parte di chi scrive, va nella top 3 dell’anno in corso direttamente e senza passare dal via.

Ciliegina sulla torta? Il mix del disco è ad opera di un certo Devin Townsend.

Imperdibile.

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