Recensione: The Phantom Agony

Di Mattia Di Lorenzo - 7 Agosto 2007 - 0:00
The Phantom Agony
Band: Epica
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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77

Una storia iniziata da poco, quella degli Epica, ma già grande.
La band di Simone Simons, talentuosa mezzosoprano, e del chitarrista Mark Jansen, sta conquistando anno dopo anno risultati sempre più sorprendenti, accompagnati da un crescente successo commerciale.
Nel 2005, a soli tre anni di distanza dal demo di esordio sotto il nome di “Sahara Dust”, gli Epica sono chiamati in causa nell’importante progetto di realizzazione della colonna sonora del film olandese “Joyride”, da cui traggono poi il cd strumentale “The Score – An Epic Journey”. Questo è già sicuramente un prestigioso punto d’arrivo, a cui si sommano la realizzazione di un dvd del 2004, “We will take you with us”, e dell’audiobook “The Road To Paradiso” del 2006. Considerato anche l’ampio numero di singoli pubblicati, non si può certo dire che gli olandesi non si stiano dando da fare! In un così gran numero di uscite, è un po’ sconcertante notare che i cd studio effettivi ad oggi sono solo due (in attesa del nuovissimo “The Divine Conspiracy” di prossima uscita). “The Phantom Agony”, del marzo 2003, è l’esordio ufficiale della band con il nome e la formazione attuale.

Ma che musica è quella degli Epica? La band suona un metal ibrido, nel tanto discusso filone che ha portato al successo band come Nightwish, Within Temptation ed Evanescence. Il cantato di Simone è lirico e altamente melodico: la bella ragazza è infatti una brava mezzosoprano, con una voce ben impostata. Il sound della band è però più vicino al Power che al Gothic rispetto ai connazionali Within Temptation, mostrando una predilezione per ritmi più incalzanti e tempi più veloci. Non mancano le ballad lente e struggenti, come passaggi cupi in growl eseguiti da Mark Jansen; ma la sensazione principale è di grande maestosità e possenza, talvolta al limite dell’eccesso. Il tratto più caratteristico degli Epica è l’uso di orchestrazioni avvolgenti, nonché di cori lirici alla maniera dei classici.
Il risultato in questo primo lavoro è apprezzabile: i punti deboli sono pochi e diversi passaggi sono davvero azzeccati. Il difetto, come spesso accade in questo genere molto melodico e un po’ melenso, è che manca talvolta un pizzico di cattiveria ed aggressività. Alcune canzoni tendono ad appiattirsi e a spegnersi, senza graffiare ed incidere come si dovrebbe. Come esempio valga il growl di Jansen, che pur essendo molto curato nelle ritmiche, tecnicamente più che buono, non esprime mai vera rabbia, ma si limita ad essere un orpello scenografico, uno “strumento” come gli altri. È comunque più apprezzabile qui che nel cd successivo, dove l’uso è stato ridotto e un po’ trascurato.

Passando alle canzoni: “Adyta” è una discreta introduzione corale alla maniera di Palestrina e soci. La batteria aiuta a calarsi nel presente, il tema di tastiera introduce al primo episodio cantato, “Sensorium”. La canzone è un ottimo biglietto da visita, essendo ben costruita e degnamente arrangiata. I tempi non sono molto alti, ma l’uso di ritmiche interessanti nelle chitarre e nell’orchestra evita la noia e la banalità. Interessante l’intermezzo in growl, e soprattutto la sezione corale polifonica nella parte finale.
Cry For The Moon”, legata concettualmente ad altri episodi dell’album (contrassegnati dal titolo “The Embrace that Smothers”), si apre su ritmi di ampio respiro, degni della rhapsodiana definizione “film score metal”. I tempi si alzano col passare dei minuti, ma l’impressione “epica” rimane. Ancora una volta la differenza la fa la sezione ritmica, particolarmente curata ovunque, e in particolare nei micro-episodi in growl e nella linea melodica degli archi. Si può qui apprezzare anche per la prima volta la bellezza dei testi degli Epica, che affrontano temi non semplici come la religione e la guerra in modo non scontato ma nemmeno oscuro. I concetti sono espressi in modo lineare ed efficace, e soprattutto, sono ottimamente calati nella veste musicale.
Feint” è la prima ballad dell’album. Rispetto alla sorella, “Run for a Fall”, è sicuramente più riuscita. Simone affronta il difficile campo del “lento” con buona espressività, anche se, probabilmente, in questo campo perde il duello con la quotata Tarja Turunen. Gli spunti Nightwish sono fin troppo evidenti e il ritmo è un po’ troppo lento, ma l’impressione generale non è negativa. Diverso il discorso per l’appena citata “Run for a Fall”, i cui sei minuti abbondanti faticano a scorrere, impacciati su tempi troppo lenti e con un’interpretazione un po’ fiacca. Mi si permetta anche di notare alcune piccole stonature della Simons nelle note più acute, dove risulta a volte lievemente calante.
Seif Al Din” è un episodio interessante, ma di transizione e un po’ manierato. Riuscita l’evocazione di atmosfere orientali, come già il titolo suggerisce: Simone si dà da fare con melismi “etnici” su quarti di tono, mentre la responsabilità del cantato ricade su Jansen, che però questa volta risulta meno efficace che negli altri casi. La sezione parlata divide in due il brano, che si conclude su ritmi più rapidi e concitati, che ricordano alcuni episodi di “Once” dei Nightwish come “The Siren”.

Dulcis in fundo, le due suite: due veri capolavori, complessi al punto giusto e costruiti con grande passione da parte del talentuoso combo olandese. Stiamo parlando, ovviamente, della title-track “The Phantom Agony” e della stupenda “Façade of Reality”, il vero “must” della band. L’impegno crescente sulle tematiche, la cura dei dettagli anche più minuti, e, soprattutto, una scelta quasi maniacale dei ritmi e dei timbri più efficaci da usare, sono le carte vincenti di queste due composizioni. L’alternanza di voce pulita, cori espressivi e growl permette la giusta varietà, nonché l’enfatizzazione dei passaggi concettuali più importanti. Bello stavolta anche l’uso del parlato: l’introduzione sussurrata “spiritesca” della title-track è forse il momento più toccante dell’intero album, mentre la sezione centrale di Façade, oltre a concedere all’ascoltatore un attimo di respiro, focalizza l’attenzione anche dei più distratti sull’argomento della canzone, gli orrori del fanatismo religioso e la tragedia dell’11 Settembre. Cosa davvero inusuale, poi, gli Epica si dimostrano dei veri maestri nell’uso dei tempi dispari, quasi come un gruppo prog consolidato. Davvero bravi!

In conclusione, un esordio davvero promettente, primo passo di una carriera in costante ascesa, che riserverà a tutti sicuramente diverse sorprese. L’unico augurio è che la musica sia sempre al centro dell’attenzione di un gruppo che sembra già amare molto (e come non potrebbe?!) la luce dei riflettori. Nessuno contesta il successo, quando meritato, purché le soluzioni adottate siano sempre all’altezza del nome del compositore. E noi sappiamo già che da Simone e Mark possiamo, e dobbiamo, pretendere il massimo.

Tracklist:
1. Adyta (The Neverending Embrace)
2. Sensorium
3. Cry for the moon (The Embrace that Smothers – part IV)
4. Feint
5. Illusive Consensus
6. Façade of Reality (The Embrace that Smothers – part V)
7. Run for a Fall
8. Seif Al Din (The Embrace that Smothers – part VI)
9. The Phantom Agony

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